domenica 29 gennaio 2012

Beshallach

(Es.13,17-17,16)

Quando finalmente partirono il Signore guidò i figli d'Israele verso la terra promessa ma non li diresse per la via più breve, perché questa attraversava il paese dei Filistei che avrebbero opposto una fortissima resistenza. Il Signore li fece perciò deviare attraverso il deserto arabico in direzione del Mar Rosso.

Mosè portava con sé le ossa di Giuseppe per seppellirle nella terra di Canaan, rispettando il giuramento che a suo tempo avevano fatto i figli d'Israele.

Il Signore li guidava di giorno con una colonna di nubi che indicava loro la direzione e di notte mediante una colonna di fuoco che rischiarava loro il cammino e consentiva quindi che potessero marciare giorno e notte. Il Signore disse a Mosè di deviare verso la costa e di accamparsi in riva al mare.

Quando la loro posizione venne riportata al Faraone, che già si stava rammaricando per l'aver perduto il suo popolo di schiavi, questi radunò in breve un esercito di carri e cavalieri e si lanciò all'inseguimento di Mosè e dei figli d'Israele. Gli Egiziani li raggiunsero e i figli d'Israele vedendoli avanzare verso di loro dissero a Mosé:

"Non c'erano abbastanza sepolcri in Egitto che ci hai trascinati a morire nel deserto? Che cosa mai ci hai fatto con il farci uscire dall'Egitto? E' proprio quello che ti abbiamo detto in Egitto: - Lasciaci stare e serviremo l'Egitto, perché era certamente per noi preferibile la schiavitù egiziana alla morte nel deserto."

Mosè rassicurò il popolo dicendo loro che stessero a guardare come il Signore sarebbe intervenuto per la loro salvezza. E il Signore disse a Mosè:

"Perché tu esclami a me? Ordina ai figli d'Israele di mettersi in cammino. E tu alza la tua verga, stendi il tuo braccio verso il mare e fendilo, e i figli d'Israele potranno atrraversare il mare all'asciutto. Io poi renderò ostinato il cuore degli Egiziani, ed essi entreranno dietro di loro nel mare, e allora Io dimostrerò la Mia potenza sul Faraone, sul suo esercito, sui suoi carri e la sua cavalleria. Così riconosceranno gli Egiziani che Io sono il Signore, quando avrò dimostrato la mia potenza sul Faraone, i suoi carri e la sua cavalleria."

La colonna di nubi inviata dal Signore si spostò nella posizione di retroguardia del popolo in marcia e produsse oscurità per gli Egiziani che li inseguivano, mentre nella notte la colonna di fuoco continuava a rischiarare il cammino ai figli d'Israele, sicchè la distanza tra gli inseguiti ed i loro inseguitori rimaneva inalterata.

Mosè distese il suo braccio sul mare e allora si levò per tutta la notte un potentissimo vento da oriente e la acque del mare si divisero formando come un muro a destra ed a sinistra. I figli d'Israele entrarono in mezzo, sul fondo del mare reso asciutto e presero ad attraversarlo. Anche gli Egiziani entrarono con tutti i carri e tutti i cavalieri per raggiungere il popolo d'Israele. Era l'alba e il Signore terrorizzò l'esercito del Faraone con dense nubi e colonne di fuoco e rese difficoltosa la loro avanzata e distaccò le ruote dei loro carri che si impantanavano nel fondo melmoso del mare.

Il Signore disse a Mosè:

"Stendi il tuo braccio sul mare e le acque si riverseranno sugli Egiziani, sui cocchi e sui cavalieri."

E così fece. E gli Egiziani fuggendo andavano contro le onde e così il Signore li sommerse nel mare e al mattino, quando le acque si furono calmate non ne rimase neppure uno in vita. Il Signore salvò in quel giorno Israele dalla mano degli Egiziani e Israele vide gli Egiziani cadaveri sulla riva del mare. Riconobbe allora Israele la mano potente che il Signore aveva dispiegato sull'Egitto ed ebbe venerazione per il Signore e prestò piena fede a Lui e a Mosè suo servo.

Cantò allora Mosè un canto di glorificazione al Signore per i prodigi che aveva fatto per la loro salvezza e la loro libertà. Il canto è comunemente noto come la "cantica del mare" e viene cantato in tutte le Sinagoghe durante lo Shacharit del Sabato mattina.

I figli d'Israele che attraversano il mare e il mare che si richiude sui loro inseguitori Egiziani è un episodio biblico meraviglioso che molto ha fatto discutere e commentare. Alcuni si sono limitati a ricercare la spiegazione razionale del fenomeno ed hanno attribuito la possibilità che le acque si siano aperte ad un maremoto generato dall'esplosione del vulcano di Santorini o dalla caduta di un meteorite. Ma la razionalità del fenomeno ha un'importanza del tutto incidentale per la narrazione biblica. Il messaggio racchiuso nella narrazione è un altro: c'è un oppresso e c'è il suo oppressore e l'oppresso si sottrae al suo oppressore, che nell'estremo tentativo di prevalere genera la sua stessa rovina. In questi termini sono vicende che nella storia dell'uomo sono avvenute più volte e non solo nell'ambito dello schiavismo vero e proprio, come fu quello dei neri d'America o delle popolazioni delle colonie degli stati europei. Oppressione oltre che verso altre nazioni può esserci anche da parte di una casta dominante verso il suo stesso popolo. Si verifica nell'oppresso un fenomeno di accumulo delle ingiustizie subite finchè non accade l'innesco, un episodio che catalizza tutti i risentimenti facendo esplodere la rivolta. Quando si arriva a questo punto sono generalmente vani i tentativi dell'oppressore di riassumere il controllo della situazione e l'eventuale insistenza in questo tentativo può generare il collasso dell'oppressore.

L'innesco della ribellione dei figli d'Israele fu generato da Mosè che trasmise loro la fiducia nel Signore e nel futuro che il Signore loro prospettava nella terra promessa. Cominciarono con ciò passo passo a trasformarsi da una massa di individui sottomessi ad un popolo con una precisa identità collettiva e la marcia di quarant'anni nel deserto a ciò sarebbe servita.

Partiti dal Mar Rosso arrivarono al deserto di Sciur e lo percorsero per tre giorni senza trovare acqua. Giunsero poi a Marà ma ancora non poterono bere perché le acque di Marà erano amare. Il popolo assetato cominciò a rumoreggiare contro Mosè ed egli implorò il Signore che gli diede conoscenza di un legno che gettato in acqua le rendeva dolci, e così egli fece. Fu in tale occasione che il Signore impose ad Israele statuti e norme:

"Se tu ascolterai attentamente la parola del Signore Dio tuo, e farai ciò che è retto ai Suoi occhi e sarai ubbidiente ai Suoi precetti e fedele ai Suoi statuti, alcuna di quelle piaghe con le quali ho colpito l'Egitto non ti toccherà poiché Io, il Signore, sono colui che ti da la salute."

Dopo una sosta ad Elim, luogo di sorgenti e grande vegetazione, giunsero al deserto di Sin. La comunità dei figli d'Israele mormorava nel deserto contro Mosè e Aron:

"Fossimo pur morti per mano del Signore in Egitto, assisi presso le marmitte contenenti carne e dove si mangiava pane in abbondanza, mentre ci avete condotti in questo deserto per far morire di fame tutto questo popolo."

Allora il Signore disse a Mosè:

"Ecco Io farò piovere per voi un nutrimento dal cielo, il popolo andrà a raccoglierne giorno per giorno quanto gli è necessario, in tal modo Io potrò sperimentarlo se egli vuole ubbidire alla Mia legge o no. Ma nel giorno sesto della settimana, quando prepareranno ciò che avranno portato dal campo, si troverà doppia razione del raccolto giornaliero."

Mosè disse ad Aron:

"Comanda a tutta la congrega del figli d'Israele: Avvicinatevi dinanzi al Signore, poiché ha ascoltato le vostre mormorazioni."

