sabato 25 agosto 2012

Ki Tetsè

(Deu.21,10-25,19)

Prosegue anche in questa parashà l’enunciazione delle numerose prescrizioni impartite da Mosè al popolo nell’imminenza del suo ingresso nella terra promessa. Queste prescrizioni configurano una sorta di “codice civile” che fornisce gli orientamenti da seguire per le varie fattispecie di rapporti sociali, che il popolo si troverà a dover affrontare.

Queste sono le prescrizioni impartite.

1) Le donne dei vinti.

Nel caso in cui un uomo si invaghisca di una donna prigioniera:
“… se vedrai fra i prigionieri una donna di bello aspetto e te ne innamorerai e vorrai prenderla in moglie, dovrai condurla nella tua casa ed essa si raderà i capelli e si taglierà le unghie, quindi si toglierà le vesti dei prigionieri e rimarrà in casa tua piangendo suo padre e sua madre per un intero mese; dopo di che potrai unirti con lei e sarà per te una moglie. Ma se poi non ti piacesse più la dovrai mandare libera dove essa vorrà e non la potrai vendere per denaro, non potrai più trattarla da schiava dopo che è stata tua moglie.
Per poter dire che la tutela della donna presa prigioniera fosse integrale manca una sola cosa, ma fondamentale: il consenso di lei. Al di là di questo aspetto, la norma è improntata al rispetto per la donna dei vinti, sia per quanto riguarda il dolore per la perdita dei suoi genitori, sia per il suo status che sarà di moglie e non di schiava, né sarà mai schiava anche in caso di ripudio.

2) Il diritto di primogenitura.
Si fa quindi il caso di un uomo che abbia due mogli e si detta la norma sulla intangibilità dei diritti del primogenito, anche nell’ipotesi in cui la madre di questi non sia più la favorita del padre.

3) Il figlio traviato e ribelle.
Segue una norma di estrema severità che riguarda il figlio traviato e ribelle, che non dà più ascolto né al padre, né alla madre. I suoi genitori lo condurranno davanti agli anziani della città e diranno:
Questo nostro figlio è traviato e ribelle; non ci dà ascolto e mangia e beve eccessivamente.
Il verdetto degli anziani sarà di morte per lapidazione:
Tutti gli uomini della città lo lapideranno ed egli morrà e toglierai il male da mezzo a te e tutto Israele udrà ed avrà timore.
Proprio queste parole ci fanno comprendere quale sia la motivazione della pena di morte per il figlio ribelle e traviato. Il motivo principale non è quindi da collegarsi alla colpa di aver arrecato continua sofferenza ai propri genitori. La sua eliminazione con la pena di morte si rende necessaria per una motivazione sociale, che è quella di impedire la proliferazione nel popolo d’Israele del germe della ribellione e della perversione.

4) La sepoltura del giustiziato.
Il cadavere del giustiziato, non dovrà rimanere esposto nella notte, ma dovrà essere seppellito nello stesso giorno.
… lo dovrai seppellire in quello stesso giorno perché il cadavere appeso è causa di maledizione da parte di Dio e tu non renderai impuro il territorio che il Signore tuo Dio è per darti in retaggio.
La motivazione quindi non è tanto la “pietas” nei riguardi del giustiziato, bensì il rispetto per la creazione del Signore, che fece l’uomo a sua immagine e somiglianza.

5) Restituzione di animali e cose.
E’ sancito l’obbligo di restituire al proprietario, confratello ebreo, ogni animale ed ogni cosa che questi avesse perduto.

6) Soccorso agli animali.
L’asino o il toro di un confratello ebreo che cadono per la strada dovranno essere aiutati a rialzarsi.

7) Indumenti maschili e femminili.
Si stabilisce il divieto di indossare indumenti propri dell’altro sesso.

8) Il nido degli uccelli.
Incontrando un nido con uova e pulcini e con la madre che sta covando, non si dovrà prendere la madre, ma si potranno prendere le uova ed i pulcini, dopo aver allontanato la madre.

9) Ringhiere delle terrazze.
E’ una norma antinfortunistica che prescrive che le coperture a terrazza siano dotate di protezioni perimetrali.

10) Non seminare semi di varia specie nella tua vigna.
11) Non mettere al giogo insieme un asino e un toro.
12) Non indossare lana e lino tessuti insieme.
13) I vestiti avranno fili intrecciati ai quattro angoli.

14) Verginità della sposa.
Se un uomo sposa una donna, si unisce a lei e la accusa di non essere stata vergine, i genitori di lei porteranno agli anziani il lenzuolo per provare la verginità della figlia. Se verrà accertata la verginità il marito dovrà pagare cento monete d’argento al padre di lei. Se invece risulterà fondata l’accusa del marito, la ragazza verrà messa a morte per lapidazione.

15) Adulterio
Gli adulteri saranno messi a morte, sia che si tratti di donna sposata, sia che si tratti di vergine promessa sposa.

16) La violenza ad una donna sposata sarà punita con la morte.
17) La violenza ad una vergine senza vincoli matrimoniali, darà luogo ad un indennizzo di cinquanta monete d’argento al padre della ragazza ed inoltre all’obbligo per il violentatore di sposarla.
18) Un uomo non sposerà la moglie del padre.
19) Non potrà contrarre matrimonio chi non abbia i genitali integri, né i nati da incesto o adulterio.
20) Non potrà contrarsi matrimonio con Moabiti e Ammoniti. Salvo evidentemente il caso in cui questi abbandonino il proprio popolo e le sue usanze per abbracciare quelle di Israele. Ricordiamo che la moabita Rut abbandonò il suo paese ed il suo Dio per entrare nel popolo d’Israele e divenire progenitrice di re David.
21) Idumei ed Egiziani non saranno aborriti ed i figli che nasceranno da loro e da donna ebrea alla terza generazione faranno parte del popolo d’Israele.

22)Negli accampamenti militari dovranno adottarsi misure di purità:
Poiché il Signore tuo Dio cammina in mezzo al tuo accampamento per salvarti e per consegnarti i tuoi nemici, il tuo campo dovrà essere come cosa sacra.

23) Offrire protezione allo schiavo che sarà fuggito dal suo padrone.
24) Nel popolo d’Israele non vi saranno né prostitute né pederasti.

25) Non prestare denaro ad interesse ad un altro ebreo, mentre si potrà fare con lo straniero
Curiosamente questa norma venne recepita inizialmente dal cattolicesimo, invertendone però i soggetti e quindi i cattolici non potevano prestare ad interesse, mentre questa attività avrebbe potuto essere svolta dagli ebrei. I predicatori cattolici finché il prestito fu gestito da ebrei chiamarono il denaro “lo sterco del Demonio”, poi la Chiesa inventò i Monti di Pietà o Banchi di Pegno nei quali il prestito ad interesse, specialmente verso le classi più povere, venne soppiantato dal prestito su pegno. La forma era salva, la sostanza un po’ meno, perché mentre in precedenza il tasso massimo d’interesse era fissato dal sovrano, per quello che riguardava il valore dei pegni tutto era affidato alla stima del momento fatta dal Banco.

26) Voti fatti al Signore:
Quando farai un voto al Signore tuo Dio, non dovrai tardare ad adempierlo perché il Signore tuo Dio te lo richiederebbe ed in te si troverebbe il peccato. Se invece cesserai di fare voti, non ci sarà in te peccato. Ciò che prometterai dovrai mantenere, donando quanto hai fatto voto di offrire al Signore Dio tuo profferendolo con la tua bocca.
Per arrivare a dire questo significa che già all’epoca esisteva l’umano malvezzo di promettere e non mantenere.

27) Nella vigna del compagno.
Potrai mangiare uva quanta ne vuoi, ma non potrai portarla via. La stessa cosa nel campo di grano: potrai raccogliere le spighe con la mano, ma non userai la falce.

