martedì 15 giugno 2010

il libro di daniele

Il libro di Daniele è contenuto nella parte del Tanàkh, che porta il nome di "Ketuvim" , Agiografi. E' composto da dodici capitoli, scritti - il primo e gli ultimi cinque - in ebraico, mentre gli altri sono in aramaico ad eccezione del capitolo terzo originariamente scritto in greco. Daniele venne deportato giovinetto dalla Giudea a Babilonia e i primi sei capitoli del libro narrano le vicende da lui vissute nell'esilio (587-538 a.C.). Era costume allora, come lo è ancora adesso, che il vincitore depredasse il vinto delle sue ricchezze, che erano non solo i beni materiali, ma anche l'elite culturale nelle arti e nelle scienze ed ancora la sua forza lavoro specializzata, in particolare i fabbri, tanto necessari per la forgiatura delle armi.


Tutto questo capitò alla Giudea vinta dal babilonese Nabucodonosor. La fede nel Signore e l'osservanza degli insegnamenti della Torah consentirono a Daniele ed al suo popolo di mantenere la propria identità nell'esilio e fino al ritorno alla loro terra. Nei primi sei capitoli si narrano le vicende di Daniele a Babilonia, da quando egli vi giunse e fu affidato ad Ashpenaz, capo degli eunuchi, affinché lo preparasse per essere ammesso al palazzo del re. Il capo degli eunuchi gli cambiò il nome da Daniele a Belsciatsar, che significa Bel protegge la tua vita, gli insegnò la lingua e gli usi dei Caldei e lo istruì per la vita a palazzo. Forse nella preparazione alla vita di palazzo era anche la sterilizzazione, come farebbe pensare la figura preposta del capo degli eunuchi e l'assenza nel libro di Daniele di rapporti con figure femminili, nonché la sua imperturbabilità, scevra da manifestazioni di umana passione.