Ora mentre così parlava Aron alla congrega dei figli d'Israele, questi, rivolgendosi verso il deserto, videro apparire la maestà divina attraverso la nube.
Il Signore così parlò a Mosè:

"Io ho ascoltato le mormorazioni dei figli d'Israele. Parla loro in questi termini: Verso sera mangerete carne e al mattino seguente vi sazierete di pane, e così riconoscerete che Io sono il Signore Dio vostro."

E verso sera arrivarono le quaglie che, spossate dal lungo volo, ricoprirono tutto l'accampamento e furono facilmente catturate. Al mattino seguente uno strato di rugiada ricopriva il terreno attorno al campo e quando la rugiada evaporò rimase sul terreno uno strato di qualcosa di bianco e granuloso e al popolo incuriosito Mosè spiegò che quello era il pane che il Signore aveva promesso. Dette loro le regole per la raccolta e disse che nulla doveva essere messo da parte per il giorno dopo ma che al sesto giorno invece avrebbero avuto doppia razione anche quindi per il settimo giorno, il Sabato dedicato al Signore. Alla sostanza bianca, che aveva il sapore di frittella al miele, venne dato il nome di manna.

Mosè disse ad Aron di mettere in un'urna un quantitativo di manna pari ad un omer e di porla nell'Arca della Testimonianza come ricordo per le future generazioni.

Lasciarono il deserto di Sin e dopo varie peripezie si accamparono a Refidim, dove però mancava l'acqua e il popolo assetato ricominciò a ribellarsi a Mosè. E il Signore disse a Mosè:

"Avànzati alla testa del popolo accompagnato da alcuni fra gli anziani di Israele, e quella verga con la quale hai percosso il fiume in Egitto, prendila con te e va'. Ecco Io ti precederò là presso una rupe al monte Chorev, e tu batterai con la verga sul sasso dal quale uscirà l'acqua e il popolo ne berrà."

Così fece Mosè alla presenza degli anziani d'Israele.

A Refidim i figli d'Israele furono attaccati da 'Amalec. Mosè incaricò Giosuè di sostenere questo attacco e di combattere 'Amalec, dicendo che lui si sarebbe messo sulla sommità della collina tenendo in mano la verga del Signore. L'indomani ebbe inizio la battaglia e mentre Giosuè combatteva 'Amalec, Mosè con Aron e Chur salirono sulla sommità della collina. Ora finchè Mosè teneva le braccia alzate vinceva Israele; quando le abbassava vinceva 'Amalec. Aron e Chur presero allora a sostenere e tenere alzate le braccia di Mosè fino al tramonto del sole. La vittoria fu di Israele e Giosuè sconfisse 'Amalec, che pur vinto non fu però annientato.

Il Signore disse a Mosè:

" Scrivi in un libro il ricordo di questo grande avvenimento e trasmettilo oralmente a Giosuè, ché Io ho stabilito di cancellare la memoria di 'Amalec di sotto il cielo."

Mosè fece un altare che chiamò: Dio è la mia bandiera. E disse:

"Il Signore pone la mano sul Suo trono, guerra ad 'Amalec di generazione in generazione."

La lotta contro 'Amalec è la lotta contro il male che impegna ogni essere umano per tutte le generazioni. E' una lotta senza quartiere dall'alba al tramonto nella quale ognuno combatte fino allo stremo delle forze, nella quale ognuno può però essere aiutato, così come Aron e Chur aiutarono Mosè, per resistere e prevalere.

lunedì 23 gennaio 2012

Bo

(Es.10,1-13,16)

"Va' dal Faraone" disse il Signore a Mosè. Il Signore infatti, che aveva indurito il cuore del Faraone, intendeva operare su di lui i Suoi prodigi. E i Suoi prodigi li avrebbe compiuti anche:

"... allo scopo che tu possa raccontare a tuo figlio ed al figlio di tuo figlio ciò che Io ho operato in Egitto e i prodigi che ho eseguito in mezzo a loro in modo che riconosciate che Io sono il Signore."

Riferirono Mosè ed Aron al Faraone ciò che il Signore aveva detto loro, e che dunque lasciasse andar il Suo popolo a prestargli culto, e che altrimenti l'indomani le cavallette avrebbero invaso tutto l'Egitto e avrebbero divorato tutta la vegetazione, quella rimasta che era scampata alla grandine. Il Faraone parve accettare che gli ebrei andassero a prestare culto al loro Dio, ma quando chiese chi sarebbe andato a questo scopo nel deserto e gli fu risposto che tutto il popolo sarebbe andato, uomini, donne, vecchi e bambini e che con sè avrebbero portato tutto il loro bestiame grosso e minuto, egli si irrigidì e negò ancora una volta il suo consenso.

L'indomani, per comando del Signore, Mosè stese la mano sulla terra d'Egitto ed un vento orientale prese a soffiare per tutto il giorno e la notte seguente. Il vento portò le cavallette in numero così grande da oscurare la luce del sole. Si posarono le cavallette su tutta la terra d'Egitto e ne divorarono tutta la vegetazione. Il Faraone mandò a chiamare Mosè ed Aron e chiese di far cessare questo flagello:

"Io ho peccato verso il vostro Dio e verso di voi. Or dunque perdona la mia colpa per questa volta e pregate il Signore Dio vostro perché mi liberi da questo flagello."

Ancora una volta la preghiera del Faraone fu ascoltata e venne un vento d'occidente che spazzò via tutte le cavallette e neanche una ne rimase in Egitto. Ma il Signore rese ancora ostinato il cuore del Faraone, che non lasciò andar via i figli d'Israele.

Disse allora il Signore a Mosè di stendere la sua mano verso il cielo e così le tenebre ricoprirono tutto l'Egitto per la durata di tre giorni. Anche adesso il Faraone chiamò Mosè e gli disse che andasse pure lui ed il suo popolo, uomini, donne, vecchi e bambini a prestare culto al suo Dio ma che lasciassero il loro bestiame. Mosè rispose che avrebbero portare anche il bestiame e che anzi il Faraone avrebbe dovuto aggiungerne dell'altro affinchè essi potessero fare i sacrifici e gli olocausti secondo il culto che il Signore richiedeva. Ma il Signore rese ancora ostinato il cuore del Faraone che scacciò Mosè dalla sua presenza, ammonendolo a non comparirgli più davanti, che altrimenti l'avrebbe messo a morte.

Il Signore disse a Mosè che con una piaga ancora avrebbe colpito il Faraone e l'Egitto, e questa volta i figli d'Israele sarebbero stati lasciati liberi di andarsene, anzi sarebbero stati scacciati dall'Egitto. Era necessario però che prima di andar via ogni uomo e ogni donna chiedesse ai propri compagni egiziani oggetti d'oro o d'argento da portare via con sé.

E allora Mosè disse al Faraone:

"Così ha parlato il Signore: Verso mezzanotte Io Mi avanzerò attraverso l'Egitto e allora morrà ogni primogenito egiziano, da quello del Faraone erede al trono, fino a quello della schiava che fa girare la macina, e tutti i primogeniti delle bestie. E si produrrà un grande grido in tutto il paese di cui non si ha ricordo nel passato e quale non vi sarà in avvenire. Ma contro i figli d'Israele neppure un cane abbaierà né contro di loro né contro il bestiame, in modo che conoscerete che il Signore fa distinzione fra gli Egiziani e gli Ebrei. E tutti i servitori che ti attorniano verranno da me e inchinandosi mi inviteranno ad andarmene insieme al mio popolo che è dietro di me; dopo di ciò me ne andrò."

E quando ebbe finito Mosè se ne andò lasciando il Faraone indignato. Anche questa volta il Signore indurì il cuore del Faraone, che non cedette alla richiesta di lasciare andare i figli d'Israele a prestare culto nel deserto.

