domenica 25 novembre 2012

Vayshlach

(Gen.32,4-36,43)

Giacobbe giunto in vista del paese di Seir, dove sapeva risiedere suo fratello, gli inviò dei messaggeri che preannunciassero il suo arrivo e dichiarassero le sue intenzioni amichevoli. I messaggeri tornarono e gli dissero che suo fratello Esaù gli veniva incontro, portando con sé quattrocento uomini. La notizia preoccupò molto Giacobbe, che sospettava che il fratello avesse cattive intenzioni. Cominciò quindi a preparare i doni che gli avrebbe offerto: duecento capre e venti capri; duecento pecore e venti montoni; trenta cammelle allattanti con i loro figli; quaranta vacche e dieci tori; venti asine e dieci puledri.
Giacobbe evidentemente era consapevole del fatto che Esaù potesse avere nei suoi confronti seri motivi di risentimento in relazione al diritto di primogenitura che lui gli aveva sottratto e perciò si preparava a presentarsi a lui in atteggiamento che si dimostrasse sicuramente rispettoso ed amichevole. Peraltro, in previsione che l’incontro potesse avvenire non nel migliore dei modi, durante la notte egli prese le mogli, le ancelle ed i suoi figli e tutto ciò che gli apparteneva e passò a guado lo Jabboc.

Quando rimase solo, Giacobbe si imbattè in un uomo che lottò con lui fino allo spuntare dell'alba. Vedendo che non riusciva a batterlo l'uomo lo toccò all'estremità del femore, che si slogò. Ma Giacobbe continuava ancora a trattenerlo e l'uomo disse:

"Lasciami andare che è spuntata l'alba."

E Giacobbe:

"Non ti lascerò finché non mi avrai benedetto."

E l'altro:

"Come ti chiami?"

Rispose:

"Giacobbe."

"Non Giacobbe sarai chiamato ma Israele, poiché hai lottato con un essere divino e con uomini e ce l'hai potuta."

Giacobbe gli disse:

"Dimmi il tuo nome."

E l'altro:

"A che scopo me lo domandi?"

E là lo benedisse. E Giacobbe chiamò quel luogo Peniel poiché disse:

"Ho veduto faccia a faccia un essere divino ed ho avuto salva la vita."

Dunque Giacobbe vive l’attesa dell’incontro con il fratello con un misto di paura e di preoccupazione, in uno stato di tensione per quella che lui considera una prova impegnativa, un appuntamento, un incontro inevitabile che avviene dopo venti anni, con l’incognita di non sapere quale sarà l’atteggiamento del fratello nei suoi confronti.

Ricordiamoci che anche fisicamente Esaù era villoso e molto più forte di Giacobbe e che anche i suoi modi erano bruschi e che quindi anche nel confronto personale c’erano motivi di seria preoccupazione.

A questo punto per Giacobbe si rivela provvidenziale l’incontro e la lotta notturna con lo sconosciuto. Lo sconosciuto ha partita vinta quando tocca l’estremità del femore di Giacobbe e ne provoca la slogatura. Ma Giacobbe resiste ancora e ne riceve la benedizione e con essa la consapevolezza che il Signore è con lui e sarà con lui anche nell’incontro con il fratello. Egli si è misurato con D-o, chi può ancora temere? E D-o lo ha benedetto e quindi chi mai potrà batterlo?

Alzò gli occhi Giacobbe e vide Esaù che si avvicinava con quattrocento uomini. Mise in ordine la sua famiglia, mettendo i figli vicini alle loro madri ed egli si mise davanti a tutti e si prostrò a terra sette volte finché giunse suo fratello.

Quando Esaù giunse tutti i timori nutriti da Giacobbe si dissolsero. Esaù corse incontro al fratello e lo abbracciò, lo baciò e piansero insieme. Chiese Esaù notizie della famiglia di Giacobbe ed a turno si prostrarono a lui le ancelle e i loro figli, Lea ed i suoi figli, Rachele e Giuseppe.

Giacobbe disse al fratello dei doni che aveva preparato per lui ma il fratello si schernì affermando che lui era già ricco di suo e che lui tenesse pure i doni per sé. Giacobbe però insistette tanto finché Esaù accettò. Si lasciarono quindi e Giacobbe proseguì il suo viaggio e giunse alla città di Shechem, in terra di Canaan dove si accampò. Acquistò la parte del campo dove era la sua tenda e là eresse un altare, presso il quale proclamò:

D-o è il D-o d’Israele.

Dina, la figlia che Giacobbe ebbe da Lea, uscì per vedere le donne del paese. Ma Shechem, figlio diChamor, principe ittita della città, la vide e la rapì. Si giacque Shechem con lei violentandola.
Ma Shechem si affezionò a Dina tanto che disse a suo padre di prendergli in moglie quella fanciulla. Chamor si recò da Giacobbe e trovò lui ed i suoi figli addolorati ed adirati per il disonore subito da Dina e per l’offesa ricevuta dalla famiglia.

Chamor parlò chiedendo che Dina fosse concessa in moglie a suo figlio Shechem che si era invaghito di lei. Aprì le porte del suo paese Chamor, auspicando che tra la sua gente e quella di Giacobbe potesse avvenire un imparentarsi reciproco a mezzo delle loro figlie. Chamor peraltro si obbligò a provvedere al premio nunziale la cui entità lasciava che fosse determinata da Giacobbe e dai suoi figli.

I figli di Giacobbe risposero, avendo già architettato un inganno in conseguenza del disonore che Shechem aveva arrecato alla loro sorella Dina. Essi dissero infatti che l’offerta di Chamor avrebbe potuto essere accettata solamente se tutti i maschi della gente di Chamor fossero stati circoncisi, come loro erano circoncisi.