In questi primi capitoli sono gli episodi della fornace ardente, lo scioglimento degli enigmi posti dai sogni del sovrano, la rapida ascesa nella gerarchia amministrativa del regno, il complotto dei cortigiani gelosi e la condanna inflitta alla fossa dei leoni. Ci sono tutte le possibili vicende della vita di un alto funzionario di Stato: la sua ascesa, il lievitare delle invidie, il complotto, l'ingiusta condanna, il rispetto ricevuto dalle belve e non dagli uomini, la riabilitazione. Sono vicende umane, senza tempo, sempre attuali, alle quali anche noi abbiamo assistito.I capitoli dal 7 al 12, scritti in epoca più tarda da altri autori (come il Deutero Isaia e il Terzo Isaia) sono invece caratterizzati da una serie di visioni, che assumono una crescente connotazione apocalittica, fino a raggiungere il culmine al capitolo 12, dove son trattati i temi della resurrezione e degli ultimi tempi. I contenuti profetici del libro sono stati e sono tuttora ampiamente discussi da biblisti di varie religioni, che hanno prodotto nel tempo interpretazioni e collocazioni temporali degli avvenimenti profetizzati. Il libro si presta alla molteplicità interpretativa, non solo per i suoi contenuti, laddove narra di avvenimenti futuri e conclusivi per l'umanità, ma anche per lo stile letterario con il quale l'autore insinua ambiguità e parametri numerici. Ricordiamoci che l'ambiente in cui Daniele vive è Babilonia, e ricordiamo anche che a corte era d'uso, come intrattenimento colto e sapiente, porre e sciogliere indovinelli e che quindi una prosa ermetica, che stimolasse la possibilità di varie interpretazioni, risultava particolarmente apprezzata. Non è mio desiderio cimentarmi in esercizi di decriptazione delle profezie per tentare di definirne la collocazione temporale e svelare la data della fine del mondo. Voglio invece trovare nelle profezie di questo capitolo conclusivo di Daniele un messaggio rivolto alla mia individualità, un messaggio dove io possa reperire l'indicazione della via da percorrere nel tramonto della vita e che lasci intravedere cosa è oltre. Come ho fatto in altre occasioni nel percorrere le pagine del Libro, apro il mio cuore e lascio che le parole entrino e comincino a pulsare, mi affido a loro e ascolto. I nodi, allora, si allentano e si sciolgono e comincio a sentire, comincio a capire il messaggio di amore che, dolcemente, come profumo di un fiore odoroso, progressivamente mi avvolge. E allora, quando l'Angelo dice a Daniele "Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si desteranno ... " , io ascolto e sento che, quando la mia vita volgerà al tramonto e verso la conclusione, potrò destarmi, e veder la via segnata dal Signore e sarò parte dei molti, oppure potrò non destarmi ed essere parte degli altri. Potrò destarmi ed aver seguìto la via del Signore e sarò parte de "gli uni per la vita eterna" , potrò destarmi e non aver seguìto la via del Signore e sarò parte de "gli altri per l'obbrobrio, per un'eterna infamia". Non sono condanne queste, impartite da una Divinità onnipotente ad un uomo vittima inerme: costituiscono invece l'inevitabile punto di arrivo dei percorsi diversi, che l'uomo ha consapevolmente scelto di seguire. "E tu, o Daniele, tieni segrete queste parole e sigilla il libro fino al tempo della fine;": queste parole conserverò nel mio cuore, non le disperderò e le porterò con me fino al giorno della mia dipartita. "Molti andranno cercando attentamente e aumenterà la conoscenza", queste parole sono riferite all'umanità in generale e possono interpretarsi come espresso dal Rav Dario Disegni "allora molti lo studieranno e aumenterà la conoscenza, quando si constaterà che anche le persecuzioni finiscono col trionfo dei giusti e apparirà che tutto si risolve per mano della provvidenza." Mi piace però pensare che anche a questa frase, che riguarda l'umanità, possa applicarsi un'interpretazione simile a quella che io percepisco per me stesso: "Molti uomini cercheranno in sé stessi la verità ed arriveranno a percepire la consapevolezza della conoscenza". "Ma io, Daniele, guardavo ed ecco due altri uomini che stavano in piedi, uno sulla sponda di un fiume e l'altro sull'altra sponda. E disse uno di loro a quell'uomo vestito di lino, che stava al di sopra delle acque del fiume: - Quando sarà la fine di queste cose portentose?-" : al termine del mio cammino terreno giungerò alla sponda di un fiume, il trapasso avverrà durante il guado del fiume, al di là sarà l'altra sponda, limite del luogo ove risiederà la mia essenza. Il fiume è luogo riservato al Signore ed è presidiato dagli angeli perché in questo luogo avviene una modificazione divina: il Signore sottrae dal corpo mortale l'essenza spirituale, liberando il fanciullo lieto e leggero dal suo involucro pesante. Affinchè il fanciullo non vaghi e smarrisca, egli è condotto dal Signore nel guado purificatore e giunge all'altra sponda.


"Il Signore è il mio Pastore, nulla mi manca. Su verdi prati mi farà riposare, mi guiderà lungo acque tranquille. Egli ristorerà la mia anima, mi condurrà per retti sentieri, in grazia del Suo nome. Anche se dovessi andare nella valle dell'ombra della morte, non temerò alcun male, perché tu sei con me; la Tua verga ed il Tuo bastone mi danno conforto. (Salmo 23, 1-4)" Seguono le enunciazioni dei parametri numerici che collocano la fine dei tempi. Queste enunciazioni ermetiche sono variamente interpretabili. Sono interpretazioni che, se compiute da falsi profeti o da ciarlatani, possono creare uno stato di tensione emotiva nei loro seguaci sul quale basare il carisma necessario a condizionarne i comportamenti. A mio parere non è questa la conclusione del libro di Daniele. Non è nei numeri che è definita la fine dei tempi, non è nei calcoli di una data impossibile da calcolare, semplicemente perchè non è una sola data, ma è un'infinità di date: una per ogni uomo, perché ogni uomo ha la sua fine dei tempi. Perciò il libro conclude con le ultime parole che il Signore rivolge a Daniele: "Ma tu va' e attendi la fine e riposa e ti leverai a ricevere la tua parte di eredità alla fine dei giorni". E' un messaggio rassicurante: "Non cercare di leggere il futuro ma sii fiducioso nel Signore e , nel rispetto dei Suoi precetti, serenamente aspetta il compimento della tua vita terrena. Così la tua essenza riceverà la mia eredità: consapevolezza di amore e giustizia".

giovedì 10 giugno 2010

olocausto: si poteva fermare?



