domenica 23 settembre 2012

Haazinu

(Deu.32,1-32,52)

Nei cinque libri della Torah ci sono solamente due cantiche: la prima è “Shirat hayam”, la cantica del mare (Es.14,30-15,18) la seconda è questa “Haazinu”, porgete orecchio.
La prima è una cantica che Mosè intona dopo aver assistito al prodigio delle acque che si erano dapprima aperte per far passare il suo popolo e poi richiuse sull’esercito egiziano che lo inseguiva. La seconda è al termine del viaggio, sulla linea di confine della terra promessa.
La prima nasce per iniziativa di Mosè che intende rivolgere al Signore un canto di ringraziamento e di lode per i prodigi che hanno condotto alla salvezza del Suo popolo. La seconda invece è una cantica che il Signore ha ordinato di scrivere e di insegnare ai figli d’Israele e di porla nelle loro bocche, sicché costituisca testimonianza contro di loro:

E ora scrivetevi questo cantico ed insegnatelo ai figli d’Israele e ponetelo nelle loro bocche onde questo cantico sia per Me testimonianza contro i figli d’Israele.

Testimonianza contro i figli d’Israele sarà quando essi dimenticheranno il patto con il Signore e ricadranno nell’abominio dell’idolatria. Si snoda quindi la cantica per quasi tutto il capitolo 32.

Porgete orecchio, o cieli, ed io parlerò ed oda la terra i detti della mia bocca.

E’ un approccio maestoso perché se i cieli e tutta la terra sono esortati ad ascoltare è evidente che le parole che si stanno per pronunciare non sono certo parole da poco, saranno parole che richiederanno testimonianza, parole che renderanno pubblico il patto che il Signore ha inteso stabilire con il Suo popolo.

Quando io invocherò il nome del Signore, magnificate il nostro Dio. Iddio è perfetto nel Suo operare, poiché tutte le Sue azioni sono giustissime; è un Dio fedele senza iniquità, giusto e retto Egli è.

Il Signore dunque dovrà essere magnificato dal Suo popolo perché in Lui risiedono la perfezione, la giustizia e la fedeltà. Se i figli d’Israele soffrono non sarà quindi colpa del Signore, ma sarà colpa loro: dei Suoi stessi figli.

Così ricompensate il Signore? O popolo stolto ed insensato; non è forse Egli tuo padre, che ti fece Suo? Egli ti ha fatto libero e ti ha costituito in nazione.

Segue poi un passo per il quale sono possibili diverse interpretazioni, potendo persino essere visto, per quanto riguarda l’origine della specie umana, come l’anello di congiunzione tra la teoria creazionista e quella evoluzionista, teorie queste elaborate dall’essere umano in contrapposizione tra loro. Teorie che sono separate e compartimentate, perché l’essere umano ragiona per schemi, per “quanti” direbbero i fisici, ed ogni schema è un compartimento, una scatola chiusa, qualcosa che ha un principio ed una fine, qualcosa comunque di “finito” e perciò accessibile all’intelletto umano. Ma questi schemi sono semplificazioni che hanno sì il pregio di essere accessibili alla mente umana, ma che però non costituiscono l’esatta codificazione di ciò che nella realtà avviene, che comunque è qualcosa di solitamente più complesso ed i cui singoli elementi la mente umana spesso non riesce a percepire, accontentandosi quindi della grossolanità di uno schema interpretativo.

Incontriamo la narrazione della creazione dell’uomo in Genesi 1,27 nel sesto giorno della creazione del mondo:

Dio creò l’uomo a Sua immagine; lo creò a immagine di Dio; creò maschio e femmina.

E più avanti, in Genesi 2,7 si dice ancora:

Il Signore Dio formò l’uomo di polvere della terra, gli ispirò nelle narici il soffio vitale e l’uomo divenne essere vivente.

In entrambi i passi di Genesi si dice quindi che ad essere creato fu “l’uomo”, l’essere umano quindi, maschio e femmina, non un essere intermedio, ma un essere vivente a immagine di Dio, già nella sua connotazione stabile e sostanzialmente corrispondente a quella finale che noi conosciamo. Questa è l’interpretazione “creazionistica”, che sostiene appunto che l’uomo fu creato sin dall’inizio con una configurazione fisica ed intellettiva e con una potenzialità sentimentale ed intuitiva, che era già sostanzialmente quella dell’uomo d’oggi.

Ora, nella nostra parashà , al capitolo 32, versetto 10, si dice:

Lo trovò in un paese deserto, in un territorio desolato dove urlavano gli animali selvaggi ed Egli lo circondò di cure, lo istruì e lo protesse come la pupilla del Suo occhio, … .

Ed è qui, su questo passo, che le interpretazioni possono essere molteplici.

Poiché nella narrazione biblica non ci sono altri riferimenti a questo territorio popolato da animali selvaggi, una interpretazione allineata con la teoria creazionista potrebbe esprimere che questa citazione debba essere intesa non in senso reale, ma in senso metaforico, simbolico e che quindi il popolo, prima che fosse stabilito il patto dell’alleanza, dovesse ritenersi vivere in uno stato paragonabile al semiselvatico, come se avesse dovuto sopravvivere in un territorio popolato da belve feroci. Mi sembra che questa interpretazione, che potrebbe assumersi a sostegno della teoria creazionista, sia però un po’ troppo fantasiosa e quindi poco accettabile. Mi domando perché non fare un passo ulteriore e dire semplicemente che l’essere umano che viveva in un territorio desolato, ma popolato da animali selvaggi era anch’esso un essere selvaggio, poiché altrimenti non sarebbe stato in grado di sopravvivere nell’ambiente ostile in cui si trovava a dover vivere. Questo non vuol dire che fosse un animale, era già un essere umano e come tale in possesso di tutte le potenzialità proprie di un essere umano, sia quelle che noi oggi siamo abituati ad associare ad esso, in termini di fisicità, di razionalità, di sentimento e di intuizione, sia quelle per così dire “perdute”, come la forza, l’istinto, la percezione, intesa questa non tanto come livello elevato di comprensione, ma di sesto senso, che è quella dote che ancora gli animali hanno che è quella di avvertire in anticipo l’arrivo di una tempesta o di un terremoto, facoltà queste che erano necessarie alla sopravvivenza in un ambiente non amico, e che perciò erano in lui spiccatamente presenti. Solo quando avrà raggiunto una sufficiente capacità di controllo dell’ambiente in cui vive, l’essere umano potrà attenuare le facoltà di sopravvivenza e sviluppare le facoltà per così dire “gestionali” del mondo, tornando così al compito iniziale, come è espresso in Genesi 2,15:

Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse.

Dove coltivare e custodire significa amare, sviluppare, preservare un bene che ci è stato affidato in uso: la Terra è del Signore e noi siamo i suoi amministratori, coloro ai quali la Terra è stata affidata e che dovranno rendere conto del proprio operato, al Signore ed alle generazioni che verranno, per ricevere lode se avranno bene operato o riprovazione se la loro opera sarà stata dannosa. E la Terra non sono solo zolle, … la Terra sono tutte le specie di piante e di animali, … la Terra sono tutti gli uomini che la popolano.
Oggi la teoria “evoluzionistica” di Charles Darwin, che così a lungo ha trovato il favore degli scienziati e che per tanto tempo ha messo in forse il “creazionismo” biblico, oggi questa teoria vacilla, è messa a sua volta in discussione alla luce di scoperte paleontologiche e scientifiche che parrebbero affermare la peculiarità della specie umana e la sua retrodatazione, al punto di non dare spazio ad epoche temporali in cui l’evoluzione della specie umana avrebbe potuto avvenire partendo da specie diverse e meno sviluppate o meno adatte al loro ambiente.
Ma allora perché non eliminare la compartimentazione delle due teorie e non ricucirle invece insieme per dipanare un’unica teoria che sia creazionista ed evolutiva insieme, certamente però nei limiti della peculiarità della specie che le attuali cognizioni sembrano confermare.
E’ una teoria che conferisce all’evoluzionismo della specie umana il connotato di un percorso di metamorfosi condizionato dall’ambiente in cui l’uomo opera e dalle capacità che egli sviluppa guidato dalla ricerca di migliori vantaggi, tutto sommato è una teoria della civiltà.
Certo non sarà questa teoria allineata con quella di Darwin, perché non si pronuncerà sulla riconducibilità di specie diverse a comuni specie originarie, come rami principali di un albero dal quale dipartano numerosi i secondari. Sarà però sancito il principio del cammino compiuto dall’uomo, da uno stato iniziale assimilabile a quello di un animale selvatico, per poi passare a forme di associazione, inizialmente gruppi familiari, poi tribù e poi forme più complesse ed articolate di convivenza sociale.

Ma, prosegue la cantica, l’essere umano, che il Signore aveva protetto ed istruito divenne recalcitrante ed offese il Signore tornando ancora all’abominio dell’idolatria.

Il Signore vide e si sdegnò per l’ira che gli provocavano i Suoi figli e le Sue figlie. E disse: ‘Nasconderò loro la Mia faccia e vedrò come andranno a finire, perché essi sono una generazione perversa, figli senza fede’.

Fame, febbre, pestilenza affliggeranno il popolo infedele e poi ancora:

Li disperderò, farò cessare il loro ricordo dall’umanità, se io non temessi gli insulti del nemico che traviserebbe la causa delle loro disgrazie dicendo: - La nostra mano ha vinto e non è stato il Signore che ha fatto tutto questo.

Accorata è la parola del Signore che rammenta i prodigi compiuti per far prevalere il Suo popolo e che deve però constatare come in cambio, a fronte di queste imprese meravigliose, il popolo dimostri oblio e distacco ed intraprenda le strade dell’abominio.

Pur tuttavia il Signore terrà fede al patto di alleanza e sarà disposto, quando il Suo popolo sarà sull’orlo della disperazione, ad invitarlo a guardare ancora verso di Lui:

Poiché il Signore giudicherà il Suo popolo e si commuoverà per i Suoi servi, quando vedrà che è venuto meno il loro vigore e non vi è più differenza tra schiavo e libero. Allora Egli dirà: ‘Dove sono i loro dèi? Dove la difesa in cui confidavano? … . Or dunque guardate, soltanto Io sono il Signore e non vi è altro Dio con Me, Io faccio morire ma faccio rivivere, Io ho ferito ma Io guarirò e non esiste chi possa salvare dalla mia mano.

La cantica si conclude con una ferma presa di posizione del Signore a fianco del Suo popolo e contro i suoi nemici:

Celebrate, o nazioni, il popolo del Signore, poiché Egli vendicherà il sangue dei Suoi servi, rivolgerà la Sua vendetta contro i Suoi nemici, ed il Suo popolo purificherà il paese.

E’ un rapporto di amore e di ira quello di questo Dio verso il Suo popolo. L’amore non si interrompe mai, anche se si sono manifestati episodi di ira e punizioni terribili, punizioni che hanno visto aprirsi la terra, punizioni che hanno visto incenerire anche chi senza volere non aveva eseguito fedelmente i precetti del Signore. E comunque il Signore è fedele al patto di alleanza stabilito con i patriarchi.
E’ la storia dell’uomo, la storia per cui la specie umana continua nel suo complesso a vivere la fase ascendente della sua esistenza su questo mondo, nonostante le catastrofi,siano esse naturali o provocate per ignoranza o per malvagità, che ne costellano il percorso.