Chamor tornò in città dalla sua gente e riferì nel merito della richiesta ricevuta di circoncidere tutti i maschi e disse che riteneva questa richiesta accettabile e che sarebbe stato comunque vantaggioso per loro legarsi a questa nuova gente e che da questa unione sarebbe derivato un rafforzamento della loro città.

Tutti gli abitanti della città diedero ascolto a Chamor e tutti i maschi furono circoncisi.
Al terzo giorno, quando tutti i maschi della città erano sofferenti, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero le loro spade e, all’insaputa di Giacobbe, si precipitarono nella città, uccidendone tutti i maschi, compresi Chamor e suo figlio Shechem.

Quando Giacobbe seppe ciò che avevano fatto, li riprese aspramente perché, egli disse, la sua gente veniva a trovarsi per causa loro così in cattiva luce che avrebbe potuto formarsi contro di loro una coalizione di due o più popoli, sufficiente per annientarli. Ma i suoi figli gli risposero:

Avrebbe dovuto la nostra sorella essere considerata come una meretrice?

Il Signore disse a Giacobbe:

Alzati, va’ a Beth-El e là fa’ un altare al Dio che ti apparve quando fuggivi da tuo fratello Esaù.

Giacobbe disse alla sua gente di consegnare tutti gli idoli che erano tra loro e di purificarsi, dopo di ché sarebbero andati a Beth-El dove lui avrebbe eretto un altare al Dio che l’aveva già esaudito nel periodo di maggiore angustia della sua vita.

Così fecero e quando giunsero a Beth-El Giacobbe eresse un altare e chiamò quel luogo El-Beth-El, perché là gli era apparso Dio quando era fuggito da suo fratello. In quel luogo morì Debora, nutrice di Rebecca e fu seppellita giù a Beth-El sotto una quercia che prese il nome di quercia del pianto.

Ancora una volta Dio apparve a Giacobbe di ritorno da Paddam-Aram, lo benedisse e gli disse:

Tu ti chiami Giacobbe; non continuerai a chiamarti ancora Giacobbe, il tuo nome sarà Israele.

E gli impose nome Israele. Dio stesso soggiunse:

Io sono Iddio Onnipotente, prolifica e diventa numeroso, una nazione; un insieme di nazioni deriverà da te; dai tuoi lombi usciranno dei re. A te assegno la terra che già assegnai ad Abramo ed Isacco, la darò alla tua discendenza dopo di te.

Giacobbe eresse un monumento di pietra nel luogo ove Dio gli aveva parlato e vi fece libazione e vi spruzzò olio. Pose nome Beth-El a quel luogo.

Partirono in direzione di Efrath, ma prima di giungervi Rachele partorì ma ebbe un parto molto difficile. Nacque Beniamino ma Rachele non ce la fece e morì. La tomba che Giacobbe eresse per lei è ancor oggi visibile sulla via di Efrath che è Beth-Lèchem.

Israele partì e piantò le tende oltre Migdal Eder e mentre era qui Ruben giacque con Bilhà, concubina di suo padre ed Israele venne a saperlo.

Dunque i figli di Giacobbe erano dodici e Giacobbe andò da suo padre Isacco in Mamrè Kirjath Arbà, poi detta Chevron. Isacco aveva centottant’anni quando morì e si riunì alla sua gente. I figli Esaù e Giacobbe lo seppellirono.

Il capitolo 36, finale della parashà tratta della discendenza di Esaù o Edom. Esaù prese le sue mogli tra le cananee ed ebbe anch’egli molti figli ed anche il suo bestiame e gli altri beni crebbero fino al punto che la terra di Canaan non poteva più ospitare lui e suo fratello Giacobbe insieme. Esaù si trasferì allora in un altro paese e andò sul monte Se’ir.
Anche la discendenza di Esaù fu molto numerosa ed al termine della narrazione è l’enumerazione dei re che regnarono in Edom fino ai tempi mosaici.

Si ritiene che uno dei passi più appassionanti della parashà sia quello della lotta di Giacobbe con lo sconosciuto che si connoterà poi come la lotta di Israele con Dio. E’ questo l’episodio che dice alla nostra sensibilità: fermati ed ascolta ciò che intendo dirti. Il Signore, ammesso che l’essere umano lo incontri, è una dimensione verso la quale non ci si deve mantenere passivi, attendendo che lui faccia tutto e ci impregni di sé. E’ richiesta la nostra partecipazione attiva, critica, anche la nostra contestazione, in definitiva la lotta con Lui, affinché così Egli possa intimamente penetrare in noi, fin nei più riposti anfratti della nostra anima e renderci consapevoli della nostra appartenenza a Lui, dell’essere noi figli ed Egli Padre.




Haftarà di Vayshlach


Secondo il rito tedesco
(estratto da Os.12,15-14,10)

Il profeta parla del regno d’Israele, comunemente detto Efraim, da nome della tribù che maggiormente esercitava autorità sulle altre.

… si sono fatti col loro denaro idoli di metallo fuso a loro capriccio, tutti opera di artefici, e a proposito di essi dicono: ‘Chi sacrifica un uomo onora i vitelli.’. Perciò essi saranno come le nubi dell’alba; come la rugiada che se ne va sul far del mattino; come pula ventilata nell’aia e come fumo che esce dal comignolo.

Guarirò la loro ribellione, li amerò generosamente, perché la mia ira si è ritirata da lui. Sarò come rugiada per Israele, egli fiorirà come il giglio e metterà radici come il Libano.



Secondo il rito italiano e spagnolo
(estratto da Ob.1-21)

Si parla degli Idumei, discendenti di Esaù.