28) La donna ripudiata.
La donna ripudiata dal marito sarà libera di unirsi con un altro uomo, ma se verrà ripudiata anche da questo, non potrà mai tornare al primo marito.

29) Esenzione dal servizio militare.
Chi sposa una ragazza nubile è esentato per un anno dal prestare servizio militare.

30) Le macine del debitore.
Mai potranno prendersi in pegno le macine del debitore.

31) Rapimento e schiavitù.
Chi rapirà una persona ebrea, per farne uno schiavo e venderlo sarà messo a morte.

32) Dovranno seguirsi le procedure di purificazione in caso di lebbra e malattie contagiose.

33) Prestito su pegno.
Non si dovrà entrare nella casa del debitore, ma aspettare fuori di essa che egli porti il pegno pattuito.
Se sarà fatto prestito su pegno ad un povero, il pegno dovrà essergli restituito prima del tramonto.

34) Occorre pagare giornalmente il compenso pattuito al salariato.

35) La responsabilità è personale:
I padri non periranno per le colpe dei figli e i figli non moriranno per i padri; ognuno perirà per la propria colpa.

36) Il forestiero, l’orfano e la vedova.
Quando raccoglierai il frutto della tua terra, sia esso il campo di grano, o l’uliveto, o la tua vigna, dimentica i residui e lascia che possano essere racimolati dal forestiero, dall’orfano o dalla vedova.

37) Fustigazione.
La condanna alla fustigazione non potrà prevedere più di quaranta colpi.

38) Jibbum.
Se un uomo sposato muore senza figli, la vedova dovrà andare sposa al cognato (javam) per dare la possibilità al morto di avere figli che perpetuino il suo nome. Se il cognato dovesse rifiutare, la cognata si avvicinerà a lui, in presenza degli anziani, gli toglierà la scarpa dal piede e sputerà davanti a lui dicendogli:
Così sia fatto all’uomo che rifiuta di costruire la casa del proprio fratello.
E il nome di lui sarà da allora in poi: la famiglia dello scalzato.

39) Sia messa a morte la donna che afferri i testicoli dell’uomo che sta percuotendo suo marito.
40) Non adoperare pesi e misure falsi.
41) Ricordati di Amalec e di ciò che ti fece quando uscisti dall’Egitto.




Haftarà di Ki Tetzè
secondo il rito italiano
(Sam.17,1-17,37)

i Filistei si trovavano da una parte della montagna, gli Israeliti dall’altra, e in mezzo si trovava la valle. Dalle schiere dei Filistei uscì allora un intermediario di nome Goliath. Egli era alto sei cubiti e un palmo, aveva sul capo un elmo di rame, indossava una corazza di rame fatta a scaglie, che pesava cinquemila sicli, sulle gambe aveva gambiere di rame e fra le spalle un’asta di rame.

E disse ad alta voce Goliath rivolto alle schiere d’Israele:

Scegliete un uomo che scenda a me. Se egli, combattendo contro di me, riuscirà a percuotermi a morte, noi saremo vostri schiavi, e se io lo vincerò e lo percuoterò a morte, sarete voi nostri schiavi e ci servirete.

Alle parole del Filisteo, Saul e tutto Israele furono pervasi da grande spavento. Per quaranta giorni Goliath si presentò davanti al campo degli Israeliti, senza che nessuno di loro fosse stato prescelto a battersi con lui.

Un giorno arrivò al campo israelita un giovanetto di nome David, che era stato inviato da suo padre per portare delle provviste ai suoi fratelli maggiori, i quali prestavano servizio al seguito di Saul. David era al campo quando Goliath per l’ennesima volta lanciò ad alta voce la sua sfida alle schiere d’Israele.

David allora prese a chiedere ripetutamente a quanti gli stavano accanto:

Che cosa si farà all’uomo che riuscirà a colpire a morte quel Filisteo, e così libererà Israele dalla sua onta? Chi è poi questo Filisteo incirconciso che ha insultato le schiere del D-o vivente?

E seppe così David che a chi fosse riuscito nell’impresa il re avrebbe dato grandi ricchezze e sua figlia in moglie e la sua famiglia sarebbe stata inoltre liberata da ogni gravame fiscale.

Venuto a conoscenza dei discorsi di quel giovinetto, Saul lo fece venire a sé e al suo cospetto David disse:

Nessuno si perda d’animo per quell’uomo, io stesso tuo servo andrò a combattere con questo Filisteo.

Saul obiettò:

Non puoi andare a combattere con questo Filisteo, perché tu sei un ragazzo, mentre egli è un uomo adulto, guerriero fin dalla sua giovinezza.

E David gli rispose:

Io, tuo servo, conducevo al pascolo le pecore di mio padre; venne un leone, ed anche un orso, e prese un agnello dal gregge. Io allora lo rincorsi, lo colpii, salvai la preda dalla sua bocca; la belva si scagliò allora contro di me, ed io la presi per la criniera e la colpii a morte. Io, tuo servo, ho colpito a morte il leone e l’orso, e questo Filisteo incirconciso avrà la medesima sorte perché ha insultato le schiere del D-o vivente.

E soggiunse:

Il Signore che mi ha salvato dal leone e dall’orso mi salverà da questo Filisteo.

Saul gli disse allora:

Va’, e il Signore ti accompagni.




Haftarà di Ki Tetsè
Secondo i riti spagnolo e tedesco
(Is.54,1-54,10)

Inneggia o sterile, che non avevi partorito; emetti grida di gioia e giubila, tu che non avevi avuto le doglie, perché i figli di colei che era solitaria saranno più numerosi di quelli di colei che ha marito, ha detto il Signore.

Non temere e certamente non resterai delusa; non vergognarti; certamente non arrossirai; anzi dimenticherai la vergogna della tua giovinezza, e non ricorderai più l’onta della tua vedovanza.

In un impeto d’ira ti ho per un istante nascosto la Mia faccia ma con favore eterno avrò pietà di te, detto del Signore.




domenica 19 agosto 2012

Shofetim

(Deu. 16,18-21,9)

Mosè rammenta al popolo la prescrizione ricevuta di procedere alla nomina di giudici e di funzionari di sorveglianza, che dovranno risiedere in ciascuna delle città che il Signore vorrà concedere ad Israele, e che avranno il compito di giudicare il popolo “con vera giustizia” e vigilare sulle questioni che dovessero insorgere nell’ambito della loro comunità.

Non torcere il diritto, non avere riguardi di sorta e non farti corrompere perché il prezzo della corruzione accieca gli occhi dei saggi e rende tortuose le parole dei giusti. La giustizia la vera giustizia seguirai affinché tu viva ed erediti la terra che il Signore tuo Dio sta per darti.

Queste sono le parole rivolte al popolo, che indicano il corretto comportamento cui ciascuno dovrà attenersi, in particolare se dovrà svolgere la funzione di giudice o di funzionario di polizia o amministrativo.
Sono direttive di grande valore etico, che parrebbero a prima vista di facile e naturale attuazione, eppure, se ci guardiamo intorno e consultiamo i mezzi d’informazione, possiamo accorgerci di quanto invece al giorno d’oggi siano troppo spesso disattese.

Non torcere il diritto” dice Mosè, ma noi a questo proposito nell’assistere all’operato di giudici ed avvocati abbiamo la sensazione che spesso il diritto fissato nei codici venga non solamente approfondito ed interpretano, ma anche deformano, ed a volte sovvertito. L’attività di interpretazione è di per sé lecita, anzi doverosa, perché ogni questione portata in giudizio ha una propria particolarità ed è appunto per questo che l’attività di giudici ed avvocati è meritoria quando si prefigge di cogliere le particolarità del singolo caso ed alla luce di queste particolarità e dei codici arrivare ad un equo giudizio. Ma può capitare a volte che il pensiero e l’operato di giudici e funzionari sia influenzato da fattori che con la giustizia hanno poco a che spartire, questi fattori d’influenza sono essenzialmente connotati da interessi di potere o da interessi economici o, in alcuni casi, da posizioni precostituite personali, o ancora da paura.

