domenica 25 ottobre 2009

elimina la violenza!


Le parole della Torah sono la storia del mondo, la poesia, le regole morali, la religione. Ma tutto questo non riguarda solamente il mondo esterno a noi, ma comprende anche la nostra individualità, è la nostra storia, la nostra poesia, le nostre regole morali, la nostra religione. Dobbiamo ritrovare tutto questo all'interno di noi stessi ogni volta che leggiamo con gli occhi ed assorbiamo nell'anima le parole della Torah.
La parashah Noach contiene un episodio infisso da sempre nel nostro patrimonio culturale e religioso, come un racconto leggendario, terribile e meraviglioso: il diluvio universale.
Tentiamo una lettura intimistica di questo episodio, dovremmo cercare dentro di noi, nel nostro vissuto, o nelle nostre aspirazioni, se c'è un diluvio universale nostro, personale.

ויאמר אלהים לנח קץ כל בשר בא לפני כי מלאה הארץ חמס מפנניהם והנני משחיתם את הארץ
D-o disse a Noè: "Ho decretato la fine di tutte le creature, perché per esse la terra è piena di violenza; ed Io le distruggerò con la terra stessa.
(Bereshit 6, 13)


Arriva un momento della vita in cui si desidera "fare bilanci", esaminare retrospettivamente le nostre azioni, le nostre esperienze, le relazioni con gli altri, e poi, via via, i nostri desideri, i nostri risultati, gli insuccessi, le loro cause, le soddisfazioni, ... si anche queste vanno riconosciute, perché il nostro bilancio dovrà tentare di essere obiettivo, riconoscendo anche quello che abbiamo avuto. In questo momento verranno i nodi al pettine. Cominceremo con l'avvertire un senso di disagio, ad intuire un malessere, senza capire inizialmente cosa sia. A questo punto dovremo insistere perchè, se riusciremo ad estrarre e portare alla luce i nostri veri desideri le nostre aspirazioni profonde, le radici della nostra esistenza, liberandoci da tutto ciò che è stato sovrapposto dagli altri e che ci ha soffocati sin dal formarsi della nostra vita, allora a questo punto saremo pronti per vivere responsabilmente.
Questa è la ricerca della violenza che è in noi, fatta e ricevuta. Questa violenza dovrà essere eliminata.


ויאמר יי יי לנח בא אתה וכל ביתך אל התבה כי אתך ראיתי צדייק לפני בדור הזה
Il Signore disse a Noè: "Entra nell'arca tu con tutta la tua famiglia, poiché te ho veduto giusto dinanzi a Me in questa generazione.
(Bereshit 7, 1)

וימח את כל היקום אשר על פני הארמה מאדם עד בהמה עד רמש ועד עוף השמים וימחו מן הארץ וישאר אך נח ואשר אתו בתבה
Il Signore distrusse ogni essere che era sulla faccia della terra dall'uomo alla bestia, ai rettili e ai volatili; furono distrutti dalla terra; rimase soltanto Noè e chi era con lui nell'arca.
(Bereshit 7, 23)

Dovremo avere la forza di liberarci, di tutte le violenze fatte e subite, di tutti i condizionamenti anche nascosti che ci impediscono di vivere liberamente la nostra vita, di realizzare la nostra individualità responsabile. Solo così potremo arrivare alla salvezza, alla seconda nascita del nostro io vero, liberandoci della crisalide nella quale eravamo imprigionati.

giovedì 15 ottobre 2009

la scala di giacobbe

Tutti i libri del Tanakh sono ricchi di storie di sogni. I sogni sono presentati come comunicazioni di D-o all'uomo, espresse però con simbolismi di non agevole comprensione. I patriarchi ed i profeti, che sono le guide del popolo d'Israele, assolvono alla funzione di interpretare i sogni, rendendo così possibile l'accesso al messaggio divino.
I sogni che maggiormente richiamano l'attenzione dell'uomo sono quelli a contenuto profetico, perchè rispondono ad una antica aspirazione umana, che è quella di riuscire, superando i limiti della propria condizione, a conoscere il proprio futuro.
Ma ci sono anche sogni che rivelano non solamente quello che sarà ma soprattutto quello che è. Sono sogni che contengono elementi di accesso e contemplazione del divino, che lasciano cioé vedere scorci del procedimento secondo il quale si svolge il rapporto tra uomo e D-o, tra creatore e creato.
Il sogno della scala di Giacobbe appartiene a questa categoria dei sogni di accesso e contemplazione del divino.

