martedì 12 ottobre 2010

mitzvàh 25


L’ebreo osservante, che vuole adempiere al suo ruolo sacerdotale nel mondo, è obbligato a seguire le 613 "mitzvòt", cioè deve adeguare il proprio stile di vita a 613 precetti.
Il numero dei precetti è certo poiché è il Talmud (trattato Makkoth 23b) che stabilisce che la Torah contiene 613 mitzvòt, ma la loro identificazione è stata lungamente oggetto di discussione. L’elenco più accreditato è quello riportato da Rambam (Mosè Maimonide, Cordova, 1138 – Il Cairo, 13 dicembre 1204) nel “Sèfer ha-Mitzvòt”. Questa lista numerata dei precetti, completa del riferimento alla sorgente della scrittura da cui essi derivano, venne definitivamente fissata con l’introduzione di alcune revisioni da parte di Nachmanide (Moshè Ben Nachman, Gerona 1194-Terra santa 1270).
I 613 precetti sono costituiti da 248 comandamenti positivi, obblighi quindi a fare qualcosa, e da 365 comandamenti negativi, divieti cioè di fare qualcos’altro. Fortunatamente moltissimi di questi precetti sono percepibili in modo intuitivo e trovano perciò in noi spontanea disponibilità a conformarci ad essi.
Alcuni (pochi per la verità) di questi precetti ci trovano, invece, inizialmente perplessi. Trattandosi di precetti espressi dalla Torah, questo dovrebbe bastare ad indirizzare le nostre azioni in modo conforme. Ma abbiamo anche imparato ad esercitare le facoltà che il Signore ci ha dato in materia di analisi, interpretazione, commento e confronto, ed è pertanto assolutamente naturale che di questi precetti “difficili” noi ricerchiamo, in assoluta buona fede, la radice e l’interpretazione che ci consentano di accettare la rinuncia ed il sacrificio di qualcosa a cui, a volte, siamo stati visceralmente legati. Tra l’altro, questa attività di verifica ed affinamento, che inizialmente sembra offrirci solamente la prospettiva finale del sacrificio e della rinuncia, può, invece e sorprendentemente, condurci ad intravedere la possibilità di un quadro finale diverso, con una armonizzazione, che ricolloca il nostro desiderio in un ambito compatibile con l’attuazione del precetto. I precetti “difficili” fanno generalmente parte dei divieti a fare e riguardano di solito azioni o comportamenti che operano nella sfera dei sentimenti.
La complessità dell’essere umano può dipanarsi analiticamente secondo quattro sfere distinte, a ciascuna delle quali fanno capo necessità e comportamenti peculiari e le conseguenti sensazioni di dolore o di piacere ad essi associate.
Le quattro sfere sono la fisicità, il sentimento, la ragione e l’intuizione. Gli esseri umani hanno esigenze che riguardano tutte e quattro queste sfere, sia pure in misura diversa da individuo ad individuo, sicché ci sarà l’individuo in cui la valenza del sentimento sarà prevalente sulle altre tre componenti, e sarà un individuo sensibile alla poesia,alla musica, ma anche passionale nella sua vita relazionale. Altri potranno, invece, essere maggiormente portati per l’intuizione, per la percezione di ciò che è border-line del razionale e che si spinge oltre e saranno scopritori, artefici di nuove architetture sulle quali impostare le indagini scientifiche, ma saranno anche filosofi, scrutatori del pensiero umano e di ciò che si intravede oltre, saranno studiosi di religione tanto più di spicco, quanto più la loro sensibilità li porterà a percepire e ad essere travolti dall’onnipresenza della volontà creatrice e dall’incessante respiro che tutto pervade e regola con armonia. Altri infine privilegeranno la sfera della ragione e saranno organizzatori perfetti, occuperanno posti di responsabilità costituendo sempre un sicuro punto di riferimento normativo.
Di queste quattro sfere la più difficile da analizzare, la più ribelle all’imposizione di una disciplina è quella dei sentimenti. Penso che più della metà della biblioteca di Babele sia stata dedicata, direttamente o indirettamente, allo studio di questa matassa meravigliosa ed al tentativo di comprenderne le radici comportamentali e le finalità dei suoi movimenti.