Le ingerenze possono verificarsi, ad esempio, quando si debba giudicare l’operato di un “potente” dal punto di vista politico, o economico, o che comunque occupi una posizione di rilievo sociale. Queste ingerenze possono provenire teoricamente dalle due opposte fazioni dei sostenitori e dei detrattori del personaggio, ma poiché in realtà questi fatti avvengono quando il partito dei detrattori sta già prevalendo sull’altro, ecco che le pressioni saranno sostanzialmente quelle intese ad arrivare ad un giudizio sommario di condanna. Nel manifestare queste pressioni si faranno balenare a chi deve esprimere il giudizio, in modo più o meno larvato, i vantaggi per incarichi politici, professionali o di carriera, che sostanzierebbero la riconoscenza per una sentenza orientata in senso favorevole.

E non si dica che queste cose non succedono perché ricordo di avere assistito personalmente ad un‘arringa di un Procuratore della Repubblica, il quale a sostegno della propria accusa dava lettura pubblica di un articolo di legge, omettendone una riga, con il risultato di stravolgerne e sovvertirne il significato, sicchè un fatto lecito diveniva con tale lettura illecito. Per sua fortuna l’indagato, che evidentemente era ben preparato in materia, contestò la citazione e le conclusioni del Procuratore, ottenendo l’immediata lettura integrale dell’articolo di legge ed ebbe modo, durante tale lettura, di evidenziare il passo della legge che sanciva la liceità del fatto contestato.

Il fatto si commenta da sé a proposito della prescrizione di “Non torcere il diritto”. Le corruzioni, per denaro, per carriera, per paura sono mali diffusi. Purtroppo veniamo a conoscenza giornalmente di questi episodi, i media parlano generalmente dei fatti più eclatanti, che fanno scalpore per dimensione o per calibro dei personaggi che vi si trovano invischiati, ma ci sono moltissimi casi minori di bashish pagati, anche a livello infimo, per ottenere senza ostruzionismi ciò di cui abbiamo diritto .”Il prezzo della corruzione acceca gli occhi dei saggi e rende tortuose le parole dei giusti” così dice Mosè perché la corruzione è una malattia, è un vizio, è una droga dalla quale il corrotto non riesce più a liberarsi, perché la corruzione modifica la sua visuale del mondo e distrugge l’etica scacciandola dalla sua vita.

Il corrotto è perduto, si è allontanato dal Signore ed ha eretto nuovi idoli da adorare che saranno il potere ed il denaro. Si badi bene che la corruzione o il perseguimento dell’interesse personale fino al punto di stravolgere la giustizia sono manifestazioni di idolatria. L’idolatria nella nostra società civilizzata e disincantata non consiste più nel collocare un idolo di pietra o di legno su un piedistallo per adorarlo, il “vitello d’oro” non è più la statua da identificare con la divinità. L’idolatria oggi significa per lo più adorare se stessi ed i propri desideri, significa porre la propria persona con i suoi egoismi su un piedistallo da adorare, significa non ascoltare la voce degli altri, fino al punto di non comprenderne le esigenze e le ragioni, significa chiudersi in un involucro dal quale sono esclusi gli altri, significa perdere la capacità di vedere nell’altro un nostro simile, con lo stesso bagaglio di sentimenti, aspirazioni, sofferenze e ciò qualunque sia la sua appartenenza sociale, etnica o di religione.

Se in una delle città che il Signore sta per dare ad Israele, si venisse a sapere che un uomo o una donna pratichino l’idolatria, dovrà farsi un’inchiesta e se ciò risultasse vero, l’uomo o la donna saranno condotti fuori dalla città e messi a morte per lapidazione. La condanna a morte potrà avvenire per la deposizione di due o tre testimoni. Non si potrà condannare a morte per la testimonianza di un solo testimone. I testimoni scaglieranno la prima pietra. Se una causa è particolarmente controversa, sicché il Tribunale locale non riesca a dirimerla, la questione dovrà essere sottoposta a Gerusalemme ai Sacerdoti ed al Giudice in carica che esprimeranno il loro verdetto. Chi rifiutasse di sottostare a questo verdetto verrà messo a morte.

Quando il popolo si sarà stabilito nella terra promessa, qualora desiderasse avere, come le altre nazioni che gli stanno intorno, un re a proprio capo, il re sarà quello che Dio sceglierà e sarà un ebreo. Questo re dovrà rifuggire da manifestazioni di sfarzo, potenza e ricchezza. Non aumenterà il numero dei suoi cavalli, né quello delle sue donne, né ammasserà troppo argento e oro. Sono idoli anche questi ed il re dovrà sottrarsi dall’adorarli.

Quando egli sarà sul trono del suo regno dovrà scrivere per suo uso una copia di questa legge su di un libro copiandola da quella che posseggono i sacerdoti della tribù di Levi. La terrà con sé e la leggerà per tutta la sua vita per apprendere a temere il Signore suo Dio, per osservare tutte le parole di questa legge e questi statuti onde eseguirli, affinché il suo cuore non si insuperbisca verso i suoi fratelli e non si allontani in alcun modo dai precetti, onde prolunghi i giorni del suo regno, egli ed i suoi figli, in mezzo a Israele.

Al capitolo 18 Mosè precisa quali siano i diritti dei sacerdoti sulle offerte presentate al Tempio, sia per quanto riguarda gli animali, sia per i prodotti agricoli, sia per la prima tosatura del gregge. E se un Levita di una qualunque città del territorio d’Israele desiderasse prestare servizio al Tempio, come i suoi fratelli Leviti che stanno già là, davanti al Signore, lo potrà fare e mangiare insieme e divideranno tutto in parti uguali ad eccezione dei proventi che al Levita derivano dall’eredità dei padri.

Mosè ammonisce nuovamente il popolo a non lasciarsi tentare dal seguire i riti e le usanze abominevoli delle popolazioni che dovranno essere scacciate dalla terra promessa, le quali avevano tra l’altro l’usanza di prestare ascolto ad indovini, maghi,stregoni, incantatori, necromanti.

Mosè dice che il Signore potrà anche far sorgere un profeta dal popolo d’Israele e che a lui dovrà prestarsi ascolto, se sarà un vero profeta, ma sarà messo a morte se invece sarà falso.

Un profeta Io farò sorgere per loro da mezzo ai loro fratelli come te e metterò nella sua bocca le Mie parole sì che egli possa dire ciò che gli comanderò. E a quell’uomo che non ubbidirà alle Mie parole che egli pronunzierà in Mio nome, Io gliene domanderò conto. Ma quel profeta che oserà dire qualsiasi cosa in Mio nome, cosa che Io non gli ho comandato di dire o che la riferirà in nome di altri dèi, quel profeta morirà.

Il capitolo 19 inizia con la trattazione relativa alle tre città, che dovranno essere individuate tra tutte quelle della terra promessa, una volta che questa sarà stata conquistata, e nelle quali ogni omicida potrà trovare rifugio, sfuggendo alla vendetta dei parenti dell’ucciso, sempre che la morte di questi sia avvenuta per un incidente non voluto e senza odio.

E ciò affinché il vindice del sangue non insegua l’omicida, mentre il suo cuore arde d’ira, e non lo raggiunga perché la strada da percorrere è lunga e non lo uccida mentre egli in effetti non è passibile di morte in quanto non aveva mai odiato per il passato l’ucciso.

Se il Signore ingrandirà il territorio assegnato ad Israele rispetto a quello promesso ai suoi padri, allora si dovranno aggiungere altre tre città rifugio alle tre già designate. Se un assassino, che abbia ucciso per odio e intenzionalmente una persona, cercherà rifugio in una di queste città, gli anziani lo faranno consegnare al vendicatore ed egli sarà ucciso.