In quel giorno, detto del Signore, distruggerò i saggi da Edom e l’intelligenza dal monte di Esaù. E i tuoi prodi, o Teman, avranno paura, così che tutti saranno distrutti dal monte di Esaù in conseguenza della strage. Tu sarai coperto di onta per il male che hai fatto a tuo fratello Giacobbe, e sarai distrutto per sempre, perché nel giorno in cui stranieri facevano prigioniero il tuo esercito, tu te ne sei stato in disparte, e quando stranieri giunsero alle sue porte e gettarono la sorte su Gerusalemme, anche tu eri uno di loro.

Non avresti dovuto stare nel crocicchio per distruggere i suoi fuggiaschi, e non avresti dovuto consegnare gli avanzi di lui nel giorno della sventura. Ma è vicino il giorno del Signore per tutte le genti. Come tu hai fatto, così ti sarà fatto, la tua retribuzione cadrà sul tuo capo.

Liberatori saliranno sul monte di Sion per fare giustizia sui figli di Esaù, e al Signore apparterrà il regno.

domenica 18 novembre 2012

Vayetzè

(Gen.28,10-32,3)

Giacobbe era in viaggio verso Charan ed al calare della sera si fermò per pernottare. Prese delle pietre, le pose sotto il capo e si coricò. In sogno gli apparve una scala, poggiata a terra e la cui cima arrivava al cielo.
Gli Angeli del Signore salivano e scendevano lungo la scala ed il Signore dall'alto diceva:

"Io sono il Signore Dio di Abramo tuo padre, e Dio di Isacco; la terra sulla quale stai coricato la darò a te e alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere della terra e ti estenderai a occidente, a oriente, a settentrione e a mezzogiorno e in te e nella tua discendenza si benediranno tutte le nazioni della terra. Io sono con te ti proteggerò ovunque andrai e ti farò tornare in questo paese; non ti abbandonerò ma adempirò a quel che ti ho detto."

Ricordiamo che Giacobbe stava andando a cercare moglie nella terra di Labano, fratello di sua madre, ma era solo ed a mani vuote, non aveva doni né per Labano, né per la futura moglie. Aveva ben presente Giacobbe che la sua partenza precipitosa era stata essenzialmente una fuga per sfuggire all'ira del fratello Esaù.

Avrebbe potuto temere Giacobbe che il Signore lo avesse abbandonato come potevano far supporre i fatti accadutigli e cioè la necessità di fuggire e l’aver dovuto lasciare i genitori, la sua casa e la sua terra nella disponibilità di suo fratello Esaù. Il sogno è quindi provvidenziale per Giacobbe: il Signore dissipa ogni timore e lo rassicura dicendogli che a lui ed alla sua discendenza Egli darà la terra dove si trova e che si estenderà in tutte le direzioni e che allora potranno essere benedette tutte le nazioni della terra.

Molto si è discusso da parte dei saggi e dei rabbini sul significato della scala e degli Angeli che su di essa salgono e scendono. Personalmente condivido l’interpretazione che la scala rappresenti simbolicamente il percorso ideale delle comunicazioni che intercorrono tra l’essere umano ed il Signore e che gli Angeli siano i messaggeri che portano al Signore le comunicazioni che l’essere umano esprime e riportano a lui le comunicazioni del Signore.

Perché gli Angeli? Perché non un altro tipo di immagine per esprimere questo flusso di comunicazioni, ad esempio avrebbe potuto essere un corso d’acqua che sale ed un altro che scende, quasi un anello con un flusso continuo che avrebbe reso il concetto di una comunicazione che fluisce senza interruzioni. Per rispondere a questa domanda occorre tener conto che le comunicazioni umane sono sempre frammentarie, noi discutiamo sempre trattando un determinato argomento o un numero limitato di argomenti perché è la limitatezza della nostra mente umana che non ci consente la trattazione di argomenti o concetti indefiniti o illimitati, che farebbero parte di un tutto continuo, dove tutti gli argomenti si fondono e si impastano in un modo indistinto. La comunicazione indefinita ed illimitata si sostanzia nella contemplazione mistica, che però non è certo il più frequente sistema comunicativo adoperato dall’essere umano nel suo dialogo con Dio. Ed allora l’immagine della sequenza di angeli che sale e che scende rende con efficacia il concetto di un dialogo che per essere comunemente accessibile alla mente umana non può che essere frammentario e costituito da frammenti limitati e perciò comprensibili.

Giacobbe risvegliatosi dal sonno disse:

In questo luogo c’è proprio il Signore, ed io non lo sapevo.

ed aggiunse:

Quanto è venerando questo luogo! Indubbiamente è la casa di Dio, è la porta del cielo.

Giacobbe prese la pietra sulla quale aveva messo la testa e la pose come monumento, versò sopra dell’olio e chiamò quel luogo Beth-El , la casa di Dio.

Giunse quindi Giacobbe in prossimità di Charan e si fermò a un pozzo dove erano alcuni pastori che abbeveravano le greggi. Gli indicarono Rachele, figlia di Labano, che stava arrivando al pozzo con il suo gregge. Giacobbe scoperchiò per lei il pozzo e fece abbeverare il bestiame di Labano. Baciò Rachele e le disse che le era parente, figlio di Rebecca. Rachele corse subito via e giunta a casa e raccontò tutto al padre Labano.

Giacobbe stette un mese ospite in casa di Labano, che ebbe così modo di apprezzarne le qualità lavorative. Trascorso il mese Labano parlò a Giacobbe e gli disse che riteneva giusto ricompensarlo per i servizi che egli svolgeva e gli chiese quale compenso egli volesse.

Giacobbe, che amava Rachele, disse prontamente a Labano:

Ti servirò sette anni per Rachele, la tua figlia minore.