Il Signore parlò a Mosè ed Aron e disse loro che il mese nel quale si trovavano, il mese di Nisan, sarebbe stato da allora in poi il primo mese dell'anno e che essi avrebbero dovuto parlare alla comunità d'Israele chiedendo che ogni capo famiglia procurasse per ogni casa un capretto o un agnello maschio, senza difetti e di un anno di età. Il quattordici di Nisan gli animali sarebbero stati scannati in tutta la comunità e con il loro sangue sarebbe state aspersi gli stipiti e l'architrave della porta d'ingresso di ogni casa degli ebrei. Nella stessa notte sarebbe stata consumata frettolosamente tutta la carne delle bestie sacrificate e arrostite intere.
E ancora il Signore proseguì dicendo quello che Egli avrebbe fatto in quella notte e ciò che i figli d'Israele avrebbero dovuto fare nell'avvenire per celebrare Lui, il Signore :

"Io percorrerò il paese d'Egitto in quella notte e percuoterò ogni primogenito nel paese d'Egitto dall'uomo alla bestia e farò giustizia di tutte le divinità egiziane, Io sono il Signore. Il sangue di cui saranno tinte le case ove abitate vi servirà di segnale; riconoscendo questo segnale, Io vi passerò oltre e il flagello non avrà presa su di voi allorchè colpirò l'Egitto. Questo giorno sarà da voi commemorato e lo celebrerete quale festa in onore del Signore per le vostre generazioni, sia festività d'istituzione perenne. Per sette giorni mangerete azzime, ma prima che giunga il primo giorno toglierete dalle vostre case ogni lievito; poiché chiunque mangi sostanze lievitate dal primo giorno fino al settimo sarà recisa quella persona di mezzo ad Israele. Il primo giorno vi sarà sacra convocazione e altrettanto il settimo giorno. Nessun lavoro si farà in questi due giorni ad eccezione di ciò che è necessario per il cibo di ognuno: quello solamente si potrà fare. Osserverete dunque la festa delle azzime perché è in questo stesso giorno che Io ho fatto uscire le vostre schiere dal paese d'Egitto, osserverete quindi questo giorno in tutte le vostre future generazioni quale statuto eterno. Nel primo mese, nel quattordicesimo giorno a sera, mangerete azzime fino al ventunesimo giorno a sera. per sette giorni non si troverà lievito nelle vostre case, poichè chiunque mangi sostanza lievitata sarà recisa quella persona dalla comunità d'Israele, si tratti di straniero residente nel vostro paese o d'indigeno. Alcuna cosa lievitata non mangerete; in tutte le vostre abitazioni mangerete pani azzimi."

Mosè radunò gli anziani e disse loro quanto il Signore gli aveva comunicato e chiese di fare tutto quanto Egli aveva richiesto. Il popolo si inchinò, si prostrò e si affrettò ad eseguire le richieste del Signore.

A mezzanotte morì ogni primogenito d'Egitto, sia di uomini che di animali. Morì anche il primogenito del Faraone e non vi era casa dove non vi fosse un morto. Nottetempo il Faraone chiamò Mosè e Aron e disse loro:

"Presto andatevene di mezzo al mio popolo, voi e i figli d'Israele, andate a prestare culto al Signore secondo le vostre richieste. Prendete con voi il vostro bestiame minuto e grosso come avete detto, e andatevene; benedite anche me."

E gli Egiziani fecero pressioni sugli Ebrei perché facessero presto ad andarsene. E i figli d'Israele portarono via la pasta prima che lievitasse. E gli Egiziani dettero loro vasi d'oro e d'argento e indumenti.

Partirono i figli d'Israele da Ra'mses dirigendosi verso Succoth, che è al confine dell'Egitto, e i maschi adulti erano in numero di seicentomila. Si unì a loro una quantità di appartenenti ad altre popolazioni. Avevano vissuto gli Ebrei in Egitto per quattrocentotrenta anni.

Quella notte fu consacrata al Signore e in ricordo dell'uscita dall'Egitto per tutte le generazioni sarà celebrato il sacrificio pasquale, che verrà consumato in ogni casa, senza trasportare la carne al di fuori e senza rompere alcun osso della bestia sacrificata. Tutti i figli d'Israele vi prenderanno parte, nessun incirconciso ne mangerà. Solamente se circonciso lo straniero potrà celebrare la Pasqua del Signore unitamente ai figli d'Israele.

Quindi il Signore parlò ancora a Mosè e disse:

"Consacra a me ogni primogenito, ogni primo parto tra i figli d'Israele sia di uomo che di bestia di proprietà di un Ebreo, appartiene a Me."

Mosè parlò al popolo dicendo che i figli d'Israele avrebbero dovuto ricordare questo giorno in cui il Signore li fece uscire dall'Egitto celebrando nel mese queste cerimonie. Per sette giorni avrebbero mangiato pane azzimo e non avrebbero tenuto nella propria casa sostanze lievitate. Avrebbero spiegato ai loro figli:

"Noi pratichiamo questo culto in onore del Signoreper tutto quello che Egli operò in mio favore alla mia uscita dall'Egitto."

Queste parole, proseguì Mosè, le porterete sul vostro braccio ed in mezzo ai vostri occhi affinchè con questi segni esteriori la dottrina del Signore si compenetri in voi. Da qui trae dunque origine l'obbligo di indossare quotidianamente i tefillin, che sono delle scatolette cubiche di cuoio contenenti piccole pergamene recanti versetti biblici. I tefillin si legano con striscie di cuoio alla fronte e all'avambraccio. Cederete al Signore, proseguì Mosè, ogni primogenito sia esso uomo o animale che verrà a Lui consacrato. Il primogenito di uomo verrà riscattato e quando vostro figlio vi chiederà il significato di tutto questo, voi gli direte:

"Con mano potente ci trasse il Signore dall'Egitto, dal paese di schiavitù. Quando il Faraone rifiutò ostinatamente di lasciarci in libertà, allora il Signore colpì a morte ogni primogenito in Egitto tanto fra gli uomini tanto fra le bestie. Appunto per questo io offro al Signore ogni primo parto maschio adatto ad essere sacrificato ed ogni primogenito fra i miei figli debbo riscattare."

Il riscatto del primogenito, Pidyon ha-Ben, è una cerimonia che si esegue per i primogeniti maschi da parte di un Cohen, dietro il pagamento d'uso di cinque Shekalim. Lo Shekel è una moneta del peso fisso di circa 12 grammi d'argento, pari al peso del Siclo del Santuario.

Dunque la vicenda delle piaghe d'Egitto si è conclusa. ll Faraone che inizialmente aveva assunto un atteggiamento altezzoso e che aveva detto "Chi è questo Dio a cui debbo ubbidire?" perde man mano la propria alterigia, diventa sempre più disorientato, mentisce quando promette la libertà e poi non mantiene. Ma il Faraone è diventato strumento della volontà del Signore: è il Signore che ne indurisce il cuore ed è per volontà del Signore che egli nega ai figli d'Israele la libertà di culto. Il Faraone, quando sarà toccato direttamente nella propria carne per la morte del figlio, si mostrerà disperato di fronte alla potenza, per lui oscura, di questo Dio, che rimarrà peraltro a lui sostanzialmente incomprensibile, a lui che si riteneva ed era ritenuto una divinità in terra. Ma anche dopo, come vedremo, il Faraone sarà animato da spirito di vendetta e non già dalla rassegnazione per essersi dovuto piegare al vero Dio più grande di lui, il Signore.