Segue quindi una breve prescrizione riguardante l’inviolabilità dei confini agricoli, e anche questa che ci appare una prescrizione ovvia, di fatto tanto ovvia non è quando si pensi che in alcune delle nostre regioni italiane i confini delle proprietà agricole sono formati con cumuli di pietrame, che nottetempo o durante l’assenza di un proprietario vengono spostati, secondo un malvezzo diffuso al punto tale da rendere irriconoscibile la situazione dei possessi indicata dalle mappe catastali.

Si parla quindi del falso testimone, al quale sarà lecito fare tutto quanto egli aveva pensato di fare al suo fratello e qui Mosè pronuncia le parole emblematiche della cosiddetta legge del taglione:

Non dovrai avere pietà; vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede.

In merito a queste parole è da segnalare la nota in Esodo 21,24 inserita nel testo del Tanàk a cura di Rav Dario Di Segni:

La Legge orale spiega che qui si tratta di risarcimento pecuniario secondo la gravità del danno. Le locuzioni: occhio per occhio ecc., nella lingua metaforica della Torà significano che le lesioni porteranno conseguenze di danni o interessi proporzionate all’importanza dell’organo colpito o all’intensità del dolore.

Personalmente penso che, se si decide di abbandonare il senso letterale della legge del taglione, allora si può stabilire sia una pena, sia un risarcimento. Quest’ultimo può essere pecuniario, ma la pena può anche prevedere ad esempio la fustigazione, o la detenzione.

Il capitolo 20 è dedicato alle prescrizioni della guerra. Quando ti sembrerà che il tuo nemico sia più agguerrito e più forte di te, ricorda, dice Mosè, che il Signore, Colui che ti trasse fuori dall’Egitto, è con te: questo ti dirà il Sacerdote quando sarai prossimo alla battaglia. Seguono delle disposizioni che i comandanti daranno per esentare dalla guerra chi avrà costruito una casa nuova e non l’abbia ancora inaugurata; chi abbia fatto promessa di matrimonio, ma non abbia potuto ancora sposarsi; chi abbia piantato una vigna e non ne abbia ancora mangiato i frutti; ma anche disporranno che torni a casa chi abbia poco coraggio e rischi con la sua presenza di scoraggiare i suoi fratelli.

Quando ti avvicinerai ad una città per combattere contro di essa dovrai offrirle la pace.”

Ma se l’offerta non sarà accettata, prosegue Mosè, la espugnerai e, quando l’avrai conquistata, passerai a fil di spada tutti gli uomini. Le donne, i bambini, gli animali ed i beni che troverai saranno il bottino di guerra del popolo d’Israele. Con questa distruzione si ribadisce ancora che ha la finalità è quella di impedire la propagazione dell’idolatria da quelle popolazioni al popolo d’Israele.

Chiude il capitolo 20 la prescrizione di non distruggere gli alberi da frutto delle città assediate:

Infatti è forse l’albero del campo come un uomo che può a causa tua ritirarsi in luogo fortificato?

La parashà conclude con la prima parte del capitolo 21 dove vengono dettate le prescrizioni sugli adempimenti necessari nel caso in cui venga trovato un uomo ucciso in un campo e non si sappia chi l’abbia ucciso. Si tratta del rito di purificazione cui sarà tenuta la città più vicina e che verrà eseguito dagli anziani della città, i quali condurranno una giovenca che non abbia mai lavorato sul letto sassoso di un torrente asciutto e qui l’uccideranno e reciteranno la preghiera per il perdono:

Le nostre mani non hanno versato questo sangue ed i nostri occhi non hanno veduto. Perdona il Tuo popolo, Israele, che Tu hai redento, o Signore, e non dargli la responsabilità di questo sangue innocente versato in mezzo al tuo popolo Israele, sì che possa essere loro perdonato il sangue versato.



Haftarà di Shofetim
Secondo il rito italiano.
(Sam.8,1-8,22)

Il popolo va dal vecchio Samuele e gli chiede di provvedere alla nomina di un re, che sia il loro capo e li conduca a somiglianza degli altri popoli.
Samuele si rivolge al Signore, che gli dice:

Da’ retta al popolo quanto a tutto ciò che ti hanno detto: non te essi hanno rifiutato come loro capo, ma Me. …. Da’ dunque retta a loro, e da’ loro degli avvertimenti dicendo loro quale sarà il modo di procedere del re che sarà loro capo.

E li avvertì Samuele di tutte le privazioni che sarebbero loro derivate dall’avere costituito un re, ma loro insistettero.

No! Noi vogliamo avere un re, per essere anche noi come tutti gli altri popoli e perché il re sia il nostro capo e vada davanti a noi per combattere le nostre guerre.



Secondo i riti spagnolo e tedesco.
(Is.51,12-52,12)

Svègliati, svègliati, sorgi, Gerusalemme che hai bevuto dalla mano del Signore il calice del Suo furore, hai bevuto e succhiato la coppa del veleno. Essa non aveva guida fra tutti i figli che aveva dati alla luce, nessuno vi era che la prendesse per mano fra tutti i figli che aveva allevati. Due sventure ti hanno colpita – e chi potrebbe confortarti?- il saccheggio, la rovina, la fame e la spada.

Perciò ascolta questo, tu, afflitta ed ebbra non di vino. Così ha detto il tuo padrone, il Signore, il tuo D-o che prenderà le parti del Suo popolo. Ecco ti ho tolto di mano il calice del veleno, la coppa calice della Mia ira, non lo berrai più, e lo darò in mano a coloro che ti hanno fatto soffrire, che ti hanno detto: ‘Chinati che vogliamo passarti sopra’, e ai quali hai presentato il tuo corpo come se fosse il terreno, e come una strada per i passanti.

Svègliati, svègliati, rivèstiti della tua forza, o Sion ,indossa i tuoi abiti splendidi, o Gerusalemme, città santa, ché non entreranno più in te l’incirconciso e l’impuro.

Intonate insieme canti di gioia, o rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il Suo popolo, ha redento Gerusalemme. Il Signore ha denudato il Suo braccio santo agli occhi di tutti i popoli; tutta la terra, fino alle sue estremità, ha visto la salvezza recata dal nostro D-o.

domenica 12 agosto 2012

Reè

(Deu. Da 11,26 a 16,17)

Benedizione e maledizione, berakhah e kelalah, vengono prospettate da Mosè al popolo come conseguenze alternative dei propri comportamenti: benedizione se verranno ascoltati i precetti del Signore, maledizione se non lo saranno. Quando il popolo avrà attraversato il Giordano e sarà entrato nella terra promessa, giungerà in prossimità di due monti, Gherizim ed Eval, posti l’uno di fronte all’altro, il primo fertile, il secondo sterile. Sul monte Gherizim verranno date le benedizioni, sull’Eval le maledizioni.

Anche in questa occasione, nel riferirsi alle maledizioni per non avere ascoltato i precetti del Signore, Mosè fa esplicito riferimento all’idolatria:

… per andare dietro agli altri dèi che non avete mai conosciuto.

L’idolatria sarà costantemente oggetto di anatema, di una maledizione cioè che implica haherem la distruzione, perché questa sarà sempre la colpa più insidiosa per il popolo, la colpa cui consegue la perdita della fiducia del Signore e che smarrisce l’identità del popolo eletto e lo distrugge in quanto disperso tra tutte le nazioni.

Voi distruggerete tutti quei luoghi dei quali verrete in possesso, che i pagani destinano al culto dei loro dèi …

Abbatterete i loro altari, spezzerete le loro stele, e le loro asheroth darete alle fiamme, le immagini dei loro dèi farete a pezzi e farete sparire il loro nome da quel luogo.

Il popolo d’Israele, prosegue Mosè, cercherà il luogo che il Signore sceglierà per edificare il Suo Santuario e solamente in quel luogo porterà i suoi sacrifici, le sue decime, i suoi tributi, i suoi voti, i suoi doni ed i primogeniti dei suoi armenti.