E così avvenne. Giacobbe servì Labano per sette anni e poi gli chiese che gli desse in moglie Rachele. Labano organizzò allora un pranzo, cui partecipò tutta la gente del luogo. A sera però Labano prese Lea, la sua figlia maggiore, e la condusse alla tenda di Giacobbe il quale si unì a lei. Al mattino Giacobbe si accorse dell’inganno e indignato si recò da Labano per chiedere conto di quanto gli era stato fatto. Ma Labano gli replicò:

Non si fa così nel nostro paese, di dar marito alla minore prima che alla maggiore. Finisci la settimana di questa, e ti daremo anche l’altra, per il servizio che mi presterai per altri sette anni.

E così fu che dopo sette giorni di festeggiamenti per il matrimonio con Lea, Labano dette in moglie a Giacobbe anche Rachele. Lea aveva una serva di nome Zilpà e Rachele una schiava di nome Bilhà. Dall’unione con Lea nacquero quattro figli: Ruben, Simeone, Levi e Giuda. Rachele, vedendo che non riusciva a rimanere incinta, chiese a Giacobbe di unirsi alla sua ancella Bilhà, sicchè per suo tramite ella potesse avere figli. E da Bilhà nacquero: Dan e Naftalì. Lea, vedendo che i suoi parti si erano interrotti, prese anch’essa la sua ancella Zilpà e la dette in moglie a Giacobbe. Da Zilpà nacquero: Gad ed Asher. E ancora nuovamente rimase incinta Lea e generò: Issachar, Zevulon e una figlia Dina. Infine anche Rachele partorì e generò Giuseppe.

Da Giacobbe dunque nascono i capostipiti delle tribù d’Israele e questi capostipiti nascono non nella terra di Canaan, ma al di fuori di essa, stando a significare che se è vero che la terra di Canaan è la terra promessa verso la quale tutto il popolo d’Israele anela a tornare, è anche vero che le azioni fondamentali e fondanti possono realizzarsi anche al di fuori di essa. Ed infatti il popolo d’Israele vivrà nella sua storia più volte la sua diaspora. Lasciò Ur dei Caldei per recarsi nella terra di Canaan; andò quindi in Egitto per sfuggire alla carestia; fu deportato a Babilonia quando avvenne la distruzione del primo tempio; venne disperso nelle provincie dell’impero quando i romani distrussero il secondo tempio e rasero al suolo Gerusalemme; fu espulso dalla Spagna nell’anno della scoperta dell’America e venne in Italia, nei Paesi Bassi, nel nord Africa, nell’impero ottomano e oltre; fu perseguitato e sterminato nei paesi dell’Europa centrale e si trasferì negli Stati Uniti, nel sud America e ancora nello Stato d’Israele, prodigiosamente ricostituitosi dopo due millenni per essere la casa del popolo ebraico.

Trascorsi anche gli ulteriori sette anni pattuiti, Giacobbe si recò da Labano e gli chiese di poter andar via e tornare alla sua terra. Labano propose a Giacobbe di rimanere ancora a lavorare per lui e gli chiese quale compenso volesse per questo. E Giacobbe rispose:

Non mi dar niente; se mi concederai questo, pascolerò ancora il tuo gregge e lo curerò. Passerò oggi in rassegna tutto il tuo gregge, separando da esso i singoli capi punteggiati e macchiati e quelli bruni fra le pecore, nonché quelli macchiati e punteggiati fra le capre. Quelli che nasceranno tali da ora in poi, costituiranno la mia mercede.

Labano gli disse di essere d’accordo e che così avrebbero fatto. Ma subito dopo, il giorno stesso, fece separare dai suoi greggi tutti gli animali che avevano quelle particolarità che Giacobbe gli aveva detto e li consegnò ai suoi figli. Giacobbe pascolava intanto la rimanente parte delle greggi di Labano.

Giacobbe preparò dei rami d’albero con delle scorticature che ne mettevano a nudo il bianco e quindi collocò questi bastoni lungo i sentieri che conducevano agli abbeveratoi. Le pecore, che erano in calore e che andando ad abbeverarsi vedevano i rami striati, partorivano animali striati, punteggiati o macchiati. Poneva Giacobbe questi bastoni a primavera quando gli animali erano robusti, mentre non li poneva in autunno quando le pecore erano deboli e in questo modo i nuovi nati striati erano quelli robusti e spettavano a Giacobbe, mentre quelli senza macchie o striature ma deboli toccavano a Labano.

Con il passare del tempo Giacobbe continuava ad arricchirsi e Labano ed i suoi figli iniziarono a manifestargli la loro ostilità. Il Signore allora disse a Giacobbe:

Torna alla terra dei tuoi padri e alla tua patria e Io sarò con te.

Allora Giacobbe mise i figli e le mogli sui cammelli, portò via tutto il suo bestiame, tutti i beni che aveva acquistato, il bestiame che aveva messo insieme in Paddam-Aram per tornare da suo padre Isacco in terra di Canaan. Rachele al momento di partire rubò gli idoli di suo padre. Giacobbe non informò l’arameo Labano della sua partenza, ma fuggì, passò l’Eufrate e si diresse verso Ghil’ad, ad est del Giordano.

Labano lo inseguì per sette giorni e lo raggiunse al monte Ghil’ad. Il Signore apparve quella notte in sogno a Labano e gli disse:

Fai attenzione a non parlare a Giacobbe né in bene né in male.