La parashah si conclude con queste parole che il Signore dice a Mosè, ormai prossimo alla morte:

Sali su questo monte Avarim detto anche monte Nevò che si trova in terra di Moav di fronte a Gerico e osserva la terra di Canaan che Io do in possesso ai figli d’Israele. Morirai sul monte sul quale ti accingi a salire e ti congiungerai al tuo popolo, come morì Aron, tuo fratello in Or Ha-har e si congiunse al suo popolo. Poiché vi rendeste colpevoli nei Miei confronti in mezzo ai figli d’Israele riguardo alle acque della disputa di Cadesh nel deserto di Tsin, perché voi non mi santificaste in mezzo ai figli d’Israele. Tu dunque vedrai da lontano il paese, ma non entrerai nella terra che Io sto per dare ai figli d’Israele.




Haftarà di Haazinu
Secondo il rito italiano

La persona che commette colpa, essa morrà: il figlio non sopporterà le conseguenze della colpa del padre, e il padre non sopporterà le conseguenze della colpa del figlio: la giustizia del giusto resterà su di lui, la malvagità del malvagio resterà su di lui. E se un malvagio si ritirerà da tutte le colpe che aveva commesse, terrà presenti tutti i Miei statuti e agirà secondo giustizia e diritto, egli vivrà, non morrà.
(Stralcio da Ez.17,22-18,32)



Haftarà di Haazinu
Secondo i riti spagnolo e tedesco

Mi fai camminare a grandi passi e le mie gambe non vacillano. Così posso inseguire i miei nemici e distruggerli, e non mi ritiro prima di averli annientati. Li posso far perire, trafiggerli; essi non si rialzano e cadono ai miei piedi. Tu mi cingi di forza per le battaglie e a me sottometti i miei avversari. Costringi i miei nemici a volgermi le spalle, sicché io annienti coloro che mi odiano.
(Stralcio da Sam.22,1-22,51)

lunedì 17 settembre 2012

Vayelech

(Deu.31,1-31,30)

Continuò Mosè a parlare al popolo d’Israele e disse loro:

Io sono ormai giunto all’età di centoventi anni e non posso più andare e venire con facilità ed il Signore mi ha detto: Tu non passerai questo Giordano.

Giosuè vi condurrà al di là del Giordano, prosegue Mosè, distruggerete quei popoli e vi comporterete con loro secondo i precetti che vi ho comandato. Siate forti e coraggiosi non abbiate timore e non vi scoraggiate davanti a loro, perché il Signore vostro Dio verrà insieme a voi, non vi lascerà e non vi abbandonerà.

Mosè chiamò Giosuè e davanti al popolo gli disse:

Sii forte e coraggioso perché tu perverrai con questo popolo alla terra, che il Signore giurò di dare ai loro padri, e tu la darai loro in possesso, Quanto al Signore Egli sarà colui che ti precederà, Egli sarà con te, non ti lascerà e non ti abbandonerà, non temere e non aver paura.

E ai sacerdoti che portavano l’Arca ed agli anziani d’Israele Mosè dette questo ordine:

Al termine dei sette anni, nel tempo della remissione, durante la festa delle capanne, quando tutto Israele verrà a presentarsi davanti al Signore tuo Dio nel luogo che avrà scelto, leggerai questa legge al cospetto di tutto Israele in modo che essi la odano, Convoca il popolo, uomini, donne e bambini e il forestiero che abita nelle tue città, affinché ascoltino, imparino e temano il Signore vostro Dio e osservino, per attuarle, tutte le parole di questa legge. I loro figli poi, che non le avessero conosciute prima, udranno e impareranno a temere il Signore vostro Dio per tutto il tempo in cui vivrete sulla terra, per possedere la quale, voi vi accingete a passare il Giordano.

Quindi il Signore disse a Mosè:

I tuoi giorni si avvicinano al momento della morte, chiama Giosuè e avvicinatevi insieme alla tenda della radunanza ed Io gli darò le Mie disposizioni.

Mosè e Giosuè si avvicinarono alla tenda della radunanza e il Signore si manifestò nella tenda in una colonna di nube che si fermò sulla porta della tenda. Il Signore disse quindi a Mosè:

Ecco, tu stai per andare a riposare presso i tuoi padri e questo popolo fornicherà dietro agli dèi stranieri del paese nel quale egli si stanzierà. Mi abbandonerà e violerà il patto che Io ho stabilito con lui. Allora la mia ira divamperà e nasconderò loro la mia faccia, diventeranno cibo per i loro nemici e grandi disgrazie capiteranno loro. In quel tempo il popolo dirà: ‘Certamente per il fatto che il Signore non è più in mezzo a noi, ci sono capitati tutti questi mali.’ Ed Io continuerò a nascondere la mia faccia in quel giorno, per tutto il male che esso fece, perché si rivolse ad altri dèi.

Ancora una volta l’idolatria, sarà l’idolatria che perderà il popolo d’Israele. Idolatria che potrà essere adorazione di altri dèi, ma che potrà anche essere il culto e il desiderio per altri tipi di idoli che offuscano la mente al punto di dimenticare il patto con il Signore. Idoli, parola che raggruppa in sé il desiderio del potere o della ricchezza, o il desiderio di una donna, o più semplicemente il nostro egoismo, la chiusura del cuore all’altro, al nostro simile che vorrebbe essere ascoltato.

Ordina quindi il Signore di scrivere ed imparare un cantico che egli sta per dire e di insegnarlo ai figli d’Israele, perché quando capiteranno al popolo grandi mali e disgrazie, dopo che per l’ennesima volta avrà adorato altri dèi, questo canto testimonierà per esso e non verrà dimenticata la sua progenie.