Gioirete dunque davanti al Signore vostro Dio voi, i vostri figli, le vostre figlie, i vostri schiavi e le vostre schiave nonché il Levita che è nelle vostre città, poiché egli non ha parte né possesso alcuno con voi. Guardati bene dunque dall’offrire i tuoi olocausti in qualsiasi luogo ti piaccia, perché solo nel luogo che sceglierà il Signore in una delle tue tribù, là dovrai portare i tuoi olocausti e là dovrai fare tutto ciò che io ti comando.

Mangiare assume per l’ebreo valore sacrale, e più avanti ciò troverà conferma nell’enunciazione delle regole della kasherut, ma già qui il richiamo nel dire che ciò si fa davanti al Signore e in allegria conviviale, con la propria famiglia e con il Levita addetto al servizio del Santuario, ci rammenta che noi oggi facciamo la benedizione del pane con due challot perché alla nostra tavola è il Signore che siede con noi, ed anche se saremo soli la nostra tavola sarà sempre imbandita per due.

L’unicità del luogo prescelto dal Signore per l’offerta degli olocausti, che è quello sul quale sarà poi edificato il primo Tempio di Gerusalemme, ha fatto sì che gli avvenimenti succedutisi a partire dalla distruzione del secondo Tempio ad opera di Tito nel 70 dell’e.v. e la successiva perdita della sovranità del luogo nei secoli seguenti, fino ad arrivare all’attuale intricata situazione della spianata, hanno reso non più disponibile il luogo per l’effettuazione dei sacrifici.

Chiarisce Mosè al popolo che per quanto riguarda il mangiare carne sarà consentito di farlo liberamente, macellando animali del proprio bestiame grosso e minuto e macellando anche daini e cervi, pur essendo questi ultimi animali selvatici e quindi non adatti ai sacrifici. In ogni caso non si dovrà mangiare il sangue in quanto veicolo della vita. Per quanto riguarda però gli animali consacrati e quelli votati al Signore, questi dovranno essere portati nel luogo scelto dal Signore e si faranno sull’altare gli olocausti di carne e sangue e la carne potrà essere mangiata.

Ammonisce Mosè il popolo a non essere preda di curiosità riguardo ai culti prestati dalle popolazioni sconfitte o, peggio ancora, di tentazioni di replicarli, significando l’abominio di detti culti, che, tra l’altro, giungevano a prevedere il sacrificio alla divinità dei propri figli, che venivano divorati dalle fiamme.

Non devi far questo al Signore tuo Dio perché essi hanno fatto per i loro dèi ogni sorta di azioni abominevoli che il Signore odia; infatti hanno arso nel fuoco per i loro dèi perfino i loro figli e le loro figlie.

Comanda ancora Mosè al popolo che, qualora sorgessero in mezzo a loro profeti o sognatori, pur capaci di mostrare segnali o prodigi ma che esprimessero il proponimento di seguire altri dèi, tali profeti e sognatori vengano messi a morte. E se l’invito all’idolatria dovesse provenire da qualcuno della propria famiglia o dal migliore amico, questi dovranno essere messi a morte per lapidazione.
E ancora prosegue Mosè dicendo che, qualora si venisse a conoscenza che in una città si manifestano episodi di idolatria, dovranno farsi opportune indagini ed in caso affermativo saranno sterminati tutti gli abitanti, compreso tutto il bestiame e la città verrà data alle fiamme e non sarà mai più ricostruita.

La durezza di tutte queste prescrizioni va intesa sempre come mirata specificamente a distruggere l’idolatria che si conferma così come la colpa più grave che il popolo possa commettere.

Il capitolo 14 detta le norme per la kasherut, che in sintesi stabiliscono che sia consentito mangiare:
- tutti i quadrupedi che abbiano lo zoccolo spaccato in due e che siano ruminanti;
- tutti i pesci che siano provvisti di pinne e squame;
- tutti gli uccelli ad eccezione dei rapaci in genere ed altri che non sono solitamente ritenuti commestibili (è da segnalare come non consentito lo struzzo).

Vige inoltre l’obbligo della decima di ogni prodotto dei campi che ogni anno dovrà portarsi nel luogo scelto dal Signore:

… e dovrai mangiare dinanzi al Signore tuo Dio nel luogo che Egli scelse per far ricordare il Suo nome la decima parte del tuo grano, del tuo mosto e del tuo olio e i primogeniti del tuo bestiame grosso e minuto, onde tu impari a temere per tutta la tua vita il Signore tuo Dio.

Se, a causa della distanza, non fosse possibile portare le decime, queste potranno essere convertite in denaro ed arrivati al luogo prescelto dal Signore si potrà acquistare sul posto bestiame grosso e minuto, vino, liquori e quant’altro si desidera per poter offrire i sacrifici e mangiare davanti al Signore.
Questa prescrizione, incidentalmente, ci aiuta a capire quel passo del Vangeli cristiani in cui si dice che Gesù scacciò dal tempio i cambiavalute ed i venditori di colombe, e questo avvenne a Pesah.
Occorre infatti considerare che durante le feste di pellegrinaggio (Sukkot, Pesah e Shavuot) la presenza di cambiavalute, di venditori di animali e di prodotti idonei per i sacrifici nelle immediate vicinanze del santuario era del tutto normale e ciò per dar modo a chiunque, specie a chi proveniva da lontano, di potersi procurare sul posto i prodotti necessari per le offerte del sacrificio. Insomma durante le feste di pellegrinaggio l’aspetto delle adiacenze del Tempio era quello di un grande mercato, peraltro lecito perché funzionale al culto e perché previsto dalla Torà.

Ogni tre anni la decima avrebbe dovuto lasciarsi nella propria città e sarebbe stata destinata al Levita, al forestiero, all’orfano, alla vedova.

Ogni sette anni ci sarebbe stata la remissione dei propri crediti nei confronti dei debitori appartenenti al proprio popolo, mentre sarebbero rimasti esigibili solo quelli nei confronti dello straniero. Sempre ogni sette anni sarebbe avvenuta la liberazione dello schiavo ebreo, a meno che egli non esprimesse il desiderio di rimanere con il suo padrone.

Per quanto riguarda i poveri le parole di Mosè furono:

Quando in mezzo a te si trovi un povero, uno dei tuoi fratelli in una delle città del tuo paese che il Signore ti concede, non dovrai indurire il tuo cuore né chiudere la tua mano al tuo fratello povero.

Tu devi dargli ciò che ha bisogno e non deve dolersi il tuo cuore quando glielo darai perché proprio per questo atto ti benedirà il Signore tuo Dio in tutte le tue azioni ed in tutto ciò che tu intraprenderai. Poiché il povero non mancherà mai nel paese, io ti ho comandato: apri la tua mano al tuo fratello povero ed al misero nel tuo paese.

Questo precetto di soccorrere il povero fa il paio con quello della scorsa parashà Ekev dove si prescrive di soccorrere lo straniero. La mia opinione, trasportata al giorno d’oggi, è la stessa: distingui il povero transitorio, occasionale, per disgrazia e che vuole rialzarsi dal povero stabile, professionale, che si è adattato a vivere stabilmente in modo parassitario ai margini della società. Nel primo caso il tuo aiuto sarà efficace, nel secondo caso occorre un recupero sociale che necessita di un intervento specializzato da parte della società.

Il capitolo 16 che conclude la parashà enumera le prescrizioni per le feste di pellegrinaggio. Per Pesah si offrirà il sacrificio pasquale di ovini e bovini nel luogo scelto dal Signore per il Santuario, sarà vietato per sette giorni di mangiare e detenere qualsiasi cosa lievitata, sarà vietato che la carne immolata il pomeriggio del giorno precedente la festa rimanga durante la notte e fino al mattino. Per sei giorni si mangerà pane azzimo e nel settimo giorno vi sarà una riunione in onore del Signore e non si lavorerà.
Per Shavuot, festa della mietitura, sarà recata l’offerta al Signore e si festeggerà con la propria famiglia, con gli schiavi, con il Levita, con il forestiero, l’orfano e la vedova.
Con modalità del tutto analoghe, ma per sette giorni, verrà celebrata Sukkot recando le offerte al Signore e festeggiando collettivamente.