Padre Desbois ha dedicato la sua attività di questi ultimi anni alla ricerca della storia nascosta dell'eccidio di migliaia e migliaia di ebrei in piccoli borghi e foreste dell'Ucraina e di tutta l'Europa Orientale. E' stato premiato da Yad Va-shem e ultimamente l'Università di Bar-Ilan, a Ramat-Gan, gli ha assegnato una laurea honoris causa.

Il 18 gennaio scorso, presso l’Università Gregoriana alla presenza di una delegazione del Gran Rabbinato di Israele e di una numerosa rappresentanza diplomatica internazionale, Padre Patrick Desbois ha proceduto alla lettura pubblica del tema “The Holocaust by Bullets”, l’olocausto con le pallottole.
L’attività di Padre Desbois si è svolta in Ucraina, partendo dai luoghi ove suo padre era stato prigioniero durante il conflitto mondiale. Sono state individuate, da lui e dai suoi collaboratori, fosse comuni con i resti di un eccidio di proporzioni superiori ad ogni previsione. Fin’ora le fosse comuni in Ucraina sono oltre settecento e si calcola che i cadaveri contenuti siano almeno un milione e mezzo. L’opera di Padre Desbois consente la scoperta dei luoghi e delle dimensioni dell’eccidio, ma non potrà arrivare all’individuazione delle singole persone trucidate ed alla compilazione delle liste dei loro nomi. Non ci sarà la prova della morte di ogni singolo individuo e del luogo ove è avvenuta.
Sono in vita ancora gli ultimi testimoni della strage, le ultime persone che potranno dire “ricordo che la fossa iniziava qui, andava per di là e finiva laggiù”. Tra qualche hanno non ci sarà più nessuno a fornire testimonianza.



Poi ci sono le domande, quelle fatte ai testimoni : “Perché non ne avete mai parlato prima?”, domanda che non è una domanda, perché la risposta vera, nell’intimo, la sanno tutti.
Le risposte date completano l’ipocrisia : “Perché nessuno me l’ha chiesto!”
Poi c’è la domanda chiave, quella che si colloca nell’ambito dell’argomento di attualità: “Si poteva fare qualcosa per impedire o fermare l’olocausto?” e pare vogliano dire: “Ma Pio XII poteva fare qualcosa per fermare l’olocausto, o lo potevano fare le nazioni alleate in guerra contro le potenze dell’Asse?” .
Le verità sono a volte amare, a volte impietose, a volte feroci ed urticanti.
Qualcuno all’epoca ha fatto qualcosa, è esistito un Paese nella sfera d’influenza della Germania nazista dove il rastrellamento e la deportazione, pur ordinati da Berlino, non sono riusciti; dove neanche un ebreo di quella nazione è stato ceduto alla macchina dello sterminio.
Una storia sconosciuta, avvenuta in un Paese lontano: la Bulgaria. Tra le poche tracce che ne restano, due brevi comunicati radio.
Il primo è di Radio Berlino, che il 20 maggio 1943 annunciava, con burocratica sicurezza, l'imminente deportazione dei ventimila ebrei di Sofia, una delle tante tappe previste nella “Endloesung der Judenfrage”, la “soluzione finale del problema ebraico” decisa l'anno prima nella villa a Wannsee.
Il secondo è della Bbc. Il 24 maggio, il suo servizio internazionale informava di una manifestazione di protesta a Sofia. Migliaia di persone in piazza avevano impedito la partenza dei convogli nazisti. La deportazione non aveva avuto luogo. Una ribellione, in un Paese occupato, nell'angolo più sperduto della guerra, seguiva di un mese l'insurrezione del ghetto di Varsavia. Poi, però, non si seppe più nulla.
A maggio i nazisti ordinarono ai 20 mila ebrei di Sofia di presentarsi alla stazione il 24 maggio, giorno di Cirillo e Metodio, inventori dell'alfabeto cirillico, festa nazionale.
Ma nella Bulgaria già da qualche mese qualcosa stava cambiando. Dimitar Peshev era vicepresidente del Parlamento bulgaro e già nel marzo del 1943, informato della imminente deportazione di 48.000 ebrei bulgari, si era adoperato affinché re Boris III ed il governo disponessero la sospensione dei treni per Auschwitz.