La vicenda delle piaghe d'Egitto ha visto manifestarsi una sostanziale evoluzione del popolo dei figli d'Israele. Della condizione iniziale di abbrutimento fisico e morale conseguente alla dura schiavitù due fatti sono emblematici: la frase che uno dei litiganti disse a Mosè "Chi ti ha delegato capo e giudice su di noi?" (Es.2,14) e il fatto che quando egli riportò loro la parola del Signore i figli d'Israele "non ascoltarono Mosè per la depressione di spirito in cui si trovavano e per la durezza del servaggio." (Es.6,9). Il succedersi delle piaghe che si abbatterono sull'Egitto, lasciando peraltro indenni loro, gli Ebrei, fece sì che il loro maturasse un risveglio ed un senso di appartenenza, che germogliasse insieme alla speranza un primo senso di disciplina e di riconoscimento del ruolo che Mosè avrebbe assunto per condurli alla terra promessa.

lunedì 16 gennaio 2012

Purim di Tripoli

Ogni persona che ha beneficiato di un Miracolo Evidente ( נס גלוי Nes Gallui) festeggerà ogni anno l'anniversario di questo avvenimento.
Così pure ogni Comunità Ebraica del mondo decreta un giorno di festa nel giorno in cui è avvenuto un determinato Miracolo Evidente che ha salvato la comunità da una determinata minaccia.
Molto spesso questi giorni sono chiamati con il nome di "Purim" con l'aggiunta di un suffisso che ne ricorda il Nes particolare.

La Comunità Tripolina ha due Purim aggiunti, chiamati פורים אשריף 'Purim Ashrif' e פורים בורג'ול 'Purim Burgiul' che cadono rispettivamente il 23 e il 29 di Tevet, quest'anno corrispondenti al 18 ed al 24 gennaio.
Durante la celebrazione dello Shabbat precedente si legge, dopo il קדיש תתקבל 'Qaddish Titqabal' e subito dopo la Teffillàh Shakharit, una cantica chiamata מי כמוכה 'Mi Kamokhà', dedicata all'avvenimento, similmente a quanto avviene durante lo Shabbat che precede Purim. Chi non ha la possibilità di farlo in quel momento può leggere la cantica anche successivamente, per non perdere la lettura in pubblico della Toràh HaQedoshàh. E' possibile trovare il testo del Mi Kamokhà nel libro "Minhaghè Luv", nel capitolo relativo ai "Minhaghè Purim".
Nel giorno stesso del Purim:
- si usa regalare delle משלוח מנות Mishloach Manot ad almeno un ebreo (tripolino, poichè gli altri non hanno nessuna Mizwàh);
- si evita di lavorare se possibile, a meno che l'astenersi dal lavoro non sia fonte di perdita o ricorrano le condizioni per cui è possibile lavorare di Chol HaMo'ed;
- a Shakharit non si recitano i תחנונים Tachanunim e si leggono al loro posto due Mizmorè Tehillim, il מן המצר "Min HaMetzar" (Tehillim 118) e l'הלל הגדול Hallel HaGadol (Tehillim 136). Però nel caso in cui il pubblico reciti i Tachanunim è necessario recitarli ugualmente. Quindi i casi in cui è possibile non recitarli sono o quando non c'è minjian oppure quando il minjian è di soli tripolini. Questa usanza è strettamente tripolina e non ha senso che gli altri la attuino, poichè non hanno attinenza col Nes avvenuto, quindi non hanno alcuna Mizwàh al proposito. Inoltre non è bene per loro perdere i tachanunim, che costituiscono elementi della Teffillàh tra i più importanti.
Gli avvenimenti storici connessi ai due Purim tripolini sono qui di seguito sinteticamente riportati.


Purim Ashrif

Nell'anno 5465 (1705 E.V.) pirati guidati dal governatore libico, un ex-generale che aveva preso il potere con la forza, depredarono una nave che recava doni del governo egiziano destinati al governo tunisino. Per vendicare questo affronto, il Bey di Tunisi Abrahim iAshrif condusse in Libia un esercito10.000 soldati scelti, con lo scopo di fare strage degli abitanti di Tripoli senza alcuna distinzione.
Il governatore libico tenta di fare opposizione, ma invano, poichè gran parte delle sue truppe sono morte per una pestilenza avvenuta poco prima. Dopo la caduta del governatore libico, gli Abrahim di Tripoli e circostanti cercarono invano di placare l'ira di Ashrif, convincendo uno dei suoi generali a parlargli per ottenere la pace. Ma ogni sforzo fu inutile, poichè Ashrif voleva completare la sua vendetta.
La comunità ebraica di Tripoli, guidata dal Dayan Rabbenu Yossef 'Aghiv ז"ל, decretò giornate di digiuno pubblico, mentre fervevano i lavori per la difesa della città. L'assedio durò diversi mesi, mentre il Rash'à metteva a ferro e fuoco le periferie della città, con violenze saccheggi e distruzioni. Nel mese di Kislev però avvenne che duemila soldati del Bey fossero trovati massascrati e la cosa provocò lo sconcerto dei loro commilitoni. Dopo un mese, il 23 di Tevet il Bey Ashrif abbandonò definitivamente l'assedio senza ragione apparente. La Minaccia era scampata e i chakhamim fissarono quel giorno di festeggiamenti come Purim per tutte le future generazioni!


Purim Burgiul

Nell'anno 5553 (1793 E.V.). Alì Burgiul, arrivò a Tripoli dalla Turchia con 9 navi cariche di milizie ed effettuato un colpo di stato governò per due anni la città, opprimendo le persone, e in particolare gli ebrei di Tripoli,con violenze e abusi al fine di estorcere loro denaro. Nel 5555 (1795 E.V.) Burgiul fece ferocemente bruciare sul rogo due giovani ebrei e sottomise l'intera Comunità ebraica, costringendo persino i bambini ai lavori forzati e a fare חילול שבת Chillul Shabbat, la sconsacrazione dello Shabbat, tutto per soddisfare la sua smania di ricchezza. A questo punto vi fu una rivolta popolare e Burgiul fu costretto a scappare e la città di Tripoli e la popolazione ebraica furono salve. La storia completa viene descritta nel Mi Kamokhà di Rav Avraham Khalfo, grande rabbino tripolino dell'epoca.

(contenuti tratti con adattamenti da Deror Yqrà)

domenica 15 gennaio 2012

Va'erà

(Es.6,2-9,35)

Comincia qui la narrazione relativa alle cosiddette piaghe d'Egitto che terminerà poi nella parashah successiva. Anche qui si manifestano alcune considerazioni a commento dei fatti narrati che esamineremo via via strada facendo.

Il Signore disse a Mosè di avere ascoltato il gemito dei figli d'Israele schiavi in Egitto e di essersi ricordato del patto che aveva fatto con Abramo, Isacco e Giacobbe. Mosè avrebbe quindi detto ai figli d'Israele che il Signore li avrebbe liberati dalla schiavitù, eleggendoli come popolo a Lui appartenente e li avrebbe introdotti nella terra che aveva promessa ai loro padri.

Mosè riportò le parole del Signore ai figli d'Israele, ma essi non l'ascoltarono, tanto il loro animo era depresso per la dura schiavitù cui erano sottoposti.

Il Signore disse allora a Mosè:

"Va' dal Faraone e chiedigli che lasci andar via dal suo paese i figli d'Israele."

e Mosè replicò:

"Già i figli d'Israele non mi hanno ascoltato, come potrebbe il Faraone dare ascolto a me, che per giunta sono balbuziente?"

Il Signore allora parlò a Mosè e ad Aron insieme per dare loro l'incarico di recarsi dal Faraone a chiedere la liberazione e l'uscita dall'Egitto del popolo d'Israele.
Aron era il fratello maggiore di Mosè e quando avvennero questi fatti essi avevano rispettivamente ottantatre ed ottanta anni.

Sarebbero andati dal Faraone, disse il Signore, e Mosè avrebbe detto ad Aron quello che Lui, il Signore, gli aveva comandato ed Aron avrebbe parlato al Faraone chiedendogli di lasciar partire i figli d'Israele dal suo paese. Ma il Faraone, proseguì il Signore, non li avrebbe ascoltati e avrebbe negato la liberazione del popolo d'Israele e la sua ostinazione sarebbe stata vinta solo dopo che una serie di tremendi castighi divini avessero percosso l'Egitto.

Il Signore, rivolto a Mosè ed Aron, disse ancora:

"Quando il Faraone vi dirà di dargli una prova della vostra missione, tu Mosè dirai ad Aron di gettare la sua verga in terra davanti al Faraone e la verga si tramuterà in serpente."