Haftarà di Reè
(Is.54,11-55,5)

Sono Io che ho creato il fabbro che soffia sul fuoco di carbone e ne trae uno strumento per il suo lavoro; sono Io che ho creato il distruttore per devastare. Ogni strumento che sia fatto contro di te non riuscirà, ogni lingua che si alzi contro di te in giudizio tu la dimostrerai colpevole.

O voi tutti che siete assetati, venite all’acqua, anche chi non ha denaro: venite e rifornitevi e mangiate; venite e rifornitevi senza denaro di vino e di latte. Perché pagare denaro e non avere cibo? Perché dare il profitto delle vostre fatiche e non saziarvi?

Porgetemi orecchio, venite a Me, ascoltate e vivrete, Io stabilirò con voi un patto eterno, vi darò i favori duraturi promessi a David.

Gente che non conoscevi tu chiamerai, popoli che non ti conoscevano a te correranno, in grazia del Signore Tuo D-o e del Santo d’Israele che a te dà gloria.

domenica 5 agosto 2012

Ekev

(Deu.7,12-11,25)

La parola ekev significa “per conseguenza” o anche “per ricompensa” quando sussista una visione ottimistica di una conseguenza ad una azione positiva.

Mosè prosegue nel suo discorso, dicendo al popolo che, se eseguirà le leggi che gli sono state comandate, allora “per ricompensa” sarà amato, benedetto e si moltiplicherà, perché benedetto sarà il frutto del suo ventre, quindi i suoi figli, e benedetto sarà il frutto della terra, grano, mosto, olio, e benedetti infine i parti del suo bestiame, grosso e minuto.

Benedetto fra tutti i popoli, cioè distinto fra essi perché di lui si dirà bene, sarà allora il popolo d’Israele, che, grazie all’intervento del Signore, conquisterà la terra promessa, sconfiggendo altri popoli molto più potenti di lui.

Tu divorerai tutti i popoli che il Signore tuo Dio è per dare in tuo possesso, non avrai pietà di loro e non servirai i loro dèi perché questo sarebbe per te causa di rovina.

Il Signore tuo Dio manderà contro di loro il calabrone, finché periranno coloro che saranno scampati e coloro che si saranno nascosti davanti a te.

Il Signore tuo Dio scaccerà quelle nazioni dalla tua presenza poco a poco; non potrai distruggerli rapidamente affinché non abbiano a moltiplicarsi contro di te le belve della campagna.

Divorare tutti i popoli” è una locuzione che rende molto bene l’idea del fagocitare, dell’assorbire, dell’assimilare, del rendere simili a sé, distruggendo i loro dèi ed i loro riti, perché nei loro dèi e nei loro riti si annida l’insidia più terribile, la più aborrita: l’idolatria e la perdita della fiducia del Signore.
Il Signore sterminerà i superstiti di questi popoli e coloro che si saranno nascosti, e ciò per impedire che possa sopravvivere con essi l’idolatria nella terra che il Signore avrà dato al popolo d’Israele. La cacciata degli idolatri sarà graduale per dar modo al popolo d’Israele di organizzarsi nel soppiantare quelle popolazioni e con ciò sarà impedito che la terra, altrimenti abbandonata, impoverisca ed inselvatichisca. Naturalmente lo sterminio è riferito alle popolazioni che persevereranno nei loro culti idolatri e non a coloro che, abbandonata l’idolatria, si uniranno al popolo d’Israele nella fiducia nel Signore.

Rammenta Mosè i quarant’anni di peregrinazione nel deserto, che costituirono una prova severa per conoscere se il popolo avrebbe osservato i precetti del Signore o no. Ricorda la fame che il popolo dovette patire.

Egli ti umiliò, ti fece provare la fame e ti dette da mangiare la manna che non conoscevi e che non avevano conosciuto i tuoi padri, per farti sapere che l’uomo non vive di solo pane, ma che egli può vivere di tutto ciò che esce dalla volontà espressa dal Signore.

Evidente è qui il connubio tra il significato reale e concreto di avere sfamato un popolo, rivelando loro le risorse che la natura offre per alimentarci quando vengano a mancare i cibi ai quali siamo tradizionalmente abituati, ed il significato simbolico di alimento costituito dalla fiducia nel Signore ed in quanto d’insolito, di sorprendente, d'inaspettato Egli può porre sulla nostra strada per risolvere le più gravi difficoltà nelle quali ci troviamo ad imbatterci.

Ammonisce Mosè il popolo affinché, quando verrà in possesso della buona terra che il Signore gli ha dato e mangerà e si sazierà dei suoi frutti, non abbia ad insuperbirsi ed a dimenticare il Signore.

Ma ti ricorderai invece del Signore tuo Dio perché è Lui che ti concede la forza di procurarti il benessere per mantenere fede al patto che giurò ai tuoi padri, come avviene oggi.

Non dunque per la tua rettitudine e per l’onesta del tuo cuore tu pervieni a possedere la loro terra, ma per la malvagità di questi popoli il Signore tuo Dio li caccia davanti a te, al fine di mantenere ciò che giurò ai tuoi padri, Abramo, Isacco e Giacobbe, e Tu saprai dunque che non è per la tua rettitudine che il Signore tuo Dio ti concede questa buona terra in possesso, perché tu sei un popolo dalla dura cervice.

Quindi Israele non avrebbe mai potuto conquistare la terra promessa con le sole proprie forze, se non avesse avuto dalla sua parte il Signore. Ed inoltre il Signore avrebbe condotto il popolo alla conquista della buona terra non perché ne avesse ravvisato virtù meritevoli, semmai sarebbe stato per la malvagità dell’idolatria dei popoli che la occupavano. Ma soprattutto l’unico vero motivo per il quale il Signore condurrà il Suo popolo alla conquista della terra promessa è il patto giurato ad Abramo, Isacco e Giacobbe. Ed a riprova dei loro demeriti Mosè rammentò al popolo la vicenda del vitello d’oro, da loro fabbricato proprio mentre lui riceveva sul monte Chorev le due tavole di pietra scritte dalla mano del Signore. Ricordò come per lo sdegno e l’ira lui le avesse spezzate e come avesse trascorso i successivi quaranta giorni senza mangiare e senza bere in espiazione dei loro peccati e rammentò come poi li avesse salvati dall’ira del Signore.

Infatti io temevo per lo sdegno e l’ira concepiti contro di voi dal Signore che minacciava di distruggervi. Ma il Signore mi dette ascolto anche questa volta. Anche contro Aron si era sdegnato molto il Signore tanto che voleva distruggerlo, ma io pregai anche in favor suo in quel tempo.

Aron, fratello di Mosè, che abbiamo conosciuto come la voce di un Mosè balbuziente davanti al Faraone; egli primo Gran Sacerdote del Santuario, eppure così debole se privato della guida di suo fratello, il condottiero ispirato da Dio. La colpa di Aron era stata gravissima: quando il popolo, non vedendo tornare Mosè dal monte, gli chiese "facci un Dio", egli acconsentì e permise la fabbricazione del vitello d’oro e che venissero celebrati riti pagani.

Al ritorno di Mosè dal monte per la purificazione dalla colpa di avere adorato il vitello d’oro morirono tremila dei fuorusciti dall’Egitto, su delazione dei propri fratelli e dei propri compagni, ma Aron fu salvo. I sostenitori di Aron affermano che egli nella vicenda fu accondiscendente allo scopo di prevenire il manifestarsi di possibili disordini e magari la disgregazione del popolo, se ancora una volta avesse preso corpo ed avesse prevalso l’idea del ritorno alla terra degli schiavi.