Mosè scrisse il cantico e lo insegnò ai figli d’Israele, poi disse a Giosuè:

Sii forte e coraggioso, perché, dice il Signore, tu condurrai i figli d’Israele nella terra che Io giurai di dar loro ed Io sarò con te.

Mosè terminò di scrivere le parole di questa legge su di un libro ed ordinò ai Leviti che portavano l’Arca:

Prendete questo libro della legge e ponetelo da una parte entro l’Arca del patto del Signore vostro Dio e resti là per testimonianza, poiché io conosco il vostro istinto ribelle e la durezza della vostra cervice; se oggi mentre sono ancora vivo in mezzo a voi, voi vi siete ribellati al Signore, tanto più lo sarete dopo la mia morte. Radunate presso di me tutti gli anziani delle vostre tribù e i vostri capi e io dirò loro queste cose chiamando a testimoni il cielo e la terra. Perché io so che dopo la mia morte voi vi corromperete e vi allontanerete dalla via che io vi indicai. Disgrazia vi incoglierà in avvenire quando farete ciò che è male agli occhi del Signore, facendolo adirare con le vostre azioni.

E allora Mosè si accinse a pronunciare le parole della cantica, come vedremo nella prossima Parashah.



Haftarà di Vayelech
Secondo l’uso di alcune comunità

La parashà di Vayelech viene letta quest’anno nei giorni penitenziali dopo Rosh haShanah e prima di Kippur. La haftarà pertanto esordisce con l’invito a rivolgersi al Signore e tornare a Lui. Si schiuderà così un futuro di allegria e di pace.

Così dice il Signore: ‘Osservate il diritto e fate giustizia, perché vicina a venire è la Mia salvezza, e la Mia giustizia a manifestarsi. Felice l’uomo che fa questo, il figlio dell’uomo che in questo persevera: chi onora il sabato si da non profanarlo e sorveglia la sua mano sicché non faccia nulla di male. E non dica il figlio dello straniero che si è aggregato al Signore: ‘Il Signore mi ha tenuto separato dal Suo popolo’. E non dica chi non è atto a generare: ‘Io sono un albero secco’. Perché così dice il Signore a proposito di coloro che non sono atti a generare, ma osservano i Miei sabati, scelgono quello che a Me piace e si mantengono fedeli al Mio patto: Io darò a loro nella Mia casa ed entro le Mie mura forza e rinomanza, meglio di figli e di figlie; rinomanza eterna che mai non perirà darò a ciascuno di loro. E i figli dello straniero che si aggregano al Signore per prestargli culto, per amare il nome del Signore e per essere Suoi servi, chiunque osservi il sabato sì da non profanarlo, e quelli che si mantengono fedeli al Mio patto, Io li farò venire al monte a Me consacrato, li rallegrerò nella casa in cui Mi si rivolgono le preghiere, i loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul Mio altare, perché la Mia casa sarà proclamata casa di preghiera per tutti i popoli. Detto del Signore Dio che raduna i figli d’Israele: radunerò ancora altri intorno ai radunati di Israele.
(Is.55,6-56,8)



Haftarà di Vayelech
Secondo l’uso della maggior parte delle comunità.

La haftarà contiene richiami alla penitenza e implorazioni alla misericordia divina.

… Io lo esaudirò e lo sorveglierò, Io sarò come un cipresso verdeggiante, da Me verrà il tuo frutto. Chi è saggio comprende queste cose, chi è intelligente le sa, perché le vie del Signore sono rette: i giusti vi cammineranno e i colpevoli vi inciamperanno.
(Os.14,2-14,10)

Egli tornerà ad avere misericordia di noi, calpesterà le nostre iniquità, e Tu getterai negli abissi del mare tutti i loro peccati.
(Mi.7,18-7,20)

E voi mangerete a sazietà e loderete il Signore vostro Dio che ha compiuto per voi prodigi e il Mio popolo non soffrirà mai più onta.
(Jo.2,15-2,27)

domenica 9 settembre 2012

Nitzavim

(Deu.29,9-30)

Presenti, siete tutti qui presenti davanti al Signore, dice Mosè al popolo, tutti: uomini e donne, giovani e anziani ed anche il forestiero che lavora presso di voi. Siete qui per accettare il patto del Signore vostro Dio ed il Suo anatema, così come Egli intende stabilire con voi che siete qui presenti, ma anche con quelli che oggi non sono qui con noi, le generazioni passate e le generazioni future.

Egli ti costituirà come Suo popolo e ti sarà come Dio, come ti disse e come giurò ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe.

Ma se ci sarà tra voi un uomo o una donna, una famiglia o una tribù che si distoglie dal Signore Dio nostro, prosegue Mosè, per andare ad adorare gli dèi che hanno le altre nazioni, allora l’ira del Signore divamperà e costoro non saranno perdonati e su di essi si poserà l’anatema ed i loro nomi saranno cancellati da sotto il cielo. Anatema dunque per l’idolatria, l’idolatria che è sempre il punto centrale della violazione della legge del Signore, di tutti i precetti che Egli ha dettato al Suo popolo. Perché tutti i delitti hanno una base comune che è l’idolatria. L’assassino che ha dimenticato la legge del Signore e che ha anteposto all’amore per il Signore l’odio per un suo simile, che ha dimenticato che il suo simile è una creatura del Signore e che, in quanto da Lui creata, egli non avrebbe potuto e dovuto distruggerla, ebbene l’assassino è un idolatra in quanto ha rimosso l’amore del Signore per sostituirlo con l’odio per un essere umano. Il ladro è un idolatra perché ha eretto ad idolo il denaro, la ricchezza, ed ha dimenticato l’amore del Signore. Idolatra è l’adultero perché ha anteposto l’amore per una donna all’amore per il Signore. Idolatra è chi rende falsa testimonianza perché antepone al Signore il suo tornaconto. Idolatra è colui che desidera la cosa d’altri perché ha dimenticato l’amore per il Signore ed ha eretto ad idoli i propri desideri.