E così avvenne, ma quando Aron gettò la verga in terra e questa si tramutò in serpente, il Faraone fece venire i suoi maghi che fecero altrettanto, il serpente di Aron però divorò i serpenti dei maghi. Ma il Faraone non si convinse e né li volle più ascoltare.

Ecco quindi che in questa parte iniziale ha preso corpo la distinzione fra i due fratelli. Aron il primogenito, come spesso avviene proprio ai primogeniti nella narrazione biblica, non brilla di luce propria ma di luce riflessa, ha il compito di supportare il fratello minore Mosè e di eseguire quello che lui gli dice per ispirazione divina. Mosè, d'altra parte, è la figura di primo piano, che dialoga con il Signore ricevendone indicazioni, istruzioni e ordini, ma che ha però un impedimento a parlare con gli uomini. Potremmo dire che Mosè è la mente e Aron il braccio. Vedremo Aron essere il capostipite della classe sacerdotale, eppure sarà Mosè a dialogare con il Signore e sarà Mosè l'unico uomo ad aver visto il Signore, di spalle. E' probabile che si sia voluta esprimere una distinzione tra Mosè che è il conduttore del popolo che procede seguendo un tracciato ispirato dal Signore e Aron che è il custode pedissequo dei rituali religiosi e di quelle norme che poi confluiranno nelle norme halakiche. La complementarità tra le due figure ci fa azzardare l'ipotesi che potrebbe persino trattarsi dei due aspetti di una stessa persona, in ciò rafforzati dall'indulgenza che Mosè dimostrerà ad Aron nell'episodio del vitello d'oro, come vedremo più avanti.

Disse allora il Signore a Mosè di recarsi al mattino sulla riva del Nilo dove avrebbe incontrato il Faraone e gli avrebbe detto:

"Il Signore Dio degli Ebrei mi manda a te per dirti: Lascia in libertà il Mio popolo che Mi presti culto nel deserto; ma tu non hai obbedito finora. Così dice il Signore: Ecco ciò che ti farà conoscere che Io sono il Signore: Io vado a battere con la verga che ho in mano le acque del fiume, ed esse si convertiranno in sangue. I pesci del fiume morranno e il fiume imputridirà, cosicché gli Egiziani non potranno più bere l'acqua del fiume."

Aron, così come Mosè gli aveva detto, stese la mano con la verga sulle acque e tutte le acque d'Egitto si tramutarono in sangue. Ma poiché anche i maghi egiziani fecero altrettanto, il Faraone non dette ascolto alla richiesta del Signore che Mosè gli aveva riferito.

Dopo sette giorni il Signore disse a Mosè di recarsi nuovamente dal Faraone e dirgli:

"Così comanda il Signore: lascia andare via il Mio popolo affinché Mi presti culto. Che, se tu rifiuti la liberazione, Io mi appresto a infestare tutto il tuo territorio con le rane. Il fiume brulicherà di rane che verranno a galla e si spargeranno nella tua casa, nella tua stessa camera dove dormi, sul tuo letto, nelle case dei tuoi servi, in quelle del tuo popolo, nei tuoi forni e nelle tue madie. Le rane andranno addosso a te stesso, al tuo popolo e ai tuoi servi."

Aron, così come comandato da Mosè, stese la mano sulle acque d'Egitto e le rane si sollevarono dal fiume invadendo tutto il paese. Altrettanto fecero anche i maghi e l'invasione delle rane divenne insopportabile.

Il Faraone mandò a chiamare Mosè e Aron e disse loro di pregare il Signore di allontanare le rane dal paese e che egli allora avrebbe fatto partire il popolo d'Israele affinchè prestasse culto al Signore.
Mosè e Aron rivolsero preghiera al Signore perchè cessasse l'invasione delle rane e il Signore li ascoltò e le rane scomparvero dall'Egitto. Ma il Faraone ancora una volta indurì il suo cuore e non li ascoltò.

Allora il Signore disse a Mosè di dire ad Aron di stendere la sua verga e di batterla sulla polvere della terra che così si sarebbe mutata in zanzare. Le zanzare invasero tutto il paese e si annidarono sugli uomini e sul bestiame. I maghi non riuscirono a far sparire gli insetti, ma il cuore del Faraone rimase indurito e non dette ascolto alla richiesta del Signore.

Il Signore disse a Mosè di recarsi l'indomani dal Faraone per dirgli:

"Così dice il Signore: Lascia andare il Mio popolo che Mi presti culto. Che se tu rifiuti di lasciare in libertà il Mio popolo Io manderò contro di te, i tuoi servi e il tuo popolo, dentro le tue abitazioni un miscuglio di mosconi dannosi che invaderanno le case egiziane e il territorio sul quale gli Egiziani dimorano. E in quel giorno farò distinzione fra la terra di Gòshen in cui risiede il Mio popolo, nella quale non vi sarà castigo, affinché tu riconosca che Io solo sono il Signore della terra. Sì! Farò distinzione fra il Mio popolo e il tuo, domani avverrà questo prodigio."

E così avvenne e tutto il territorio d'Egitto fu invaso da miscugli di mosconi dannosi. Il Faraone mandò a chiamare Mosè e Aron e disse loro:

"Andatevene, fate sacrifici al vostro Dio rimanendo nel paese."

Mosè rispose che questo non era possibile, giacché per effettuare i loro sacrifici avrebbero dovuto immolare animali che gli Egiziani consideravano sacri e se l'avessero fatto in Egitto sarebbero stati certamente uccisi. Concluse pertanto Mosè:

"Noi vogliamo andare nel deserto per un cammino di tre giorni e là offriremo sacrifici al Signore Dio nostro come Egli ci comanderà."

Il Faraone rispose:

"Vi lascerò andare a far sacrifici al Signore Dio vostro nel deserto, ma non vi allontanate troppo. Pregate intanto perchè cessi la piaga dei mosconi."

Mosè pregò il Signore e cessò l'invasione dei mosconi. Anche questa volta però, nonostante Mosè l'avesse sollecitato a mantenere la promessa, il Faraone indurì il suo cuore e non volle lasciar andare i figli d'Israele.

Il Signore disse a Mosè di recarsi dal Faraone per dirgli:

"Così comanda il Signore Dio degli Ebrei: lascia andarre via il Mio popolo affinché Mi presti culto. Che se tu rifiuti di liberarlo e ancora persisti nel trattenerlo, la mano del Signore si poserà sul tuo bestiame che è nella campagna, sui cavalli, gli asini e i cammelli, sul bestisme grosso e minuto con una terribile pestilenza. E il signore farà una distinzione fra il bestiame d'Israele e quello d'Egitto, né perirà alcunché di quanto appartiene ai figli d'Israele."

L'indomani una terribile pestilenza si abbattè sul bestiame degli Egiziani, che morì completamente, mentre tra quello dei figli d'Israele non morì nemmeno un capo.
Anche questa volta il Faraone rimase ostinato e non lasciò andar via il popolo d'Israele.

E allora il Signore disse a Mosè e Aron di prendere con le mani fuliggine di fornace e gettarla in aria alla presenza del Faraone. La fuliggine sarebbe diventata pulviscolo nell'aria di tutto l'Egitto e posandosi su uomini e animali avrebbe prodotto ulcerazioni sulla loro pelle. I maghi, essi stessi vittime delle ulcerazioni, erano impotenti davanti a Mosè. Nonostante questo il Faraone anche questa volta rimase ostinato e non dette ascolto.

Il Signore disse a Mosè di recarsi l'indomani di buon mattino dal Faraone per dirgli che il giorno seguente sarebbe avvenuta una grandinata di una intensità tale che non c'era memoria nella storia d'Egitto e che tutto quanto fosse rimasto all'aperto, compresi uomini e animali, sarebbe stato distrutto.
E così avvenne e l'indomani tutto il paese fu devastato dalla grandine, tutta l'erba e gli alberi furono distrutti e furono distrutti anche uomini e animali che non avevano trovato riparo.