ויחלם והנה סלם מצב ארצה וראשו מגיע השמימה והנה מלאכי אלהים עלים וירדים בו
"Vedeva una scala posata in terra, la cui cima arrivava al cielo e per essa gli Angeli del Signore salivano e scendevano"
(Genesi 28, 12)

Questo particolare del sogno, questa visione della scala e degli Angeli che la percorrono interrottamente esprime con poche parole un contenuto di importanza fondamentale per gli studiosi che ricercano la conoscenza delle modalità del rapporto tra il divino e l'umano.
Il rapporto tra D-o e l'uomo coinvolge due interlocutori assolutamente non commensurabili. D-o è l'unico assoluto e comprende in sé la totalità di tutto ciò che noi riusciamo ad immaginare ed in più tutto ciò che non cosciamo. Egli è senza tempo ed i concetti umani di passato e futuro non hanno in Lui significato. Egli è illimitato nello spazio, così come lo è nel tempo, ed in ogni ipotetica dimensione sovrapposta e contemporanea della Sua volontà. Per contro le capacità di espressione e di comprensione dell'uomo sono limitate in ragione della sua natura di essere finito nel tempo e nello spazio e che, conseguentemente, è nell'impossibilità di capire e conoscere ciò che esorbita i propri limiti. In questi termini non sarebbe possibile alcuna comunicazione tra D-o e l'uomo. E' come se in una stanza buia si trovassero due persone che parlano lingue completamente diverse.
L'uomo per potere comprendere ha la necessità che D-o adotti sistemi di espressione a lui accessibili. Se, nel compiere una ricerca, digitiamo una parola sul nostro computer, la rete ci risponderà fornendoci ad esempio 5.000.000 di files, mentre, se noi aggiungiamo altre parole per restringere la nostra indagine e limitarla a determinati settori, ecco che il numero delle risposte scenderà ad esempio a 100, rendendo possibile concludere la ricerca con l'acquisizione dell'informazione che stavamo cercando. Nello stesso modo, per rendere accessibile all'uomo la percezione del rapporto con D-o. è necessario che questo rapporto venga espresso con modalità compatibili con le caratteristiche e le capacità degli schemi di elaborazione mentale che l'uomo possiede. Le percezioni dell'uomo sono di tipo puntuale e non continuo. L'uomo classifica, fa schemi di funzionamento, computa, racconta, fa programmi. L'uomo gestisce episodi e sequenze, tutte cose finite e delimitate nel tempo e nello spazio. Arriva in definitiva a comprendere gli avvenimenti che lo circondano mediante procedimenti di analisi, di spezzettamento della realtà in elementi più semplici ed omogenei, che diventano così alla portata delle sue capacità cognitive. Solamente dopo aver compiuto questo procedimento di analisi, l'uomo procede alla sintesi, a mettere insieme in un complesso logico e coordinato gli elementi analizzati per tentare di capire il fenomeno studiato nella sua complessità.
La scala di Giacobbe, che rappresenta il canale delle interazioni tra D-o e l'uomo non è percorso da fluidi continui, simili alle acque di un fiume, ma è percorso dalle manifestazioni di D-o, che sono gli angeli, sono quindi manifestazioni puntuali, separate non continue, una sequenza di manifestazioni singolari che procedono senza inizio e senza fine. Su e giù per la scala di Giacobbe è un continuo andirivieni di interlocuzioni tra D-o e l'uomo, di messaggi, di fatti, di persone, di richieste, di risposte, di visioni, di sogni.

E' straordinaria la similitudine con la teoria dei "quanti di energia" di Max Planck, secondo la quale gli atomi assorbono ed emettono radiazioni in modo discontinuo, per quanti di energia, cioè quantità di energia finite e discrete. In tal modo anche l'energia può essere concettualmente rappresentata, come la materia, sotto forma granulare: i quanti sono appunto come granuli di energia indivisibili. Così anche l'interazione tra divino e umano avverrebbe secondo sequenze discontinue. Ricordiamoci sempre che questa concezione è quella che noi umani percepiamo, mentre la verità assoluta, la totale contemporaneità e potenza della volontà divina, travolgerebbe la mente umana, la incenerirebbe, come una lampadina di basso voltaggio che fosse inserita in un cicuito di rete.
Gli Angeli, le manifestazioni di D-o, vengono a contatto dell'uomo prendendo varie forme: sogni, avvenimenti reali, persone, l'insieme di tutte quelle cose che non sono gestite dalla nostra volontà, ma avvengono. Di queste cose per lo più non ce ne accorgiamo, raramente le vediamo e ne rimaniamo stupefatti. Tutti i giorni, in ogni momento avvengono le manifestazioni di D-o e dovremmo affinare la nostra sensibilità per imparare a vedere quello che guardiamo e sentire quello che ascoltiamo.
I kabalisti hanno definito le emanazioni della volontà divina secondo "nomi", "luci", "poteri", "corone del Santo re", "stadi", "fonti", "aspetti", "facce interne di D-o". Queste emanazioni, dette Sefirot, sono attributi della volontà divina, e sono ricondotte dai Kabalisti al numero di dieci, disposte graficamente come frutti di un albero, e delle quali le sette disposte inferiormente sono accessibili alla comprensione umana, due superiori sono oggetto di intuizione e la prima più in alto è inconoscibile così come lo è l'essenza di D-o. Vale a dire che l'uomo conosce manifestazioni di grandezza, amore, potenza, armonia, costanza, splendore, fondamento, autorità; intuisce l'intelletto e la saggezza; si smarrisce davanti all'essenza di D-o.