Le generazioni future e lo straniero che verranno a vedere le piaghe ed i mali che avranno colpito coloro che si saranno distolti dal Signore diranno:

E’ proprio come la distruzione di Sodoma e Gomorra, di Admà e Tzevoim, che il Signore operò nella Sua ira e nella Sua collera.

E tutte le nazioni domanderanno:

Perché il Signore ha fatto così a questo paese? Qual’è la ragione di questa grande ira?

Ed a loro sarà risposto:

Perché hanno abbandonato il patto del Signore, Dio dei loro padri, che stabilì con loro quando li fece uscire dalla terra d’Egitto. Essi si posero a servire altri dèi e si prostrarono loro, a dèi che non conoscevano e che il Signore non dette loro in eredità. Pertanto l’ira del Signore divampò contro quel paese portando contro di lui tutte le maledizioni che sono scritte in questo libro. Il Signore li sradicò dalla loro terra con sdegno, ira e grande collera e li gettò in un altro paese com’ è ancor oggi.

Ma coloro che saranno stati dispersi in altre nazioni e che poi rifletteranno e che vorranno tornare al Signore e ne ascolteranno la voce. Costoro il Signore li farà tornare e li tratterà con benevolenza. Circonciderà il Signore il loro cuore e quello della loro discendenza affinché essi amino il Signore loro Dio con tutto il loro cuore e con tutta la loro anima e possano così vivere lungamente.

Il Signore farà prosperare chi darà ascolto alla Sua voce ed osserverà i Suoi precetti ed i Suoi statuti. Perché i precetti non prescrivono di fare cose fuori dalla portata dell’essere umano, ma sono cose che egli potrà eseguire con la bocca e con il cuore ed in questo modo potrà vivere, moltiplicarsi ed essere benedetto dal Signore.

Chi invece chiuderà il proprio cuore e non ascolterà e si farà trascinare verso l’idolatria sarà perduto e non prolungherà la sua permanenza nella terra promessa ai suoi padri.

Io chiamo a testimoni per voi oggi il cielo e la terra: io ho posto davanti a voi la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli la vita onde viviate tu e la tua discendenza amando il Signore tuo Dio, ascoltando la Sua voce e rimanendo a Lui avvinti, perché Egli è la tua vita e la lunghezza dei tuoi giorni, abitando nella terra che il Signore giurò di dare ai tuoi padri, ad Abramo, ad Isacco ed a Giacobbe.

L’idolatria, ancora una volta è l’idolatria che distoglie dal Signore e che provoca la rovina. Gli idoli sono tanti e non sono solo gli idoli di pietra o di legno o di metallo, gli idoli sono le deviazioni, sono tutto ciò che ci distoglie dall’amore per il Signore e dall’eseguire i suoi precetti. L’essere umano è certamente fatto anche di sentimenti, di interessi, di passioni, che di per sé però non costituiscono né il male né il bene, ma semplicemente sono elementi che il Signore ha creato e che vanno a comporre il complesso dell’essere umano. Questi elementi, queste prerogative sono quindi affidati all’essere umano che si trova così impegnato a gestirli ed è nella fase di gestione che entra in campo la responsabilità dell’individuo e quindi l’amministrazione dei propri desideri, delle proprie passioni, dei propri sentimenti, per far sì che questi non vadano a soffocare l’esigenza primaria e fondamentale dell’amore per il Signore e dell’osservanza dei suoi precetti.

La narrazione si conclude con una luce che è la permanente possibilità di recupero per chi si sia distolto dal Signore e si sia successivamente pentito e desideri tornare a Lui. Il Signore mostrerà sempre benevolenza verso chi avrà aperto il proprio cuore al Suo amore.



Haftarà di Netzavim
Secondo il rito italiano
(Gio.24,1-24,18)

Giosuè, giunto agli ultimi giorni della sua vita, raduna tutte le tribù con i loro anziani, i capi, i giudici, gli ufficiali, presso Shechem e qui parla loro ricordando tutte le vicende che il popolo ha vissuto da quando uscirono dalla terra oltre l’Eufrate guidati da Abramo, a quando Giacobbe ed i suoi figli si recarono in Egitto. Rammenta quindi l’uscita dall’Egitto, la traversata del Mar Rosso ed il lungo viaggio nel deserto per giungere alla terra promessa.

Ora, dice Giosuè, se non vi piacesse servire il Signore, sceglietevi chi volete adorare, se gli idoli che avevate al di là dell’Eufrate, o quelli che avete servito in terra d’Egitto. Io e la mia famiglia, conclude Giosuè, serviremo il Signore.

E il popolo unanime disse: “Anche noi serviremo il Signore, perché Egli è il nostro D-o.




Haftarà di Netzavim
Secondo i riti spagnolo e tedesco
(Is.61,10-63,9)

Non si dirà più di te: abbandonata, e della tua terra: è una desolazione, ma tu sarai chiamata: il Mio amore è in te, e la tua terra maritata, perché il Signore ti amerà e il tuo paese avrà marito. Come un giovane sposa una fanciulla, ti sposeranno i tuoi figli, e come uno sposo gioisce della sposa, gioirà di te il tuo D-o.

Il Signore ha giurato per la Sua destra e per il Suo forte braccio: non darò più il tuo grano in cibo ai tuoi nemici, e gli stranieri non berranno più il tuo vino per il quale ti sei affaticata.