Ma forse Aron non fu accondiscendente per una questione di accortezza e di calcolo. Potrebbe essere invece, per la complementarità dei due fratelli, che Aron sia stato un debole, come se la personalità, la forza del fratello Mosè, alla cui ombra egli ha vissuto, avesse prosciugato anche le sue energie. E’ salvo Aron, forse immeritatamente se confrontiamo la sua colpa con la drammatica vicenda dei suoi due figli che verranno inceneriti non per una mancanza ma per un eccesso di zelo dovuto a palese inesperienza. Aron deve la sua salvezza unicamente all’intercessione di suo fratello Mosè. Così come tutto il popolo d’Israele deve a Mosè la sua salvezza, per avere egli placato l’ira del Signore, quando Egli lo avrebbe voluto distruggere sdegnato per le sue colpe.

Qui è la grandezza di Mosè, condottiero, guida, forgiatore del popolo, ma soprattutto capace non solo di ascoltare, ma anche di dialogare con il Signore, al punto tale di convincerlo, di legarlo nuovamente a sé ed al Suo popolo.

Ma qui è anche espressa la grandezza del Signore d’Israele, che si rende accessibile all’uomo da Lui creato assumendo comportamenti che tanto sono simili a quelli della creatura, che Egli ha creato a Sua immagine e somiglianza.

Rammentato il taglio delle nuove tavole di pietra e la costruzione dell’arca della Testimonianza, Mosè ricorda anche la morte del fratello Aron e la nomina al sacerdozio di El’azar e quindi la designazione della tribù di Levi per il servizio del Santuario.

Infine egli comunica al popolo quanto a lui disse il Signore:

Va’, passa in testa al popolo e va’ a conquistare la terra che giurai ai loro padri di dar loro.

Rivolge quindi Mosè una vibrata esortazione al popolo affinché apra il proprio cuore e si disponga a percepire ed eseguire i precetti del Signore:

Circoncidete il prepuzio del vostro cuore e non siate più duri di cervice, perché il Signore vostro Dio è il Dio degli dèi ed il padrone dei padroni, Iddio grande, potente e terribile, inflessibile e incorruttibile, che fa la giustizia dell’orfano e della vedova e che ama lo straniero dando loro cibo e vestiti. Amerete lo straniero perché anche voi foste stranieri in terra d’Egitto. Temerai il Signore tuo Dio, Lo servirai, ti attaccherai a Lui e giurerai nel Suo nome.

Il riferimento allo straniero cui dare cibo e vestiti è di grande attualità in questa nostra Italia, che, flagellata da una severa situazione economica e consapevole di un dissesto sociale ancora in fase emergente, teme in modo preconcetto lo straniero e non sa distinguere tra lo straniero bisognoso della più elementare sussistenza e lo straniero che invece è alla ricerca di una ricchezza da trovare ai margini o al di fuori della legalità. Allo straniero bisognoso daremo assistenza senza temerlo, aprendo il nostro cuore, dando a lui quanto necessario perché possa riprendere a procedere autonomamente, senza pretendere restituzione, il Signore non ci farà impoverire per questo, ma al contrario saremo più ricchi, nel cuore.

Segue al capitolo 11, versetti da 13 a 21, il brano che costituisce la seconda parte dello Shemà:

Se dunque ascolterete i precetti che Io vi comando oggi, di amare cioè il Signore vostro Dio e di servirlo con tutto il vostro cuore e tutta la vostra anima, Io concederò alla vostra terra la pioggia a suo tempo, quella autunnale e quella primaverile, e tu potrai raccogliere il tuo grano, il tuo mosto ed il tuo olio; farò crescere l’erba nel tuo campo per il tuo bestiame e tu potrai mangiare e saziarti. Guardate bene però che il vostro cuore non sia sedotto e vi sviate, servendo altri dèi e prostrandovi a loro. La collera del Signore divamperebbe contro di voi! Egli chiuderebbe il cielo, non ci sarebbe più pioggia e la terra non potrebbe più dare il suo prodotto e voi scomparirete ben presto dalla buona terra che il Signore sta per darvi. Ma voi porrete invece queste mie parole nel vostro cuore e nella vostra anima, le legherete come segno sul vostro braccio e saranno come frontali fra i vostri occhi. Le insegnerete ai vostri figli parlandone con loro stando in casa, quando cammini per la via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Le scriverai anche sugli stipiti delle porte della tua casa e in quelle della tua città, affinché si prolunghi la vostra vita e quella dei vostri figli nella terra che il Signore ha giurato di dare ai vostri padri per l’eternità.

L’essere umano che vivrà la propria vita seguendo con assiduità i precetti del Signore non avrà debolezze, non sarà colto alla sprovvista e saprà superare serenamente ogni difficoltà, come se la pioggia fosse sempre venuta a tempo debito ed i raccolti fossero stati sempre sufficienti, come pure il foraggio per il suo bestiame.
Il precetto di porre queste parole nel proprio cuore e nella propria anima e di legarle al proprio braccio e porle fra i propri occhi conduce l’ebreo ad indossare giornalmente i tefillìn. Analogamente alla prescrizione di scrivere queste parole sugli stipiti delle porte si deve l’affissione della mezuzàh sullo stipite destro della porta d’ingresso della propria casa.

Si conclude la parashà con una frase che pare travalicare la fase più immediata della conquista della terra promessa, il cui territorio è stato già definito come la terra che va dal Giordano al mare. L’ultima frase risuona come una promessa di più vasta portata temporale e territoriale che promette al popolo che amerà e servirà il Signore territori che si estendono dall’Eufrate al mare e dal Libano al deserto, che incontrarono dopo la traversata del Mar Rosso.

Poiché se voi osserverete tutti questi precetti che Io vi ho comandato di eseguire, amando cioè il Signore vostro Dio, seguendo tutte le Sue vie e rimanendo a Lui attaccati, il Signore caccerà da davanti a voi tutte queste nazioni e diverrete i dominatori di nazioni più grandi e più potenti di voi. Ogni località che la pianta del vostro piede calcherà sarà vostra dal deserto al Libano, dal fiume Eufrate fino al Mediterraneo si estenderà il vostro territorio.

Questa frase può essere intesa in senso letterale e quindi come la promessa della costituzione di un super stato di Israele che arrivi a comprendere i territori che attualmente appartengono alla Siria, alla Giordania ed al Libano. Ma la frase può assumere una dimensione molto più imponente, qualora se ne compia un’interpretazione, svincolandosi dal significato letterale. In questo caso per la sua interpretazione occorre tener presente che un territorio così definito corrispondeva praticamente a tutto il mondo all’epoca conosciuto, delimitato dalle due superpotenze esistenti, l’Assiria e l’Egitto, e dal mare e dal deserto. In questo caso quindi la frase sottende un messaggio universale secondo cui, se Israele osserverà i precetti dettati dal Signore, così da costituire, in quanto popolo di sacerdoti, il riferimento certo per tutte le nazioni, l’idolatria sarà sconfitta e la fiducia nel Signore si estenderà a tutto il mondo ed a tutti i popoli.




Haftarà di Ekev
(Sintesi da Is.49,14-51,3)

Così dice il Signore: ‘Dov’è il documento di separazione di vostra madre, che provi che Io l’ho ripudiata? O chi è un Mio creditore a vantaggio del quale vi abbia venduti? Per le vostre colpe è stata ripudiata vostra madre. Perché, quando Io sono venuto, non c’era nessuno, quando Io ho chiamato, nessuno ha risposto? Forse che il Mio braccio è troppo corto per redimere, o forse che Io non ho la forza di salvare? Ma se Io posso, con il Mio grido, seccare il mare, trasformare i fiumi in deserto sicché ne muoiano di sete i pesci e imputridiscano per mancanza d’acqua, rivestire i cieli di bruno e dar loro per vestito il sacco!’