Labano allora parlò a Giacobbe chiedendogli perché mai l’avesse ingannato e fosse fuggito portando via le sue figliole e rubando i suoi idoli. Giacobbe rispose dicendo che era fuggito per paura che lui, Labano, non gli facesse portar via le sue due figlie. Per quanto riguardava il furto degli idoli Giacobbe, che era effettivamente all’oscuro della vicenda, disse che se fosse stato trovato il ladro, questi sarebbe stato messo a morte. Labano entrò nella tenda di Giacobbe e in quelle della figlia Lea e delle due ancelle Bilhà e Zilpà ma non trovò i suoi idoli. Entrò infine nella tenda di Rachele, che aveva prontamente nascosti gli idoli nella sella del cammello sulla quale era seduta, ed anche qui non trovò niente.

Giacobbe si lamentò con Labano di tutto questo suo frugare, che tradiva una mancanza di fiducia che egli riteneva di non meritare dopo che l’aveva servito fedelmente per vent’anni. Stipularono allora un patto Labano e Giacobbe stabilendo una linea di confine che reciprocamente non avrebbero dovuto oltrepassare con intenzioni aggressive.

Si lasciarono e Giacobbe riprese il suo viaggio ed incontrò dei messaggeri di Dio e quando li vide disse:

Questo è un campo di Dio.

E chiamò quel luogo Machanàim , che significa “campo duplice” cioè di Angeli e di uomini.

La figura di Giacobbe si presta a critiche per diversi motivi riguardanti i suoi comportamenti. Già l’immagine della sua nascita la dice lunga: egli si serve del fratello afferrandogli saldamente il tallone come fosse una maniglia cui appigliarsi per facilitare la sua venuta alla luce. Truffa quindi il fratello Esaù sottraendogli i diritti di primogenitura per un piatto di lenticchie. Truffa il padre spacciandosi per suo fratello e ne carpisce la benedizione. Fugge e si trattiene dallo zio Labano per circa vent’anni, si accoppia qui con due mogli e due loro ancelle generando figli con ognuna di esse. Truffa infine Labano con l’allevamento del bestiame e si arricchisce alle sue spalle.

Eppure il Signore lo predilige ed a lui ed alla sua discendenza promette la terra di Canaan. Ma come può il Signore dare la Sua preferenza ad una persona che ricorre all’inganno abitualmente? Come si conciliano i comportamenti di Giacobbe con i dettami morali che saranno poi codificati nei precetti impartiti dal Signore al popolo d’Israele?

La risposta a queste domande va ricercata non sulla base di un principio generale, quello di non mentire, che è inoppugnabile, bensì sulla particolarità delle figure di Giacobbe e dei personaggi con lui coinvolti nello svolgimento dei fatti nonché sulla valutazione dell’esistenza di possibili alternative.

Si intuisce che il rapporto con Esaù, dotato di grande forza e di temperamento selvatico, non può essere gestito sullo stesso piano da Giacobbe, che ha invece corporatura gracile ed è di temperamento mite. In fin dei conti in questa fase non c’è inganno da parte di Giacobbe perché lui dice chiaramente al fratello i termini del baratto: la primogenitura per un piatto di lenticchie. Tutt’al più potrebbe imputarsi a Giacobbe la consapevolezza di una non corretta valutazione da parte del fratello dell’entità di ciò a cui rinunciava. Ma questa è una carenza di Esaù più che una colpa di Giacobbe.

Quanto all’inganno nei confronti del padre, sicuramente mai questi gli avrebbe impartito la benedizione del primogenito se l’avesse riconosciuto. Il racconto però avrebbe potuto prevedere un’altra modalità di svolgimento dei fatti, che è quella alla quale spesso la Torà ricorre, e cioè che il Signore avesse parlato ad Isacco, chiedendogli di benedire Giacobbe. Ma se a questa alternativa non si è fatto ricorso significa che l’inganno attuato ai danni del padre non inficia la predilezione del Signore verso Giacobbe.

Anche l’inganno ai danni di Labano non ha influenza sulla fiducia del Signore verso Giacobbe. Il Signore ammonisce anzi Labano dal guardarsi dal compiere azioni di rappresaglia nei confronti di Giacobbe.

Insomma al Signore e al narratore biblico Giacobbe piace. Perché?
E’ probabile che Giacobbe rappresenti la figura ideale per l’uomo medio evoluto, che ha capito le potenzialità della ragione e della tattica nei confronti della forza bruta; è l’uomo che avuto quattro donne ed un stuolo di figli, è l’uomo infine che arricchisce grazie al suo ingegno. E tutto questo in terra straniera!




Hafftarà di Vayetzè
(estratto da Os.11,7-12,14)

Il profeta Osea visse nell’ VIII sec a.e.v. ed assistette alla disfatta ed alla deportazione del Regno d’Israele.
Questo brano si riferisce appunto al momento storico in cui la deportazione del regno del nord, Israele appunto, era già avvenuta, mentre sopravviveva ancora il regno del sud, ovvero il regno di Giuda.

Efràim Mi ha circondato con la sua menzogna, la casa d’Israele con il suo inganno; Giuda cammina ancora con D-o ed è fedele al Santo. Efràim si pasce di vento e va dietro al vento orientale; ogni giorno si rende molto colpevole di menzogna e di rapina, stabilisce un patto con l’Assiria e reca olio all’Egitto, ma anche con Giuda il Signore ha di che contendere, e dovrà punire Giacobbe secondo la sua condotta, dargli quel che si merita secondo le sue azioni.

sabato 10 novembre 2012

Toledot

(Gen.25,19-28,9)

Isacco aveva quarant'anni quando sposò Rebecca. Con il passare del tempo divenne sempre più evidente che Rebecca era sterile ed allora Isacco pregò a lungo il Signore affinché concedesse loro un figlio. Il Signore infine l'ascoltò e Rebecca rimase incinta. La gravidanza si rivelò travagliata e Rebecca era preoccupata per i forti urti che avvertiva tra i due feti che erano nel suo ventre. Ella andò a consultare il Signore, che le disse:

Nel tuo ventre ci sono due nazioni, due popoli si dirameranno dalle tue viscere, una nazione sarà più forte dell’altra, ma il più grande servirà il più piccolo.