Il 24 maggio, a Sofia, successe un evento unico in tutta Europa. A gruppi, gli ebrei cominciarono a manifestare. Alcuni si recarono alla grande sinagoga, altri a quella del quartiere popolare di Yuchbunar, dove il rabbino promosse una manifestazione. Venne deciso di marciare verso il palazzo reale. Partirono in poche centinaia, ma dalle case di Sofia molti cominciarono a scendere in strada. I manifestanti divennero migliaia, i gruppi comunisti clandestini tra i più attivi. La stazione venne presidiata, mentre il corteo affrontava la polizia e gli attoniti ufficiali delle SS. Ci furono 400 arresti, ma i treni rimasero vuoti. Il governo autorizzò solamente lo sfollamento degli ebrei dalla capitale verso le campagne.
I responsabili dell’operazione comunicarono a Himmler che “i bulgari mancano della illuminazione ideologica dei tedeschi. Vivendo da troppo tempo con armeni, greci e zingari, il popolo bulgaro non vede nell'ebreo difetti che giustifichino misure speciali contro di lui”.
Nei mesi successivi continuarono a riferire a Berlino che anche nelle campagne gli ebrei erano “ben accolti” e che “non c'era nulla da fare”. Nell'agosto del 1944, con l'avvicinarsi dell'Armata Rossa, le leggi antisemite vennero revocate: alla fine della guerra non un solo ebreo bulgaro era stato deportato.
L’episodio dimostra che qualcosa poteva farsi, ma non da parte di qualcuno che doveva venire da fuori, ma da parte del popolo tutto che avrebbe potuto proteggere la comunità dei propri ebrei.. Che lezione la piccola Bulgaria ha dato a tutta Europa!
Se si vuole veramente qualcosa si deve agire e rischiare, ma le nazioni civili non l’hanno fatto e non solo per codardia, ma perché non hanno voluto farlo. Questa è la risposta urticante all’ipocrisia di una domanda tendente alla liberazione da responsabilità!
Riporto al proposito la recensione del libro “Perché l'olocausto non fu fermato. Europa e America di fronte all'orrore nazista” di Theodore S. Hamerow, i cui contenuti sono in linea con quanto ho appena detto.
“E' ormai noto che la notizia dello sterminio sistematico degli ebrei ad opera dei nazisti circolava in Europa e negli Stati Uniti fin dal 1942. Eppure ci vollero tre lunghi anni prima che si ponesse fine alla barbarie del genocidio. Nel frattempo, nessuna azione militare specificamente finalizzata a sabotare la macchina nazista dell'orrore. Nessuna iniziativa diplomatica esplicitamente rivolta a fermare la mano degli aguzzini. Anzi, l'accoglienza di rifugiati ebrei in fuga dalla Germania fu resa ancor più difficile e le porte delle frontiere si chiusero per loro quasi ermeticamente. Perché? Theodore Hamerow fornisce a questo inquietante interrogativo storico una risposta sgradevole ma molto precisa: l'Olocausto non fu fermato prima perché anche le democrazie occidentali furono percorse al loro interno da una fortissima ondata di antisemitismo, che impedì ai governi di prendere misure concrete in soccorso degli ebrei. Perfino negli Stati Uniti, si tentò di far passare le notizie sullo sterminio per semplice propaganda e la questione ebraica come un problema locale. Frutto di un vastissimo lavoro d'archivio, il libro di Hamerow documenta per la prima volta in modo sistematico perché l'Occidente lasciò mano libera alla follia omicida nazista. Con una conclusione amara: pur sconfitto, Hitler in un certo senso ha vinto perché è riuscito a spazzare via gli ebrei dall'Europa.”