Ascoltatemi, o voi che andate dietro alla giustizia, o voi che ricercate il Signore, guardate alla roccia da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo vostro padre ed a Sara vostra genitrice. Io l’ho chiamato quando era solo, l’ho benedetto e l’ho moltiplicato. Certo il Signore ha deciso di consolare Sion, di consolarne le rovine, di rendere il suo deserto uguale all’Eden, la sua steppa uguale al giardino del Signore; là vi saranno gioia e letizia, inni di ringraziamento e voci di canto.

venerdì 3 agosto 2012

Il Decalogo

(Es.20,1-20,17; Deu.5,6-5,18)

In Esodo si narra che il Signore pronunciò sul monte Chorev le parole della Legge, i Comandamenti del Patto che volle stringere con i figli d'Israele.

Questo, sinteticamente, è l'elenco dei Comandamenti:

1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dèi al Mio cospetto.
3) Non pronunziare il nome del Signore Dio tuo invano.
4) Ricordati del giorno del Sabato per santificarlo.
5) Onora tuo padre e tua madre.
6) Non uccidere.
7) Non commettere adulterio.
8) Non rubare.
9) Non fare falsa testimonianza.
10) Non desiderare ciò che appartiene ad altri.


In Deuteronomio il racconto biblico dice che Mosè radunò il popolo d'Israele e, rammentando loro il patto stabilito dal Signore sul monte Chorev, ripetè quindi le dieci Parole, i dieci Comandamenti che il Signore aveva pronunciato quarant'anni prima ed essi ascoltarono atterriti.

Se ci soffermiamo sui primi due Comandamenti e confrontiamo le traduzioni dei due passi biblici secondo la Bibbia Ebraica a cura di Rav Dario Disegni, osserviamo una lieve differenza formale, che però può dar luogo a dubbi interpretativi.

Infatti in Esodo nel primo capoverso figurano unicamente le parole "Io sono il Signore Dio tuo" e nel secondo sono le parole "Non avrai altri dèi al mio cospetto. Non ti farai alcuna scultura né immagine".

In Deuteronomio invece fanno parte del primo capoverso sia le parole "Io sono il Signore tuo Dio", sia le parole "Non avrai altri dèi al mio cospetto", mentre al secondo capoverso sono le parole "Non ti farai alcuna scultura nè immagine".

Il testo ebraico non ci aiuta a questo proposito perché, non essendoci la forma del punto e a capo non ci sono capoversi, ed esso è quindi costituito da una semplice sequenza di frasi.

In sostanza il dubbio che si profila riguarda la scritturazione dei primi due comandamenti e precisamente se, invece di quella sopra riportata non debba invece intendersi:

1) Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altri dèi al mio cospetto.
2) Non ti farai alcuna scultura nè immagine.


Questa versione, adottata in altre fonti, conferisce rilievo autonomo alla prescrizione contraria a sculture ed immagini e costituisce una incentivazione della concezione iconoclastica.

A mio parere questa scritturazione non è pienamente condivisibile giacché ritengo che il divieto di sculture e immagini sia stato espresso non di per sé, ma nel fondato timore che queste potessero divenire oggetto di culto e adorazione, come del resto avvenne con il vitello d'oro. Inoltre il solo comandamento di riconoscere il Signore come proprio Dio non esclude di per sè il riconoscimento di altri dèi e perciò è impartito il secondo comandamento, sicché avremmo:

1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dèi al mio cospetto. Non ti farai alcuna scultura né immagine.


Ora se il divieto di sculture e immagini è impartito allo scopo di evitare che diventino oggetto di culto e adorazione, ecco che questo divieto è assorbito dalla prima parte "Non avrai altri dèi al mio cospetto" e in definitiva la scritturazione sintetica dei primi due Comandamenti diviene:

1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dèi al mio cospetto.


conforme quindi alla formulazione riportata inizialmente.

Un'altra considerazione merita di essere fatta a proposito del settimo Comandamento, per il quale altre fonti propongono la dizione "Non commettere atti impuri", come riportato, ad esempio, in Wikipedia che cita in proposito il Decalogo in uso per la catechesi cattolica e cioè:

Ascolta Israele! Io sono il Signore Dio tuo:
1) Non avrai altro Dio all'infuori di me.
2) Non nominare il nome di Dio invano.
3) Ricordati di santificare le feste.
4) Onora il padre e la madre.
5) Non uccidere.
6) Non commettere atti impuri.
7) Non rubare.
8) Non dire falsa testimonianza.
9) Non desiderare la donna d'altri.
10) Non desiderare la roba d'altri.


Il Comandamento, che nell'elenco soprariportato da settimo è diventato sesto, non risulta in nessuno dei due passi biblici e mi pare fornisca una visione non coerente con la finalità sociale che si intravede nei Comandamenti dal quinto al decimo. Pertanto resta, a mio parere, confermatala validità della dizione:

7) Non commettere adulterio.

Segnalo infine l'atipicità del decimo Comandamento, conclusivo della sequenza dei cinque comandamenti negativi, che prescrivono cioè le cose da non fare, perché quello che si prescrive di non commettere in questo caso non è un'azione ma un pensiero, un desiderio, che, a mio parere, finché rimane tale può costituire un'ossessione per chi lo prova, ma non produce danno ad altri.

10) Non desiderare ciò che appartiene ad altri.

Con questa dizione si comprendono sia la donna, sia i servi, sia i beni materiali che gli altri possiedono.

Questo Comandamento, che condanna il pensiero e non un’azione, è perciò, a mio parere, il più severo e c’è da chiedersi la ragione di questa particolarità. E' un Comandamento verso sé stessi e non verso gli altri e trova giustificazione nella scelta che deve compiersi mirata alla disciplina del controllo e della repressione del desiderio, che ci conduca a dare valore a ciò che abbiamo e non a ciò che vorremmo avere.

La terza parte dello Shemà (Nu.15,37-41) recita:

“E parlò Adonai a Moshè, dicendo: parla ai figli d’Israele, e dirai loro di fare, per loro e per tutte le loro generazioni Tzitziòt sulle ali estreme dei loro vestiti, e porranno sulla Tzitzìt all’estremità un filo azzurro. E sarà per voi come Tzitzìt, e guardando ricorderete tutte le mitzvòt del Signore, e le osserverete. E non vi perderete dietro il vostro cuore e dietro i vostri occhi, perché vi prostituireste seguendoli. Affinché ricordiate ed osserviate tutti le mie mitzvòt e di distinguiate per il vostro Signore. Io, Adonai vostro Signore, che vi ho tratti dalla terra d’Egitto per essere vostro Signore. Io, Adonai, vostro Signore.

Ecco allora la chiave che ci fa comprendere la ragione di questa severità. Avere desideri è una normale condizione umana, ma perdersi dietro ad essi al punto di farne un’ossessione o di essere indotti a compiere azioni conseguenti che ledono diritti altrui, è deprecabile soprattutto perché, ciò facendo, eleggiamo a idolo l’oggetto dei nostri desideri e deviamo quindi dalla linea direttrice che il Signore ha tracciato per noi.

L’idolatria quindi si conferma ancora una volta come il peccato principale, quello al quale sono in sostanza riconducibili tutti gli altri. L’idolatria, che non è solamente l’adorazione di una stele o di una statua, così come non è solamente argomento di culto religioso. L’idolatria ci insidia tutti i giorni, tutte le volte che cediamo al nostro egoismo, tutte le volte che ci mostriamo sordi alle parole dell’altro. Ecco perché è stato posto questo freno, che non vuol conseguire l’annullamento dei propri desideri, perché questi fanno parte della nostra natura umana, ma la loro moderazione, il loro controllo, affinché non assumano il sopravvento sui princìpi secondo cui intendiamo regolare la nostra vita.