Nella sfera dei sentimenti le esigenze ed i comportamenti sono assimilabili a quelli di un bambino, che ha bisogni e desideri primordiali, non decantati dalla ragione, dalle convenzioni sociali, dal giudizio degli altri, che sa quello che vuole e non comprende perché non debba volerlo. Al bambino occorrerà parlare con rispetto, delicatezza, usando il suo stesso linguaggio per sciogliere i nodi che trova sul suo cammino e percorrere insieme la strada verso l’uscita.
L’enunciazione della Mitzvà 25 è “Non seguire i desideri del tuo cuore o ciò che vedono i tuoi occhi. – Numeri 15:39”. Il passo biblico citato segue quello che ha ordinato la realizzazione delle frange agli angoli delle vesti, e recita: “Esse saranno per voi delle frange, le quali, quando voi le vedrete, ricorderete tutti i precetti del Signore e li eseguirete, e non devierete seguendo il vostro cuore e i vostri occhi; seguendoli voi diverreste infedeli.”
Che si tratti di sentimenti è inequivocabile solo nella prima parte dall’enunciato “desideri del tuo cuore”, mentre la seconda parte “ciò che vedono i tuoi occhi” potrebbe far capo anche alla sfera della fisicità ed a ciò che di egoistico gravita intorno ad essa, potrebbe quindi trattarsi, per questi ultimi, di desideri di gola, desideri di possedere oggetti di altri, desideri sessuali, anche questi, quindi, assimilabili ai desideri di un bambino, ma più facilmente confutabili con ragionamenti logici, sono desideri che in fondo il soggetto che li prova sa benissimo che non sono legittimi. Per il sentimento puro è più difficile, perché qui si tratta di alimento dell’anima e non di alimenti del corpo.
Senza dubbio è proprio il non dover seguire i desideri del cuore la parte più impegnativa e “difficile” del precetto, perché, coinvolgendo la sfera dei sentimenti, è necessario che il convincimento avvenga adoperando il linguaggio stesso dei sentimenti, perché questa sfera non conosce né può conoscere altro linguaggio. E’ una sfera primordiale le cui necessità riguardano bisogni primari della vita dell’individuo. Riguardano gli affetti, in particolare gli scambi affettivi, che costituiscono alimento per i processi vitali dell’anima di ogni individuo, di quel qualcosa cioè che, a parità di condizioni fisiche, determina la presenza o l’assenza della spinta a vivere.
L’etica sociale, cioè le regole della convivenza sociale esigono che a questi desideri individuali dell’anima si ponga un limite ove vadano a turbare , ad interferire, a danneggiare altri individui.
Qualora ciò si verificasse si renderebbe necessario un intervento correttivo.
La correzione nel campo dei sentimenti non può però avere successo se condotta frontalmente per contrapposizione e dichiaratamente secondo logiche razionali, perché queste logiche non intaccano i convincimenti che i sentimenti hanno generato nell’individuo, anzi ne producono il rafforzamento, perché nell’interessato la razionalità viene percepita come fosse un pezzo di vetro a fronte del sentimento, che l’interessato sente di provare e che da lui viene invece percepito come un diamante.
La correzione quindi è da attuare non con uno scontro frontale, finalizzato alla soppressione del sentimento, ma con un affiancamento all’interessato che lo rassicuri sull’intenzione di non voler eseguire azioni distruttive ma semplicemente un’azione di scioglimento, di fluidificazione, di accoglienza, che riconosca al sentimento la dignità di patrimonio da salvare e che indaghi e ricerchi un suo possibile assetto o una sua possibile collocazione compatibile con le necessità vitali di tutte le persone coinvolte.

Ho conosciuto una persona, che ha vissuto il dramma dei desideri del cuore , che ne è stata travolta in modo traumatico, distruttivo della propria dignità umana, che si è piegata a constatare l’irrealizzabilità dei propri desideri. Che è stata messa al bando per anni dalle persone che le erano più vicine, trattata come una lebbrosa, evitata da tutti ed alla quale più nessuno parlava, che è stata condotta fino all’orlo del baratro della follia. Che si è rialzata da sola, aggrappandosi al suo lavoro ma senza più riuscire a sanare la ferita rimasta aperta, la ferita prodotta dalla mancanza dell’altro, del suo altro, del completamento del proprio “sé”. Che stava per precipitare nuovamente.