Nacquero infine due gemelli. Il primo era tutto rosso e peloso e lo chiamarono Esaù, che vuol dire appunto “peloso”. Uscì quindi il secondo, che con la mano teneva il calcagno del fratello ed a lui fu messo il nome di Giacobbe, che dalla radice ‘akev significa calcagno. Quando nacquero Isacco aveva sessant’anni.

I ragazzi crebbero ed Esaù, di carattere più sanguigno e di fisico più forte, divenne un esperto cacciatore, mentre Giacobbe, che aveva un temperamento più tranquillo, si dedicava ad occupazioni sedentarie.
Esaù era il preferito di suo padre Isacco, Rebecca invece prediligeva Giacobbe.

Ma Giacobbe, in confronto al fratello, era, è vero, di corporatura gracile e di carattere mite, però possedeva un requisito che sarebbe risultato decisivo per il futuro dei due fratelli: Giacobbe aveva l’astuzia necessaria a fronteggiare l’irruenza del fratello e con questa astuzia egli avrebbe prevalso.

Infatti un giorno che Giacobbe si era preparato una minestra di lenticchie, Esaù tornò stanco dalla campagna e disse al fratello:

Fammi divorare un po’ di quella roba rossa, perché io sono stanco.

E fu allora che Giacobbe prontamente rispose:

Vendimi la tua primogenitura.

Esaù acconsentì e dichiarò giurando che, in cambio di un piatto di lenticchie, cedeva la sua primogenitura a Giacobbe.

Si verificò poi nel paese una grave carestia ed il Signore disse ad Isacco di non recarsi in terra d’Egitto ma di fermarsi in Gherar dove era re Avimèlech, giacché a lui ed alla sua discendenza Egli avrebbe dato quella terra:

… Farò numerosa la tua discendenza come le stelle del cielo, darò alla tua stirpe tutte queste terre, e nella tua stirpe si benediranno tutte le nazioni della terra, come premio che Abramo mi obbedì, osservò i miei ordini, i miei comandamenti, i miei statuti e le mie leggi.

Isacco dunque rimase a Gherar ed anche lui, come aveva fatto in precedenza suo padre Abramo con la maglie Sara, fece passare la moglie Rebecca per sua sorella, perché nch’egli aveva paura che altrimenti gli abitanti del posto potessero ucciderlo per impossessarsi di Rebecca, la quale, nonostante l’età matura era ancora una donna attraente.

Il fatto venne però scoperto perché la coppia fu vista in atteggiamento di intima confidenza ed Avimèlech allora espresse ad Isacco le sue lagnanze per questo inganno, che fortunatamente non aveva avuto conseguenze in quanto al momento nessuno ancora aveva avuto rapporti con Rebecca. Nonostante questo Avimèlech proclamò che chiunque avesse toccato Isacco o sua moglie Rebecca sarebbe stato messo a morte.

In quella terra Isacco seminò e raccolse in abbondanza e divenne sempre più ricco e possedeva bestiame minuto e grosso ed aveva molta servitù. Di questa sua ricchezza i Filistei ingelosirono e gli chiusero i pozzi d’acqua già scavati al tempo di Abramo. Infine Avimèlech disse ad Isacco di lasciare definitivamente la città:

Va’ via da noi, poiché sei diventato molto più potente di noi.

Isacco partì con la sua gente e si stabilì nella pianura di Gherar, dove vennero scavati nuovi pozzi e si trovò l’acqua. Avvennero però contestazioni tra i pastori di Isacco e quelli di Gherar, che sostenevano che l’acqua fosse loro. Scavarono i servi d’Isacco un altro pozzo ed anche per questo vi fu contestazione. Scavarono un terzo pozzo per il quale non vi furono contestazioni ed Isacco lo chiamò Rechovoth poiché disse:

Ora il Signore ci ha fatto largo e potremo prosperare nel paese.

Di là andarono a Beer-Shèvah, dove il Signore apparve in sogno ad Isacco e gli disse:

Io sono il Dio di tuo padre Abramo; non temere Io sono con te, ti benedirò e farò numerosa la tua discendenza in grazia di Abramo Mio servo.

Qui, dopo che Isacco ebbe eretto un altare ed invocato il Signore, si fermarono e scavarono un altro pozzo ancora. Mentre erano accampati arrivò da Gherar il re Avimèlech, accompagnato da due dignitari, con l’intendimento di stabilire un patto di pace. Isacco li accolse, offrì loro il pranzo e li ospitò per la notte. Il giorno dopo, di buon mattino, avvenne il loro reciproco giuramento e poi gli ospiti si accomiatarono.

Esaù a quarant’anni prese per moglie una donna ittita, arrecando così amarezza ad Isacco ed a Rebecca.

Quando Isacco fu vecchio la vista gli si indebolì al punto di non vedere più. Chiamò il figlio prediletto Esaù e gli chiese di andare a caccia con l’arco e di preparare poi per lui una vivanda gustosa, sicché egli potesse benedirlo prima di morire.

Rebecca, che aveva sentito tutte queste parole, chiamò Giacobbe ed insieme ordirono un tranello per far sì che il vecchio Isacco benedicesse, senza accorgersene, non Esaù ma Giacobbe.

Giacobbe preparò una pietanza con due capretti del gregge, indossò le vesti del fratello Esaù per averne il medesimo odore e si ricoprì le braccia ed il collo con le pelli dei capretti, affinchè il loro vello simulasse al tatto la pelle del fratello. Quindi si presentò al padre dicendo:

Sono Esaù tuo primogenito, ho fatto come mi hai detto; su, siediti deh! E mangia della mia caccia per darmi poi la benedizione.