Il Faraone mandò a chiamare Mosè e Aron e disse loro che riconosceva il proprio peccato e che il Signore era nel giusto mentre lui e il suo popolo erano colpevoli. Chiese il Faraone, ancora una volta, che pregassero il Signore affinché cessasse il flagello della grandine. E Mosè pregò il Signore e il Signore fece cessare la grandine. Ma il Faraone, visto che la devastazione era cessata, mantenne ancora una volta il suo cuore indurito e non dette ascolto alle richieste del Signore.

La vicenda delle piaghe d'Egitto, come quella che vedremo dell'apertura delle acque del Mar Rosso, possono essere fatti leggendari che traggono spunto da catastrofi naturali effettivamente verificatesi all'epoca ed a questo proposito si parla dell'esplosione del vulcano di Santorini o dell'impatto di un meteorite, ma certamente la narrazione non si prefigge l'esposizione di fenomeni naturali avvenuti. Il contenuto della narrazione trascende i fatti reali ed ha contenuto di insegnamento morale e religioso.

Cerchiamo di capire il comportamento del Faraone e più ancora cerchiamo di capire come mai il Signore sembri aver in un certo qual senso collaborato al dilungarsi di tutta la vicenda indurendo Lui stesso il cuore del Faraone, sovrapponendosi quindi alla sua facoltà di libero arbitrio.

Il Faraone era considerato in Egitto una divinità e come tale egli agiva e si comportava. E' naturale quindi che egli considerasse un oltraggio che qualcuno andasse da lui a dirgli che il suo Dio straniero ordinava che egli facesse qualcosa che tra l'altro lui non intendeva fare. Gli schiavi ebrei erano una risorsa, una ricchezza di mano d'opera, grazie alla quale il Faraone poteva realizzare nuove città e nuovi magazzini per le granaglie, che lo avrebbero messo al riparo da future carestie. Temeva il Faraone di perdere i suoi schiavi, temeva che fuggissero se mai li avesse autorizzati a recarsi per tre giorni nel deserto. La sua ostinazione derivava dal fatto, che egli valutava la possibile perdita degli schiavi un danno molto più grave rispetto a quelli che potevano produrre piaghe passeggere, che egli peraltro riusciva, a costo anche di mentire, a non far durare più di tanto.

Ma perché il Signore sembra aver tirato per le lunghe? Perché invece che indurire il cuore del Faraone, non lo ha invece intenerito come fece con la figlia del Faraone? La narrazione non si dilunga su un aspetto, vi fa cenno velocemente quando Mosè aveva parlato al popolo ma non era stato ascoltato. Questo aspetto è importante perchè riguarda il destinatario della liberazione. Il popolo era stremato a tal punto dalla schiavitù, era così istupidito dalla stanchezza, da non riuscire nemmeno a seguire un discorso. Occorreva che accadesse qualcosa, una serie di cose, una serie di prodigi che potessero scuotere questo popolo e risvegliarne l'attenzione e l'aspettativa per il proprio futuro. Questi fatti prodigiosi sono le disgrazie che capitarono agli Egiziani e che lasciarono indenni gli Ebrei che abitavano la regione di Gòshen.

domenica 8 gennaio 2012

Shemot

(Es.1,1-6,1)

Le persone di Giacobbe e dei suoi figli che si stabilirono in Egitto erano inizialmente in numero di settanta. Essi crebbero e si moltiplicarono di numero nel tempo, divennero potenti ed il paese fu pieno di loro.

Era ormai trascorso molto tempo dalla morte di Giuseppe quando ascese al trono d'Egitto un nuovo Faraone che si dimostrò preoccupato per la forte presenza del popolo d'Israele nel suo paese e decise perciò di assoggettarlo a schiavitù. Furono affidati agli ebrei gravosi lavori per la costruzione di nuove città ed ogni sorta di duri lavori di campagna e tutti questi lavori si dovevano eseguire sotto la severa sorveglianza di preposti ai lavori che angariavano il popolo d'Israele. Ma quanto più gli ebrei venivano oppressi, tanto più continuava ad aumentare il loro numero, sicché il Faraone prese una decisione risolutiva. Decise il Faraone che tutti i nuovi nati maschi degli ebrei venissero uccisi e che rimanessero in vita solamente le femmine.

Un uomo delle tribù di Levi di nome Amram sposò una ragazza della sua stessa tribù, di nome Jochèved, e dalla loro unione nacque per prima una bambina di nome Miriam e successivamente un maschio. Il bambino fu tenuto nascosto per tre mesi e poi, poiché aumentava il rischio della sua scoperta, fu abbandonato in una cassetta di papiro lasciata galleggiare sulle acque del fiume. Miriam rimase in distanza ad osservare quello che sarebbe successo.

Ora la figlia del Faraone aveva l'abitudine di bagnarsi nelle acque del fiume mentre le sue ancelle la seguivano lungo la riva. Ella vide la cassettina che galleggiava e la fece prendere. La aprì e quando vide un bambino che piangeva si intenerì e pensò:

"Questo è certamente un bambino degli Ebrei."

Miriam si era nel frattempo avvicinata al luogo dove la principessa e le sue ancelle stavano intorno al bambino e disse alla principessa:

"Vuoi che vada a chiamare una balia fra le Ebree per allattare il bambino?"

La figlia del Faraone acconsentì e Miriam corse a chiamare sua madre. Fu così che la figlia del Faraone affidò senza saperlo il bambino alla sua stessa madre affinchè lo allattasse. Quando il bambino fu grandicello fu ricondotto alla figlia del Faraone, che lo considerò come proprio figlio e gli pose nome Mosè perché l'aveva salvato dall'acqua.

Mosè crebbe e in qualche modo venne a sapere delle sue origini. Si recò a vedere i suoi fratelli ebrei e vide i duri lavori cui erano sottoposti. Un giorno vide un sorvegliante egiziano che batteva duramente uno dei suoi fratelli ebrei e, visto che intorno non c'era nessuno, lo affrontò, lo percosse a morte e lo nascose nella sabbia. Il giorno dopo si recò nuovamente presso i suoi fratelli e vide due Ebrei che litigavano tra loro e cercò di fare da paciere, ma uno dei due gli disse:

"Chi ti ha delegato capo e giudice su di noi? Penseresti forse di uccidermi come hai ucciso quell'Egiziano?"

Il fatto dunque si era risaputo e quando arrivò all'orecchio del Faraone, questi cercò di mandare a morte Mosè. Ma Mosè fuggì nella terra di Midian e qui giunto sostò presso un pozzo, dove aiutò le sette figlie di Ithrò, sacerdote di Midian, ad abbeverare il proprio gregge. Le ragazze tornarono a casa ed il padre chiese loro come mai avessero fatto così presto. Raccontarono al padre dell'Egiziano che le aveva aiutate ad abbeverare il gregge e le aveva anche difese dalla violenza dei pastori. Ithrò offrì ospitalità a Mosè, che accettò, e gli diede in moglie la figlia Tziporah. Mosè ebbe un figlio da Tziporah che chiamò Ghershom.

Dopo lungo tempo da questi fatti morì il Faraone d'Egitto e l'implorazione dei figli d'Israele giunse al Signore, che ricordò il patto stipulato con Abramo,Isacco e Giacobbe.

Mosè pascolava il gregge di Ithrò e guidando le pecore attraversò il deserto ed arrivò alle propaggini del monte Sinài. Qui gli apparve una fiamma in mezzo ad un roveto ed egli vide che il roveto ardeva ma non si consumava e volle avvicinarsi per comprenderne la ragione. "Mosè, Mosè" gridò una voce e lui rispose "Eccomi". Allora il Signore disse:

"Non avvicinarti oltre, togliti le scarpe dai piedi perché il terreno sul quale stai è suolo sacro."

E proseguì il Signore, dicendo:

"Io sono Iddio di tuo padre, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe."