A questo punto è avvenuto l’incontro ed è nato un rapporto di conoscenza amicale, fondato sul rispetto reciproco. Il nostro è stato sin dall’inizio un rapporto diretto e senza equivoci. La differenza di età era tale che avrei potuto essere suo padre ed io la considerai come figlia e le diedi la disponibilità del mio aiuto. Ne ho guadagnato giorno per giorno la fiducia e finalmente lei ha cominciato a liberarsi del pesante fardello, a vomitare i fatti e l’intensità di sentimenti che aveva mantenuto repressi e nascosti perché non fossero esposti al disprezzo ed alla condanna del mondo.
L’avrei aiutata a disfare il suo bagaglio a riordinarne i contenuti ed a cercarne la collocazione.

La chiamerò Sara, che è ovviamente un nome di fantasia che ho scelto per lei, perché le auguro di non perdere mai la speranza che in un momento, anche non più giovanile, della sua vita possa verificarsi il miracolo, l’avvenimento che ha sempre atteso, il piccolo grande regalo per lei.

Sara cominciò a raccontare tutto dall’inizio. Era sposata da circa trent’anni e madre di due figli maschi. Aveva ventuno anni quando si era sposata, un matrimonio d’amore, neanche troppo contrastato. Poi erano nati i due figli e la sua vita si svolse seguendo il tracciato segnato dal loro sviluppo, dalle loro esigenze, la scuola, la palestra, il nuoto, le festicciole. Suo marito le mostrava costantemente affetto e rispetto, il loro dialogo era stato sempre sereno, confidenziale. L’estate facevano vacanze comuni, rimanendo sempre inseparabili. Insomma lei riteneva di essere fortunata, che la sua famiglia fosse splendida, una roccaforte in grado di resistere a qualsiasi prova, se mai ve ne fosse stata la necessità, necessità che peraltro lei non intravedeva da nessuna direzione.
Il senno di poi le avrebbe rivelato che in questa roccaforte si annidavano i germi della disgregazione. Con suo marito non c’era mai stato uno screzio, mai un litigio, avevano vissuto sempre d’amore e d’accordo. In realtà non avevano mai parlato! Questa era la verità amara che il senno di poi le avrebbe rivelato: non si erano mai confrontati per timore di affrontare possibili divergenze, erano rimasti praticamente due estranei che avevano instaurato tra loro un grazioso rapporto superficiale, stando bene attenti a non scalfire questa superficie. Era come camminare su un pavimento che cominciava a dare segni di instabilità, rivelando un’attività sotterranea in sommovimento.
Un sera la sua favola familiare subì una incrinatura, senza che ne fosse coscientemente consapevole. Se ne sarebbe accorta a distanza di tempo e avrebbe collocato lì l’inizio di tutti gli accadimenti che sarebbero seguiti. Erano invitati a cena a casa di amici. A tavola, di fronte a lei e suo marito, era un’altra coppia. Sembrava che tra i due ci fosse qualcosa che non andava per il verso giusto, sicché tra loro non c’era dialogo. Sara osservò l’uomo e lo trovò interessante. Ebbe l’impressione che un po’ tutta la compagnia tenesse l’uomo a distanza, e non ne comprendeva il perché. Ebbe la sensazione che l’atteggiamento dell’uomo esprimesse una richiesta d’aiuto, ma lei si ritrasse, allontanando questa sensazione, e dicendo tra sé e sé che ognuno nella vita ha i suoi problemi e deve cercare di risolverli da solo. Quando la cena fu finita e tutti erano in piedi per salutarsi, l’uomo si avvicinò e le rivolse delle parole convenevoli, accennò ai figli ed all’impegno che richiedevano, il tutto senza contenuti particolari, e lei si sorprese nel sentirsi felice di rispondergli.
Passò un anno nel quale non si sarebbero più visti, un anno nel quale la famiglia di Sara si trovò a dover affrontare circostanze esterne estremamente impegnative e logoranti. In coda a tutto questo Sara perse suo padre. Lo scossone che colpì la stabilità nella quale aveva vissuto fino ad allora cominciò a far vacillare i principi sui quali Sara aveva impostato la sua vita, cominciò a chiedersi se fosse giusto vivere dando per scontato il principio del proprio sacrificio a favore degli altri, perché tanto “dopo”, si diceva, ci sarebbe stato tempo per pensare a sé stessa. Sara cominciò a chiedersi se questo “dopo” non fosse “adesso”.