Isacco si mostrò dubbioso che quello fosse veramente suo figlio Esaù, sia perché era tornato troppo presto dalla caccia, sia perché la voce non sembrava la sua, ma infine, sentendone l’odore e toccandolo si convinse. Mangiò Isacco e benedisse suo figlio come primogenito.

Quando Esaù tornò dalla caccia e venne a sapere dell’inganno attuato da Giacobbe e che la benedizione data da Isacco non poteva essere più ritirata e che ora Giacobbe era signore su di lui e padrone di tutti i beni, allora egli espresse il suo desiderio di vendetta:

Sono vicini i giorni del lutto di mio padre; allora ucciderò mio fratello Giacobbe.

Rebecca, venuta a conoscenza delle intenzioni di Esaù, disse a Giacobbe di fuggire via e rifugiarsi da suo fratello Labano a Charan e di restarvi finchè l’ira di Esaù non si fosse calmata. Disse poi Rebecca ad Isacco che occorreva evitare che Giacobbe prendesse in moglie un’ittita e fu così che Isacco stesso chiamò Giacobbe e gli disse di andare in Paddam-Aram, e di prendere là una moglie tra le figlie di Labano.

Esaù venne a sapere tutte queste cose, prendendo atto, tra l’altro, che le donne cananee non piacevano a suo padre. Si recò allora presso Ismaele e qui, in aggiunta a quelle che già aveva, ne prese in moglie una delle figlie.

La parashà copre un arco temporale di circa quarant’anni e ci fa’ assistere al declino fisico di Isacco che arriva a Gherar presumibilmente all’età di circa ottant’anni, considerato che ne aveva sessanta quando nacquero i suoi due figli e che essi sono adesso adulti, “maggiorenni” diremmo noi oggi. Rebecca a Gherar doveva avere circa cinquantacinque anni, evidentemente ben portati considerando i timori di Isacco sul fatto che qualcuno potesse desiderare di sottrargliela.

E’ una parashà questa in cui c’è un protagonista particolare, un protagonista che non è un umano ma che è presente per ben tre volte: l’inganno.

Il primo inganno è quello ordito da Isacco ai danni di Avimèlech e degli abitanti di Gherar.
Isacco presenta sua moglie dicendo che è sua sorella. E’ lo stesso inganno attuato da Abramo ai danni del Faraone quando disse che Sara era sua sorella e però in quel caso c’era una parvenza di verità perché Sara effettivamente, oltre che moglie, era anche sorella di Abramo. Nel caso di Isacco non ci sono scusanti, si tratta di un inganno a tutto campo.

Il secondo inganno è quello di Giacobbe nei confronti del padre Isacco, al quale viene carpita la benedizione di primogenitura. Anche questo è un inganno senza scusanti, il danneggiato è il primogenito Esaù, al quale può imputarsi solamente la grande leggerezza con cui si è disfatto del diritto di primogenitura.

Il terzo inganno è quello di Rebecca ai danni di Isacco e di Esaù, sia nella fase in cui ella istruisce Giacobbe sul come presentarsi al padre facendogli credere di essere il fratello, sia ancora più avanti quando dirà ad Isacco dell’opportunità che Giacobbe vada da Labano, non già per sottrarsi all’ira del fratello Esaù, ma per trovare moglie.

E’ da notare che questi inganni sono presentati nella parashà non come attuazione di istruzioni date dal Signore, ma come iniziative umane, il primo per iniziativa di Isacco, gli altri per iniziativa di Giacobbe e Rebecca. Il Signore infatti non esercita l’inganno, ma ne prevede l’esistenza sicché l’essere umano, nel suo agire, possa esercitare la sua facoltà di libero arbitrio, scegliendo ed assumendosi la responsabilità e le conseguenze di un’azione condotta con inganno rispetto ad una condotta in modo palese.

Ma torniamo ancora alla questione degli inganni: di Giacobbe nei riguardi di Esaù; di Rachele nei confronti di Esaù e del marito Isacco; di Giacobbe infine nei riguardi del padre Isacco. Tutti questi raggiri contenuti nella narrazione biblica devono mettere in all'erta la nostra attenzione e farci riflettere, sia su quali siano le motivazione di questi fatti, sia sul messaggio che può celarsi dietro di essi.

Cominciamo dalla figura di Esaù. Egli è il primogenito ed avrebbe diritto ad ereditare il patrimonio del padre e la conduzione patriarcale della famiglia e della gente di Isacco. Ma, meritava Esaù i benefici di questa primogenitura? In realtà il suo rapporto con il fratello Giacobbe non appare certamente improntato ad amore fraterno, ma piuttosto sembra quello di un padrone verso il suo servo, di un padrone peraltro dal quale non traspaiono sentimenti di umanità. Quando Esaù torna stanco dalla caccia e vede la minestra di lenticchie preparata da Giacobbe, gli dice sprezzante: "Fammi tracannare quella roba rossa che hai preparato". L'amore di sé in Esaù è talmente grande che in lui non c'è posto per l'amore dell'altro. Egli non merita quindi i privilegi della primogenitura ed il Signore consente che questo diritto gli venga sottratto dal fratello Giacobbe.

Ma c'è anche un ulteriore messaggio nascosto nella narrazione. Nell'ambito familiare Isacco è il "dominus", cvolui che può determinare i destini della famiglia. Rebecca è la genitrice, quella che nel suo ventre porta due figli già in contesa fra loro. Esaù è il cacciatore, è il nomade, perché lui nelle tende non può soffermarsi, se non per partire di nuovo. Giacobbe è lo stanziale, quello che vive nelle tende, quello che sarà l'agricoltore, quello che necessita dell'assegnazione di una terra dove vivere, lui e la sua famiglia ed i suoi sottoposti. Giacobbe impersona quindi la figura di Israele, come destinatario della terra promessa, che sarà conquistata solo molto tempo dopo grazie all'opera di Mosè, che sarà lo strumento per la realizzazione del disegno divino.