Ecco il Signore proclama agli abitanti della terra fino alle sue estremità: Dite a Sion: Ecco la tua salvezza viene, ecco Egli porta con sé la Sua mercede e davanti a Lui è la Sua retribuzione. Ed essi saranno chiamati: popolo santo, redenti dal Signore, e tu sarai chiamata: città ricercata, non abbandonata.

La salvezza di Israele viene rappresentata allegoricamente come avvenuta ad opera di un uomo forte, che simboleggia il Signore:

Perché c’è del rosso nei Tuoi abiti, e i Tuoi vestiti sono come di chi pigia nel torchio?

“Ho pigiato da me solo nel torchio, nessuno dei popoli era con Me, ed Io li ho calcati con il Mio furore, pestati con la Mia ira, il loro sangue è spruzzato sui Miei abiti, ed Io ho insudiciato tutti i Miei vestiti, perché il giorno della vendetta che era nel Mio cuore e l’anno della Mia redenzione sono giunti.”

lunedì 3 settembre 2012

Rosh Hashanah: giorno del giudizio annuale

Tradizionalmente Rosh Hashanah è il giorno del giudizio, ossia il giorno in cui l’uomo sta dinanzi a D-o, per essere giudicato e per attendere che venga stabilito il suo destino per l’anno che sta per iniziare. Il pentimento durante il periodo che va da Rosh Hashanah a Kippur (allungato secondo la tradizione popolare di altre due settimane, fino a Hosha’nà Rabbàh) può migliorare l’esito del giudizio, ma alla conclusione di quel periodo il decreto è suggellato.

Il trattato Rosh Hashanah della Mishnah riporta a questo proposito i pareri espressi da Rabbi Yossi e Rabbi Natan. Disse Rabbi Yossi: “L’uomo è giudicato ogni giorno.” (Rosh Hashanah 16a); e Rabbi Natan aggiunse: “L’uomo è giudicato ogni ora.

Queste parole pongono un problema di armonizzazione con il significato di giorno del giudizio attribuito a Rosh Hashanah. Ci si chiede infatti: se l’uomo è giudicato ogni giorno in che cosa si distingue Rosh Hashanah da ogni altro giorno? E se l’uomo è giudicato ogni ora, che significato ha l’idea di una data e di un tempo particolari fissati per l’espressione del giudizio?

Senza alcun dubbio le parole di Rabbi Yossi e di Rabbi Natan esprimono la più profonda aderenza religiosa in quanto non vi è alcun momento della vita dell’uomo che sia esente dal giudizio. E allora possiamo dire che Rosh Hashanah è più propriamente il giorno del giudizio annuale, nel quale verrà fatto il bilancio consuntivo di tuttti i giudizi espressi nel corso dell’anno, nonché giorno dello strepito, del suono di allarme dello Shofar, che ricorda all’uomo che egli è sottoposto a giudizio in modo permanente, in ogni istante della sua vita.

domenica 2 settembre 2012

Ki Tavò

(Deu.26,1-29,8)

Quando giungerai, dice Mosè al popolo, nel paese che il Signore ti darà e lo avrai conquistato, raccoglierai in un cesto le primizie di tutti i frutti di quella terra e le porterai al luogo che il Signore avrà scelto come Suo Santuario. Dirai al Sacerdote che troverai al Santuario:

Io dichiaro oggi al Signore tuo Dio che sono giunto nel paese che Egli giurò ai nostri padri di darci.

E quando il Sacerdote avrà collocato il tuo cesto davanti all’altare del Signore, dirai ancora:

Un arameo nomade era mio padre. Egli se ne andò in Egitto e vi abitò con pochi uomini; là divenne una grande nazione, potente e numerosa. Ma gli Egiziani ci perseguitarono e ci afflissero e ci sottomisero ad una dura schiavitù. Allora noi gridammo al Signore Dio dei nostri padri ed Egli ascoltò la nostra voce, vide la nostra afflizione, il nostro travaglio e la nostra oppressione. Il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, con grande spavento con prodigi e con miracoli e ci condusse in questo luogo e ci dette questa terra stillante latte e miele. Ecco io ho portato ora le primizie dei frutti della terra che Tu hai concesso a me, o Signore.

Arameo nomade” così viene per lo più tradotto “aramì ovèd”, ma a questo proposito vi sono alcune considerazioni da mettere in evidenza.
Aram si riferisce fondamentalmente alla Siria e così solitamente viene tradotto questo nome (Gdc 10:6; 2Sam 8:6;15:8; Os 12:13). In particolare Paddan-Aram indica la zona intorno alla città di Haran nell’alta Mesopotamia (Ge 25:20;28:2,7,10). Il patriarca Abramo aveva risieduto temporaneamente ad Haran, nella regione di Paddan (Ge12:4;28:7,10). Successivamente, suo figlio Isacco e poi suo nipote Giacobbe qui trovarono moglie fra i discendenti dei suoi parenti (Ge 22:20-23;25:20;28:6). Giacobbe trascorse 20 anni in Paddan al servizio del suocero Labano (Ge 31:17,18,36,41). Si pensa quindi che con la locuzione “arameo errante” ci si riferisca a Giacobbe.
Meno univoco è il significato di ovèd (אֹבֵד), che può variare a seconda che si tratti di un aggettivo (“misero”), di un sostantivo (“nomade”) o di un participio (“morente”, “errante”). L’Hebräisches und Aramäisches Lexicon zum Alten Testament(E. J. Brill, Leiden, 1967) traduce ovèd con “rovina” (Nm 24:20,24) e pertanto la traduzione diverrebbe: “Mio padre era un arameo in rovina”. Il Dizionario di ebraico ed aramaico biblici (Philippe Reymond, 2^ ed. it., Roma 1995) segnala anch’esso per la radice di ovèd il significato di perire (Nu 17:27), andare in rovina (Es 10:7), scomparire (Nm 16:33). La tradizione ebraica, come segnala Bruno Di Porto nel suo commento alla parashà, conserva anche un’altra versione delle parole “aramì ovèd”, che potrebbero tradursi “un arameo che ha rovinato mio padre”.
Tutto questo per dimostrare quanto sia a volte complessa la ricerca della traduzione del testo sacro e quanto possa essa alimentare il tradizionale “pluralismo ebraico”.
Personalmente preferisco la traduzione “arameo errante”, dove la parola errante esprime molto di più della parola nomade, perché nomade è il pastore che si sposta secondo le necessità del suo gregge, mentre errante è colui che è spinto ad esserlo per l’incontenibile impulso che la sua anima gli detta.