Si videro allora per la seconda volta, a casa della sorella di Sara, lui venne con la moglie, la abbracciò e le espresse le sue condoglianze e le si sedette vicino in un angolo del salotto. Sara ne osservava il profilo e la superficie della sua pelle, e avrebbe voluto sfiorarla e sentirne il profumo. Sara era tranquilla, tutti parlavano animatamente fra loro e nessuno poteva percepire quali fossero le sue sensazioni e i suoi pensieri. Al momento del commiato, Sara sperò di rivederlo presto
Poco tempo dopo ci fu un altro incontro, questa volta a casa di lui, si festeggiava il compleanno della moglie, si svilupparono delle conversazioni su argomenti di attualità o di interesse comune. Sara vide che, nel cerchio di sedie che si era formato nella sala, lui le stava di fronte ed avvertì, quando entrarono nel vivo della conversazione, che lui, pubblicamente, la stava braccando: se lei stava parlando, lui interveniva per dire che era d’accordo; se invece lei non diceva niente, lui interveniva per chiedere il suo parere. Lo ascoltava mentre parlava e provava una sensazione di completa condivisione, le sembrava come se da sempre avesse aspettato di sentire le cose che lui diceva. Lo sguardo di lui aveva intensità crescente e sembrava dilatarsi. Sara cominciò ad avvertire sensazioni nuove, che mai le erano capitate prima di allora. Sara sentì che l’aria acquistava maggiore densità, si sentì immersa in un fluido vischioso, come la tela di un ragno, qualcosa che tende ad avvilupparti per imprigionarti. Sara pensò che tutti si fossero accorti sia della caccia alla quale lui l’aveva sottoposta, sia del suo essere ormai in una situazione completamente fuori controllo. Nessuno invece mostrò di essersi accorto di qualcosa. Sara fu coinvolta in un ballo dalla padrona di casa e si lascio andare, scatenata come mai le era accaduto.

Un paio di mesi dopo Sara arrivò con suo marito a casa di sua sorella e lo incontrò nuovamente, lui e sua moglie. Era metà luglio, la serata era calda e si misero tutti in terrazzo. Sara prese subito l’iniziativa e propose di fare un giochino.
Ognuno dei partecipanti, cominciò a spiegare Sara, doveva immaginare di essere nella propria casa e che nella propria casa fosse una cantina, oppure una soffitta alla quale era possibile accedere aprendo una botola. Era un ambiente dove da anni non entrava più nessuno, dove erano abbandonate tante cose di diversa specie. Ogni componente del gruppo avrebbe dovuto scegliere tra tutti questi oggetti un regalo da fare ad ognuno degli altri, dichiarandone la motivazione. Tutti approvarono il gioco proposto e si udì una voce dire: “la strega”.
Sara voleva sapere cosa lui le avrebbe regalato e lui, quando arrivò a lei, le regalò una sfera di cristallo limpida e lucente e mentre la porgeva, lei disse : “Il vaso di Pandora”.
E con queste parole fu come se un incantesimo prendesse corpo per scatenare su tutti i partecipanti un effetto disgregatore.
Lei aveva voluto conoscere cosa lui fosse disposto a darle e lui le aveva offerto i suoi sentimenti. Questo pensiero la trasportava in un sogno meraviglioso, dove l’amore, che cominciava a provare per lui, non era conflittuale con niente e con nessuno e le sembrava che la sua gioia potesse essere condivisa. La gioia la condusse a confidare il suo sentimento, più o meno apertamente, alla moglie di lui, quasi potesse riceverne la solidarietà e l’accoglienza.
Anche lui venne scoperto dalla moglie e confessò i suoi sentimenti per Sara.
Avvenne un gran putiferio ci fu una generale mobilitazione per isolare i due, che inizialmente si riteneva fossero amanti e che poi si constatò essere semplicemente innamorati, o sedicenti tali.
Lui fece un paio di goffi tentativi per avvicinarla, ma senza successo anzi suscitando in lei il panico ed ottenendo quindi la fuga invece dell’avvicinamento.
Ci fu anche un incontro casuale, un incontro breve ma di completa intensità. Fu l’ultima volta che si videro.