Ricordiamo che il più grande profeta di Israele, Mosè è stato l'unico uomo che ha dialogato direttamente con D-o, ma anch'egli non l'ha visto di faccia ma di spalle.

והיה בעבר כבדי ושמתיך בנקרת הצור ושכתי כפי עליך עד עברי והסרתי את כפי וראית את אחרי ופני לא יראו
"Poi quando passerà la mia gloria, ti nasconderò nella cavità della roccia, ti ricoprirò con la Mia mano, finché Io sia passato. Poi ritirerò la mia mano e tu Mi vedrai per di dietro, ma la Mia faccia è invisibile" (Esodo 33, 22 e 23)

lunedì 5 ottobre 2009

cohèleth



"Io sono Cohèleth, fui re sopra Israele in Gerusalemme. Applicai la mia mente a indagare e a investigare con sapienza su tutto ciò che accade sotto il cielo: un'infelice occupazione che il Signore ha dato agli uomini perchè vi si affatichino. Ho osservato tutti i fatti che si compiono sotto il sole ed ecco tutto è vanità e sforzo inutile. Ciò che è storto non si può raddrizzare e quel che manca non si può contare. Meditai tra me dicendo: ecco io ho acquistato molta e vasta sapienza, più di tutti quelli che furono prima di me in Gerusalemme, e la mia mente ha visto molta sapienza e conoscenza. E applicai la mia mente a conoscere sapienza e a conoscere follia e stoltezza; seppi che anche questo è uno sforzo inutile. Poiché dove è molta sapienza è molto affanno e colui che accumula senno accumula dolore." (Ecclesiaste 1, 12-18)
הבל הבלים אמר קהלת הבל הבלים הכל הבל
"Vanità delle vanità, dice Cohèleth, vanità delle vanità, tutto è vanità."
(Ecclesiaste 1, 2)

Con queste parole si apre il libro dell'Ecclesiaste e si presenta a noi il suo autore: Cohèleth, figlio di Davide, Re di Gerusalemme.
La tradizione lo identifica con Re Salomone (970-928 a.C.), del quale si legge: "D-o concesse a Salomone sapienza e grandissima intelligenza, e larghezza d'intelletto in abbondanza come la rena che si trova sulla riva del mare ... E la sua fama si sparse fra tutti i popoli d'intorno. Egli pronunciò tremila sentenze, ed i suoi carmi furono millecinquecento. Egli trattò temi relativi alle piante, dal cedro del Libano fino all'issopo che spunta tra i muri, trattò temi relativi agli animali, ai volatili, ai rettili e ai pesci. E si recavano per ascoltare la sua sapienza da tutti i popoli, da tutti i re della terra che avevano udito parlare della sua sapienza." (I Re 5, 9-14).
Oggi si ritiene che la stesura dell'Ecclesiaste, quale noi conosciamo, debba collocarsi intorno al III-II secolo a.C., epoca nella quale era in uso la lingua tardo-ebraica di redazione del testo. Siamo quindi nell'epoca durante la quale gli ebrei furono dominati dai regni greci dei Tolomei e dei Seleucidi, formatisi alla morte di Alessandro Magno. Il contatto con la cultura greca, nettamente più avanzata in tutti i campi delle arti e delle scienze, in quello militare, amministrativo e nei commerci, costituì una pressione poderosa verso l'ellenizzazione del popolo ebraico.
L'Ecclesiaste lamenta la smania di ricchezza sotto il dominio greco. A che cosa è mai servito, si chiede, accumulare immense fortune? Cohèleth si mostra combattuto fra le nuove idee straniere e la sua religiosità congenita, fra lo spirito critico ed il tradizionalismo.
L'impatto dell'ellenizzazione sugli ebrei colti fu per molti aspetti simile a quello dell'illuminismo sul ghetto durante il XVIII secolo. Destò lo stato-tempio dal suo sonno incantato: era una forza destabilizzante dal punto di vista spirituale e, soprattutto, era una forza secolarizzante, materialistica.
Il processo di ellenizzazione fallì quando le iniziative dei riformisti per accelerare il processo di assimilazione provocarono una violenta reazione nazionalistica, concretizzatasi nella rivolta asmonea (167 a.C.), la riacquisizione dell'indipendenza ed il ripristino dei valori religiosi tradizionali.

כאשר אינך יודע מה דרך הרוח כעצמים בבטן המלאה ככה לא תדע את מעשה האלהים אשר יעשה את הכל
"Come non conosci la via del vento, né come si formino le ossa nel ventre della donna incinta, così non conosci l'opera del Signore che fa ogni cosa."
(Ecclesiaste 11, 5)


"Lo stolto è collocato in posti molto elevati e i ricchi siedono in basso. Ho visto servi andare a cavallo e principi che camminavano a piedi come servi. Chi scava una fossa vi cadrà dentro, chi abbatte una siepe lo morderà un serpente. Chi taglia pietre si ferirà con esse, chi spacca legna correrà pericolo. Se il ferro perde il taglio e uno non lo affila, dovrà aumentare gli sforzi, perciò porta vantaggio la sapienza." (Ecclesiaste 10, 6-10)