Le parole “il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso”, si ricollegano a quanto è detto in Esodo (14,15 e 16):

E il Signore disse a Mosè: - Perché tu esclami a me? Ordina ai figli d’Israele di mettersi in cammino. E tu alza la tua verga, stendi il tuo braccio verso il mare e fendilo, e i figli d’Israele potranno attraversare il mare all’asciutto....

Tornando alla narrazione della parashà troviamo la prescrizione, in occasione della raccolta delle decime annuali, di mettere da parte quelle del terzo anno per darle al Levita, al forestiero, all’orfano ed alla vedova e di dichiarare davanti al Signore:

Ho tolto le cose consacrate dalla mia casa e le ho date al Levita, al forestiero, all’orfano, alla vedova secondo tutte le prescrizioni che Tu mi hai comandato; non ho trasgredito ai tuoi precetti e non li ho dimenticati. Quando fui in lutto non ne mangiai né feci alcun prelevamento essendo impuro né detti parti di esse per qualche morto; ho dato ascolto al Signore mio Dio, ho fatto secondo quanto mi hai comandato. Dalla residenza della Tua santità, dal cielo, volgi a noi lo sguardo e benedici il Tuo popolo Israele, e la terra che ci hai dato come giurasti ai nostri padri, una terra stillante latte e miele.

Nel capitolo 27 Mosè e gli anziani comandano che, nel giorno in cui il popolo passerà il Giordano per entrare nel paese che il Signore sta per dargli, le tribù si schierino secondo un ordine stabilito sui monti Eval e Gherizim.
Sul monte Eval verrà costruito un altare di pietre intere sul quale presentare le offerte di olocausto e di “shelamim”, e qui sarannno erette delle grandi pietre intonacate a calce sulle quali verranno scritte le parole di benedizione e di maledizione che Mosè andrà a pronunciare. Segue quindi, e fino al termine del capitolo, l’enunciazione delle maledizioni che verranno pronunciate a fronte di specifiche violazioni della legge.
La prima maledizione sarà quella per la quale i Leviti diranno a tutto il popolo d’Israele con voce alta:

Sia maledetto colui che costruirà immagini scolpite o fuse, aborrite dal Signore, opera delle mani di un artigiano, e le tenga nascoste; tutto il popolo risponderà e dirà: Così sia!

L’idolatria, torna sempre l’idolatria quale prima e fondamentale violazione della legge del Signore e l’idolatria abbiamo già visto che può presentarsi sotto diverse sembianze: idolatria non è solo adorazione di immagini di pietra o di metallo o dipinte, idolatria è l’amore per il denaro, per il potere o per un altro essere umano fino al punto di anteporlo all’amore per il Signore ed all’osservanza delle Sue leggi.
L’ultima delle maledizioni le riassume e le assomma un po’ tutte in sé:

Sia maledetto colui che non adempirà le parole di questa legge e non le eseguirà; e dirà tutto il popolo: Così sia!

Il capitolo 28 inizia enunciando tutte le benedizioni che verranno al popolo d’Israele per avere ascoltato la voce del Signore, benedizioni di prosperità per i prodotti della terra, per gli animali e benedizioni per i propri figli:

Il Signore ti stabilirà come Suo popolo consacrato, come ti ha giurato, e tu osserverai i precetti del Signore tuo Dio e procederai nelle Sue vie. Tutti i popoli della terra osserveranno che tu sei il popolo chiamato con il nome del Signore e ti temeranno.

Ma dopo questo inizio la maggior parte del capitolo prosegue enumerando in modo aspro e terribile tutte le disgrazie che ricadranno sul popolo se non avrà osservato la legge del Signore:

Ma se tu non ascolterai la voce del Signore tuo Dio, osservando tutti i Suoi precetti e i Suoi statuti che io ti comando oggi, verranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste maledizioni.

Per rendere l’idea della durezza di queste pagine riporto alcune delle maledizioni enunciate:

Il Signore manderà contro di te la maledizione, il panico e la disgrazia in qualunque iniziativa tu intraprenda, in modo da mandarti in rovina e in perdizione in fretta, a causa della malvagità delle tue azioni, avendomi tu abbandonato.

Il Signore ti farà fuggire davanti ai tuoi nemici; andrai contro di loro per una via e fuggirai per sette vie dinanzi a loro e sarai causa di orrore per tutti i regni della terra.

Il Signore condurrà te ed il re che tu avrai eletto sopra di te presso una nazione che non conoscesti né tu né i tuoi padri e là servirai altri dèi di legno e di pietra. Sarai oggetto di stupore, sarai portato come esempio di sventura e schernito da tutti quei popoli presso i quali il Signore ti condurrà.