“E poi? Cosa è successo dopo?” chiesi e Sara rispose “Dopo è come se fossi morta.”
Da allora non riuscì più a liberarsi del ricordo e dell’immagine di lui, che si radicarono sempre più, fino a connotarsi come un’ossessione. E l’ossessione dalla quale lei era pervasa rese i suoi rapporti familiari tesi e logoranti. Viveva con un costante senso di colpa nei riguardi del marito e dei figli ed era disposta a scontare qualsiasi punizione per questa sua infedeltà mentale, una infedeltà che riteneva peggiore che se fosse stata fisica, perché non dissimulabile ma sempre presente come una barriera nel rapporto coniugale.
Dopo un po’ marito,figli e parenti decisero che Sara era malata, che occorreva sottoporla e una psicoterapia per cercare di estirpare in ogni modo, anche con l’elettroshock , l’ossessione di cui era vittima. Concordemente negarono e suo marito le disse che la sua ossessione non poteva essere originata da sentimenti amorosi, che anzi lui sostenne che questi sentimenti non potevano esistere in una persona come lei, incapace di percepire quanto il marito ed i figli l’amassero.
Con i conoscenti e gli amici si sosteneva che la povera Sara non aveva resistito all’impatto con quell’anno gravoso nel quale erano accadute tante disgrazie e che la sua mente aveva vacillato ed aveva creato sensazioni fittizie, aveva immaginato fatti mai accaduti e che l’uomo, che lei sosteneva le avesse fatto intendere un interesse per lei, era caduto dalle nuvole, che poveretto non c’entrava assolutamente niente.
Sara si accorse che più nessuno chiedeva di lei. Nella sua casa si erano attuate misure di isolamento, non veniva più nessuno, le telefonate di marito e figli avvenivano sottovoce o cambiando apparecchio, affinché lei non sentisse. In questo periodo la sua unica àncora di salvezza fu il lavoro, nel cui ambito Sara ebbe la consapevolezza della propria normalità.
Resistette due anni a questo logoramento, poi si separò dal marito e se ne andò. Dopo due anni cessò anche la psicoterapia, perché comprese che questa avrebbe potuto certamente aiutarla a conoscere quali sistemi attivare per la propria navigazione nell’oceano dei sentimenti, ma che la volontà di navigare e quale direzione prendere avrebbe dovuto deciderla da sola.
Sara tentò nella fase iniziale di questa sua nuova vita di regolare i conti con l’ossessione che si era portata dentro con sé. Si lasciò abbordare da una persona , che in qualche modo le richiamava l’altro, l’oggetto della sua passione, Si fece umiliare da questa sua nuova conoscenza , ne scoprì i difetti, ne fu truffata e poi lo lasciò, convinta di essersi liberata anche dell’altro. E invece no, lui, l’altro, rimaneva sempre lì, era una presenza solida, come fosse una presenza fisica reale.
Negli anni seguenti imparò a convivere con questa presenza, si convinse sempre più che suo marito aveva avuto ragione a sostenere che quella sua era una storia inventata, che nessuno le aveva espresso sentimenti, doveva essere certamente così perché altrimenti lui l’avrebbe cercata e lei non sarebbe rimasta sola. Ma si disse anche, che lei di quella persona era rimasta innamorata, che non c’era motivo di negare questo, che certo non era stata ricambiata, ma non per questo il suo amore per lui era inesistente. Anzi, il fatto che lui non l’avesse amata la sollevava dal dubbio che altrimenti l’avrebbe assillata: aveva fatto tutto ciò che poteva e doveva per salvare non tanto se stessa, ma lui?
Per anni andò avanti così, il suo sentimento rimase sempre vivo, come fosse sempre il primo giorno. Constatò che questo suo sentimento le riempiva la vita e non consentiva che altri si avvicinassero, si era instaurata una straordinaria convivenza tra lei e il suo sentimento per lui, come se questo fosse diventato una persona reale. Non si sentì mai sola e non andò più per anni ad esplorare, a cercare cosa il suo amore facesse, perché tanto il suo amore non l’aveva mai amata e lei non aveva alcun motivo per cercarlo.