Mosè nascose la faccia perché aveva timore di guardare il Signore. Ed il Signore gli disse di avere ascoltato il grido del Suo popolo e di avere deciso di trarlo fuori dall'Egitto e di farlo salire ad una terra fertile e spaziosa, un paese stillante latte e miele. Perciò, continuò il Signore, Mosè si sarebbe recato dal Faraone come Suo delegato, per chiedere la liberazione del Suo popolo dall'Egitto.
Disse Mosè di avere timore di recarsi dal Faraone per fare questa richiesta ed il Signore lo rassicurò dicendogli che sarebbe stato con lui. E ancora Mosè disse al Signore:

"Ecco quando mi presenterò ai figli d'Israele e annunzierò loro: - Il Signore dei padri vostri mi manda a voi. Se essi mi chiederanno qual'è il nome di Lui, cosa dovrò rispondere?"

E il Signore rispose:

"Io sono quello che sono."

e aggiunse:

"Io sono mi manda a voi."

Inoltre così disse il Signore a Mosè:

"Annunzia ai figli d'Israele che è il Signore dei vostri padri, Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe che m'invia a voi. Questo è il mio nome in perpetuo, questo il modo di designarmi attraverso le generazioni."

E proseguì dicendogli di raccogliere gli anziani d'Israele ed annunziare loro la rivelazione ricevuta dal Signore di trarli fuori dalla terra d'Egitto e farli salire alla terra di Canaan. Essi gli avrebbero dato ascolto ed insieme sarebbero andati dal Faraone ad esprimergli questa richiesta:

"Il Signore Dio degli Ebrei si è rivelato a noi e quindi permettici che ci dirigiamo verso il deserto per un cammino di tre giorni, per offrire sacrifici al Signore Dio nostro."

Il Faraone non avrebbe accettato questa richiesta ed avrebbe lasciato partire il popolo d'Israele solo dopo che il Signore l'avesse duramente percosso con fatti prodigiosi. Al momento di lasciare la terra d'Egitto, il popolo d'Israele avrebbe ricevuti doni d'oro e d'argento come compenso per i duri anni di schiavitù patiti.
Ma i dubbi di Mosè proseguirono: il Signore gli aveva appena detto che gli anziani lo avrebbero ascoltato, ma lui disse che essi potevano non credere che il Signore gli fosse apparso. E allora il Signore affidò a Mosè un bastone che poteva trasformarsi in serpente per poi riprendere il suo stato. Ancora il Signore dette a Mosè la facoltà di dare e togliere la lebbra. Così ti crederanno, disse, e se ancora non ti credessero potrai prendere dell'acqua dal Nilo e versarla sull'asciutto per vederla trasformarsi in sangue.

Ma le obiezioni di Mosè non finirono qui. Eccepì Mosè di non essere un buon parlatore, anzi di essere balbuziente ed arrivò al punto di chiedere al Signore che incaricasse qualcun altro al suo posto. A questo punto il Signore si sdegnò con Mosè per il rifiuto del grande onore che gli veniva offerto. Ma il Signore disse a Mosè che suo fratello Aron avrebbe parlato per lui, che lui avrebbe dovuto suggerire le parole da dire. Aron sarà dunque l'esecutore vocale e Mosè l'ispiratore della parola divina.

Mosè salutò Ithrò e, presi con sé moglie e figli, si avviò verso l'Egitto. Durante il viaggio il Signore disse nuovamente a Mosè dei prodigi dei quali era incaricato e che avrebbe eseguito alla presenza del Faraone. Disse anche dell'ostinazione del Faraone, che avrebbe ceduto solamente quando fosse avvenuta la morte del suo figlio primogenito.

Durante una sosta del viaggio Mosè stette molto male e fu vicino a morire. Sua moglie Tziporah pensò che la causa di questo male fosse da attribuire alla mancata circoncisione del loro secondogenito e perciò prese una selce e lo circoncise. Il male abbandonò Mosè ed essi ripresero il viaggio. Si incontrò quindi Mosè con Aron ed insieme entrarono in Egitto e radunarono gli anziani. Aron, alla presenza del popolo, disse della rivelazione che il Signore aveva fatto a Mosè e fece prodigi. Il popolo comprese che il Signore si era ricordato dei figli d'Israele.

Si recarono quindi Mosè ed Aron al cospetto del Faraone e gli dissero:

"Così comanda il Signore Dio d'Israele: - Lascia partire il Mio popolo, affinché in Mio onore celebrino una festa nel deserto."

Il Faraone si mostrò risentito e chiese chi fosse mai questo Dio al quale gli si chiedeva di ubbidire, precisando che egli non avrebbe consentita la partenza di Israele. Quando poi Mosè ed Aron precisarono che si trattava di una durata di tre giorni in cui sarebbero stati offerti sacrifici al dio d'Israele, il Faraone chiese loro perché mai volessero distogliere gli ebrei dal loro lavoro e li congedò.

Quello stesso giorno il Faraone ordinò agli ispettori egiziani ed ai sorveglianti ebrei di non fornire più la paglia al popolo per la preparazione dei mattoni, così come era avvenuto fino ad allora, e che la paglia fosse procurata dagli stessi lavoranti, fermo restando il quantitativo di mattoni da produrre. In tal modo disse il Faraone il popolo d'Israele non avrebbe avuto più tempo ed energie per seguire parole ingannatrici.

Constatato come le condizioni del popolo d'Israele fossero sensibilmente peggiorate dopo l'incontro con il Faraone che il Signore aveva comandato, Mosè a Lui si rivolse dicendo:

"O Signore perché hai fatto del male a questo popolo? Perché mi hai inviato? Dal momento che mi sono presentato al Faraone per parlargli in Tuo nome, si produsse del male a questo popolo, né Tu recasti alcuna salvezza."

E il Signore così rispose a Mosè:

"Ora tu vedrai ciò che Io sto per fare al Faraone, il quale, costretto da mano potente, dovrà lasciarvi partire e a viva forza vi caccerà dal suo paese."

Il contenuto di questa narrazione sembra senza tempo e senza luogo. In questo caso infatti è l'Egitto il paese che ha ospitato il popolo ebraico, che l'ha accolto, l'ha sfamato, gli ha dato la possibilità di prosperare e di espandersi. Un certo giorno questo paese è attraversato come da un vento di bufera improvviso per cui si scatena una persecuzione violenta e spietata, il popolo ospitato per il paese ospitante è come se non fosse più composto da persone: sono schiavi, strumenti di lavoro, hanno perso i loro connotati di esseri umani. Tutto questo, ci dice la nostra narrazione, è opera, si badi bene, non di tutto il popolo ospitante, che anzi darà doni al popolo ebraico quando lascerà il paese. Tutto questo è opera del Faraone, della casta governante, dei loro interessi politici, economici, di potere. La persecuzione non è consistita solamente nella schiavitù, la persecuzione è stata sanguinaria perchè prevedeva l'uccisione di tutti i nati maschi.

Di queste persecuzioni, di queste stragi è piena la storia del popolo ebraico nella diaspora. L'espulsione dalla Spagna iniziata nel 1492 presenta qualche carattere di diversità, perchè la Spagna nella quale erano numerose e floride per economia e cultura le comunità ebraiche era una Spagna musulmana. Poi avvenne la "reconquista" e con la sconfitta dellultimo califfato di Cordova la Spagna divenne totalmente cattolica e si materializzò un rigetto della popolazione araba e di quella ebraica, che con l'araba aveva ben convissuto. La diaspora conseguente all'espulsione spagnola interessò geograficamente molti paesi, non solamente europei. L'attuale distribuzione dei siddurim sefarditi nelle aree europee e mediterranee fornisce un'idea per grandi linee di quali siano stati i flussi migratori ebraici dalla Spagna. Una linea di flusso importante fu quella verso l'impero ottomano e ciò spiega la presenza di siddurim sefarditi ad esempio in alcuni paesi balcanici.