E più avanti, dopo questa maledizione, che si riferisce palesemente alla cattività babilonese, viene ripresentata un’immagine analoga:

Il Signore susciterà contro di te una nazione da lontano, dall’estremità della terra, che si getterà su di te come fa l’aquila, una nazione di cui non conosci la lingua. Una nazione fiera che non porta rispetto al vecchio e che non sente pietà per il bambino. Essa divorerà il frutto dei tuoi animali e il frutto della tua terra fino a rovinarti perché non lascerà per te né grano né mosto né olio né vitelli né agnelli fino a farti morire. Ti assedierà in ogni tua città fino a che non cadranno le tue mura alte e fortificate nelle quali tu riponevi tanta fiducia in tutto il tuo paese; ti porrà l’assedio in tutte le tue città, in tutta la tua terra che il Signore tuo Dio ti ha dato.

Questa maledizione si riferisce ad un’altra disgrazia, sia perché non avrebbe avuto senso parlare ancora della cattività babilonese, sia perché in questa frase ci sono degli elementi diversi:

• La nazione lontana è paragonata all’aquila, e l’aquila era sulle insegne romane.
• Della nazione romana non si conosceva la lingua, mentre con Babilonia c’era una lunga tradizione di rapporti.
• Quella romana fu un’occupazione coloniale, quindi di sfruttamento delle risorse nel paese occupato, al contrario di quella babilonese che si risolse invece nella depredazione dei beni e nella deportazione di quella parte della popolazione costituente l’elite culturale ed artigiana. Solo dopo il 70 e.v. anche da parte dei romani venne attuata la deportazione per domare le continue ribellioni del popolo ebraico.

Parrebbe di poter confermare quindi che questa maledizione possa riferirsi all’occupazione romana , sempre travagliata e contrastata fino al suo tragico epilogo avvenuto prima con la distruzione del Tempio e della città di Gerusalemme del 70 e.v. e dopo, nel 135 e.v., con la sconfitta di Bar Kochba, che impersonò l’ultimo tentativo ebraico di mantenere in vita uno stato nazionale.

Ma ancora l’enunciazione delle maledizioni prosegue, preannunciando la diaspora del popolo ebraico, che noi sappiamo essere avvenuta una prima volta ad opera di Tito nel 70 e.v. ed una seconda volta nel 1492 e.v. con la cacciata dalla Spagna:

Ti disperderà il Signore fra tutti i popoli da un’estremità all’altra della terra e là tu servirai altri dèi che non conoscesti né tu né i tuoi padri, idoli di legno e di pietra. Fra quelle nazioni non avrai sollievo né avrà riposo la pianta del tuo piede; il Signore ti darà là un cuore timoroso, degli occhi languenti e uno spirito amareggiato.

L’ultima maledizione predice il ritorno in Egitto per essere messi in vendita al mercato degli schiavi, senza trovare peraltro compratore.

Si chiude la parashà, all’inizio del capitolo 29, con l’esortazione al rispetto della legge del Signore:

Osservate dunque le parole di questo patto ed eseguitele in modo che possiate riuscire in tutto ciò che farete.


Haftarà di Ki Tavò
secondo il rito italiano
(Gio.8,30-9,27)

La Haftarà narra di come Giosuè dette esecuzione a quanto comandato nella parashà riguardo allo scrivere la Torà sulle pietre ed alla proclamazione delle benedizioni sul monte Gherizim e delle maledizioni sul monte Eval.

Queste azioni messe in atto da Giosuè suscitarono allarme in tutti i re delle popolazioni insediate nella terra di Canaan, i quali, sentendosi minacciati, si allearono per combattere contro Israele.

Gli abitanti di Ghivon, che avevano avuto notizia della distruzione delle città di Gerico ed Ai operata da Giosuè, decisero di agire con astuzia. Si travestirono, pertanto, con abiti logori e presero del pane raffermo e ammuffito e si recarono da Giosuè dicendogli che essi venivano da tanto lontano, e prova ne erano gli abiti logori ed il pane ammuffito, e che desideravano sottomettersi e stipulare un patto di pace con il popolo d’Israele.

Impietositisi gli Israeliti alla vista di quei poveretti, Giosuè stipulò con loro un patto di pace e promise di lasciarli in vita.

Tre giorni dopo, però, Giosuè venne a sapere che essi avevano mentito e che non venivano da lontano, ma abitavano la terra presso di loro. Allora Giosuè mandò a chiamarli e chiese loro perché mai avessero mentito ed essi risposero di avere così agito per paura di essere sterminati.

Li salvò Giosuè dalla mano dei figli d’Israele, che non li uccisero, ma essi furono schiavi per sempre addetti a tagliare la legna ed ad attingere l’acqua a servizio del popolo e dell’altare del Signore.


Haftarà di Ki Tavò
secondo i riti spagnolo e tedesco
(Is.60,1-60,22)

Figli di stranieri costruiranno le tue mura, i loro re ti serviranno, perché Io ti avevo bensì colpita con il Mio furore, ma con la Mia benevolenza ho di te misericordia. Le tue porte saranno continuamente aperte giorno e notte, non verranno mai chiuse, perché ti venga recata la ricchezza delle genti ed a te siano condotti i re. Si, le genti ed i regni che non ti serviranno periranno, e quelle genti saranno distrutte.

E i figli di coloro che ti avevano tormentata verranno a te a capo chino, e tutti quelli che ti avevano oltraggiata si prostreranno ai tuoi piedi e ti chiameranno città del Signore Santo d’Israele.

Non si udrà più parlare di violenza nel tuo paese, di saccheggio e di rovine nel tuo territorio e tu chiamerai le tue mura mura di salvezza, e le tue porte porte di lode. Non sarà più il sole a farti luce di giorno, né sarà la luna che ti illuminerà per darti chiarore, il Signore sarà la tua luce per sempre, e il tuo D-o sarà la tua gloria.