Ma un giorno le arrivò un messaggio inaspettato, da parte di una persona che non vedeva ormai da anni e che le chiedeva di contattarlo telefonicamente. Telefonò e rimase annichilita per la frase che lui le disse: “Il tuo amore non ti ha dimenticata.” Chiese ancora e seppe che avrebbe dovuto contattare il suo amore, uscire allo scoperto, dirgli tutto.
Di lui conosceva tutto, telefono, e-mail, indirizzo di casa e del lavoro, perché l’aveva seguito via internet, senza però mai interferire. Si sorprendeva a compiacersi se su internet compariva una notizia di una sua pubblicazione o di un suo successo professionale.
Il contatto avvenne, lei provò prima per telefono, poi per e-mail, ma non ebbe successo, lui rispose ma per dirle che non doveva mai più cercare di contattarlo né per telefono, né per e-mail, né con qualsiasi altro sistema.
Sara, dopo più di dieci anni dall’inizio del suo dramma, quando sembrava che ormai fosse riuscita a dare ordine alla propria vita, si era trovata a dovere incassare un doppio colpo: il primo che aveva improvvisamente risvegliato tutte le sue speranze sopite; il secondo che la precipitava nuovamente verso l’abisso.
Io fui il suo appiglio, la afferrai e la tirai su.

Dopo aver ascoltato tutto il suo racconto, le chiesi se riteneva di avere delle colpe, e se si, quali fossero e perché.
Mi rispose che le sue colpe erano, la prima, quella di non essersi opposta sin dall’inizio all’infatuazione, all’innamoramento, di non aver capito che quel sentimento avrebbe distrutto tutto; la seconda, di non aver più amato suo marito ed i suoi figli e di averli abbandonati; la terza, di avere distrutto la sua stessa vita.
Se così fosse stato, secondo l’etica ebraica lei avrebbe contravvenuto alla Mitzvàh n° 25 “Non seguire i desideri del cuore … “. Ma io non ritenevo che ciò fosse avvenuto. Poteva essere accusata per aver provato attrazione per quell’uomo? No, l’attrazione non è frutto diretto della nostra volontà. Si dice che ogni essere umano è alla ricerca della propria metà, dell’altro a lui uguale per completare il proprio sé. Sara non era alla ricerca di un’avventura, il suo desiderio non era quello di vivere una passione passeggera, restando però saldamente ancorata alla sua famiglia. La prova che il sentimento di Sara fosse limpido e puro fu espressa, paradossalmente, proprio dal fatto che lei da quel momento, non amò più suo marito ed i suoi figli, si accorse che suo marito non era più, o non era mai stato, la sua metà. Di questo se ne accorse quando le apparve l’altro, ma certamente era da tempo, forse da sempre, che il suo matrimonio e la sua famiglia non costituivano il completamento cui la sua anima aspirava. Lei non seguì i desideri del cuore, avrebbe voluto, ma non ne ebbe la possibilità e di questo non mi sentivo di darle colpa. Colpa di che? Ci può essere colpa per un terremoto, ci può essere colpa per uno tzunami? No, non ci può essere colpa, neanche per l’essere stati travolti da sentimenti, che non abbiamo provocato, che ci hanno colti di sorpresa, che abbiamo valutato, al loro apparire, come benèfici e che invece si sarebbero rivelati di una pericolosità mortale.
Abbiamo poi parlato dell’ultimo episodio, quello che quasi contemporaneamente ha risvegliato e subito dopo soffocato la tempesta dei suoi sentimenti, Abbiamo cercato di individuare un filo logico che lo collegasse con tutti i fatti precedenti. Le conclusioni sono state che entrambe le comunicazioni erano autentiche e ciò significava che lui le aveva fatto sapere di non averla dimenticata, che, quindi, aveva nutrito in tutti questi anni lo stesso sentimento di lei. Lui però aveva optato per la salvezza della sua famiglia, perciò aveva voluto che lei conoscesse tutta la verità su quello che era successo, ma aveva anche voluto, inequivocabilmente, esprimere che la storia apparteneva al passato ed era perciò conclusa.
Sara ha ripreso la sua vita con la routine nella quale si era già assestata, custode di un sentimento, che ora sa ricambiato, ma che è senza futuro, vedova di un legame che non c’è mai stato.
Sara non ha colpe, non ha contravvenuto a precetti, semplicemente, come le disse uno psicoterapeuta “non era stata fortunata”.
Addio Sara, il Signore sia con te e ti conceda gratificazione.