Catastrofica per ferocia e dimensioni fu la persecuzione ad opera della Germania nazista, con conseguenze ancora oggi vive nei sopravvissuti e nei loro parenti.
Ci furono poi i pogrom ricorrenti dall'epoca delle crociate fino ai nostri giorni che hanno interessato l'Europa centrale e orientale. Fino ad arrivare ai sommovimenti dei paesi arabi a partire dalla formazione dello Stato d'Israele del 1948 e fino ai nostri giorni.

lunedì 2 gennaio 2012

Vaychì

(Gen.47,28-50,26)
Giacobbe visse in terra d'Egitto diciassette anni e tutta la sua vita ne durò centoquarantasette. Quando si sentì vicino alla morte egli chiamò Giuseppe e gli fece giurare che non l'avrebbe seppellito in Egitto ma nella terra dove erano sepolti i suoi padri.

Passò del tempo ed un giorno dissero a Giuseppe che suo padre era malato. Egli si rercò da lui con i suoi due figli Manasse ed Efràim e Giacobbe che era disteso a letto con uno sforzo si mise seduto. Rammentò Giacobbe quando il Signore gli apparve a Luz nella terra di Canaan e gli disse:

"Ecco, io ti farò prolificare e diventare numeroso, ti farò diventare un aggregato di popoli e darò questa terra ai tuoi discendenti dopo di te in possesso perpetuo."

Giacobbe aggiunse che i due figli già nati a Giuseppe in terra d'Egitto avrebbero dato origine ognuno ad una propria tribù, mentre gli altri che eventualmente fossero ancora nati, sarebbero stati aggregati alle tribù dei due fratelli. Giacobbe volle vedere quindi i due ragazzi e quando gli si avvicinarono egli pose la mano destra sul capo di Efràim, nonostante questi non fosse il primogenito, e la sinistra sul capo di Manasse e li benedisse.
Giuseppe, pensando che il padre si fosse sbagliato, voleva spostare la mano del padre dal capo di Efràim a quello di Manasse, ma Giacobbe disse:

"Lo so figlio mio, lo so, anch'egli diverrà un popolo, anch'egli sarà grande, ma il suo fratello minore sarà più grande di lui e la sua discendenza costituirà una moltitudine di genti."

Fece chiamare tutti i suoi figli Giacobbe per accomiatarsi da loro e dire a ciascuno di essi ciò che la loro indole li avrebbe portati a compiere: Ruben, il primogenito, impetuoso e colpevole della violazione del talamo paterno non avrebbe avuto alcuna posizione di superiorità sui fratelli; Simeone e Levi, facili all'ira, all'omicidio ed alla crudeltà sarebbero stati divisi e sparpagliati in Israele ed infatti la tribù di Levi non avrà l'assegnazione di un proprio territorio, mentre la parte assegnata a Simeone sarà frammista a quella di Giuda; Giuda è un leone ed avrà lo scettro ed il bastone del comando fino a che non verrà Sciloh, il Messia che raccoglierà l'ossequio di tutti i popoli; Zevulon risiederà di fronte al mare e darà approdo alle navi; Issachar avrà una terra molto fertile e sarà un agricoltore talmente pacifico da accettare la servitù e il pagamento di tributi; Dan avrà una tribù meno numerosa ed un territorio meno esteso ma saprà farsi valere per la sua astuzia; Gad avrà territori ad est del Giordano e sarà più esposto agli assalti nemici, ma saprà difendersi; Asher avrà un territorio ricco; Naftali è una cerva veloce che pronuncia discorsi eloquenti; Giuseppe è un albero fruttifero che ha due propaggini che si sviluppano e che sono i suoi figli, ha resistito agli attacchi e le sue opere sono state protette dal Signore; Beniamino è un lupo rapace esperto nell'arte della guerra.

Chiese infine Giacobbe di essere sepolto nella grotta di Machpelà in terra di Canaan, dove erano già seppelliti Abramo e Sara, Isacco e Rebecca e dove egli aveva seppellito Lea ma non aveva potuto seppellire Rachele, che invece era morta sulla strada per Efrath ed era stata sepolta a Betlemme. Date queste ultime disposizioni Giacobbe si ritrasse nel letto e cessò di vivere.

Pianse Giuseppe su di lui e lo baciò. Ordinò poi che il corpo di suo padre fosse imbalsamato e quando tutto fu pronto si recò dal Faraone per chiedergli di potersi recare in terra di Canaan a seppelire suo padre secondo le sue volontà. Il faraone non solo acconsentì ma fece tributare grandi onori alla salma di Giacobbe. In terra di Cannan avvennero i funerali e poi la salma fu seppellita nella grotta di Machpelà.
Quando Giuseppe tornò in Egitto i suoi fratelli erano timorosi perché pensavano che, una volta morto il padre, egli potesse vendicarsi. Mandarono a dire al fratello che il padre, prima di morire, aveva detto loro di chiedere perdono per il male che gli avevano fatto. Giuseppe ricevette i suoi fratelli che gli si prostrarono davanti offrendosi come schiavi. Ma egli disse loro:

"Non temete! Sono forse io al posto di Dio? Del male che voi avete pensato di farmi, Dio si è valso al fine di bene perché rimanesse in vita, come oggi è accaduto, tanta gente: Non abbiate paura io manterrò voi ed i vostri figli."

Giuseppe visse centodieci anni. Vide nascere i figli della terza generazione di Efràim e anche i figli di Machir, figlio di Manasse, nacquero sulle sue ginocchia. Quando si sentì vicino a morire Giuseppe disse ai fratelli che il Signore si sarebbe ricordato di loro e li avrebbe un giorno fatti trasferire nella terra che aveva promessa ad Abramo, Isacco e Giacobbe. Giuseppe fece quindi giurare i fratelli dicendo:

"Quando Dio si ricorderà di voi, porterete via di qui le mie ossa."

Morì Giuseppe ed il suo corpo fu imbalsamato e posto in un sarcofago in Egitto.

La parashà conclude Bereshit, il libro della creazione, il libro dei patriarchi. Il libro si conclude con una forte connotazione egizia, che è sostanziata dalla figura di Giuseppe. L'immagine di Giuseppe non sembra tanto quella di una persona che si è integrata per necessità in un paese straniero, ma ha conservato un saldo attaccamento alle sue origini. I comportamenti di Giuseppe dichiarano invece una tale sicurezza e padronanza della lingua e degli usi e costumi, nonché delle leggi del paese che lo ospita, che solamente una completa e viscerale adesione può conferire. Insomma qui la Torà ci dice ancora qualcosa di significativo e innovativo rispetto alle cose che eravamo abituati a sentirci raccontare. Giuseppe rappresenta l'uomo istruito, proggredito, civilizzato. Era stato condannato, scacciato, venduto dai suoi fratelli e invece in un paese straniero egli è riuscito a strutturare la propria personalità, ad acquisire un patrimonio culturale che nell'ambito della propria famiglia non sarebbe mai riuscito a possedere. E nel confronto tra quest'uomo, assimilato ormai ad un egiziano, e la sua famiglia, suo padre ed i suoi fratelli, ecco in questo confronto l'uomo civilizzato e straniero per giunta prevale sulla civiltà pastorale della sua famiglia, egli salva la sua famiglia, egli da nutrimento alla sua famiglia, la sua famiglia lo segue. Escluderei che si intenda fare un confronto di civiltà tra quella organizzata egiziana e quella di una famiglia ebrea di pastori, che non costituivano neanche una nazione. Il confronto è tra l'uomo istruito e civilizzato, che è in grado di comprendere e dominare una società organizzata e l'uomo invece che a questo tipo di conoscenze ha rinunciato accontentandosi o rassegnandosi ad un'esistenza di passiva sopravvivenza.

L'altro oggetto di riflessione è il destino dei primogeniti, che generalmente nella Torà non è premiante. Anche qui ci sono i due figli di Giuseppe, i due figli nati in Egitto che saranno capostipiti di due tribù, Manasse è il primogenito, Efràim il secondo. Il nonno Giacobbe, il patriarca, darà la benedizione con la destra al secondogenito Efràim, con la motivazione che la sua sarà una tribù più numerosa, oggi si direbbe perché era destinato ad un maggiore successo.