Haftarà di Toledot
Mal.1,1-2,7 (estratto)

Malachì è un profeta, autore di un breve libro, che è l’ultimo raccolto nella serie dei “profeti posteriori”. Visse presumibilmente tra la fine del VI sec. e la prima metà del V sec. a.E.V. e la sua reale identità è incerta. Alcuni ritengono che il nome Malachì, che significa “inviato del Signore”, sia uno pseudonimo e che egli possa in realtà essere Elia. Altri lo identificano con Esrà, altri ancora con Nehemia, o Zerubavel e persino con Mardocheo.

Il libro contiene ammonimenti rivolti ai sacerdoti affinché cessino dal trascurare il rispetto delle regole per i sacrifici al Signore, specialmente riguardo alla qualità delle offerte che era scaduta a livello di sciatta mediocrità.

Il figlio onora il padre, lo schiavo onora il suo padrone; ma se Io sono padre dov’è l’onore che Mi tributate? E se Io sono il padrone, dov’è il timore che avete di Me?

“Oh! Ci fosse pure tra di voi chi chiudesse le porte (del Tempio), sicché voi non accendeste invano il fuoco del Mio altare!”

“Maledetto il frodatore, che avendo nel suo gregge un maschio, ne fa voto e poi sacrifica al Signore un animale difettoso. Perché Io sono un grande re, dice il Signore Tsevaoth, il Mio nome è tremendo fra le genti.”

“Le labbra del sacerdote debbono custodire la conoscenza di D-o, e dalla sua bocca si deve ricercare l’ammaestramento, perché egli è un inviato del Signore Tsevaoth.”

domenica 4 novembre 2012

Hayei Sarà

(Gen.23,1-25,18)

Sara morì all'età di centoventisette anni a Kiriath Arbà, ora Chevron. Abramo la pianse e ne fece le esequie. Poi, per provvedere alla sepoltura, trattò con l'ittita Efron l'acquisto della grotta di Machpelà. Il prezzo pagato per la grotta fu di quattrocento sicli d'argento di commercio.

Abramo, ormai in età molto avanzata, chiamò il suo servo fidato Eliezer e gli chiese, sotto giuramento, di provvedere a prendere una moglie per suo figlio Isacco non presso i Cananei, ma recandosi in Mesopotamia da suo fratello Nachor.

Eliezer prese dieci cammelli, li caricò delle cose più belle del suo padrone e partì. Giunse verso sera a Charan, la città di Nachor, e si fermò presso un pozzo facendo inginocchiare i cammelli. Era l'ora in cui le donne escono per andare ad attingere l'acqua ed Eliezer si augurava che il Signore gli facesse incontrare una ragazza alla quale lui avrebbe chiesto di poter bere dalla sua brocca e che rispondesse offrendo l'acqua a lui e provvedendo anche a dissetare i suoi cammelli. Quella, pensava Eliezer, sarebbe stata la ragazza destinata dal Signore ad Isacco.

Ed a questo punto ecco apparire una ragazza giovane e bellissima che scese alla fonte, riempì la brocca e risalì. La ragazza era Rebecca, nata da Bethuel figlio di Milcà, moglie di Nachor, fratello di Abramo, ma Eliezer non lo sapeva.
Eliezer le corse incontro e le disse:

"Deh! Dammi da bere un po' d'acqua dalla tua brocca!"

La ragazza rispose porgendogli la brocca:

"Bevi, signor mio."

E dopo che lui ebbe bevuto, ella aggiunse:

"Attingerò anche per i tuoi cammelli finché abbiano bevuto a sufficienza."

Quando anche i cammelli ebbero finito di bere, Eliezer, che aveva apprezzato la gentilezza della ragazza, le dette un pendente d’oro e due bracciali d'oro e le chiese di chi fosse figlia e se nella casa di suo padre ci fosse posto per pernottare. La ragazza rispose che suo padre era Bethuel e suo nonno Nachor e che nella sua casa c'era posto per ospitarli per la notte.

Eliezer si prostrò al Signore e disse:

"Sia benedetto il Signore Dio del mio padrone Abramo che non ha cessato la sua benevolenza e la sua fedeltà verso il mio padrone, ora nel mio viaggio mi ha condotto alla casa dei parenti del mio padrone."

La ragazza nel frattempo corse a casa di sua madre a raccontare tutti questi fatti. Suo fratello Labano, sentito il racconto e visti i doni che ella aveva ricevuto, andò incontro all'uomo di cui la sorella aveva parlato e gli disse:

"Vieni benedetto del Signore; perché stai fuori mentre io ho fatto posto in casa anche per i cammelli?"

L'uomo entrò in casa, scaricò i suoi cammelli e si lavò i piedi ma, prima di mangiare, si presentò e disse i motivi del suo viaggio:

"Sono un servo di Abramo. Il Signore ha molto benedetto il mio padrone sì che questi è arricchito; gli ha dato pecore, buoi, argento, oro, schiavi, schiave, cammelli e asini. Sara, moglie del mio padrone, già vecchia, gli ha partorito un figlio al quale egli ha dato tutto ciò che possiede. Il mio padrone mi ha fatto giurare: - Non prendere moglie per mio figlio fra le donne dei Cananei nel cui paese io abito. Ma recati alla mia casa paterna, presso la mia famiglia a prendere una moglie per mio figlio."

Raccontò quindi Eliezer di come, giunto a Charan e fermatosi al pozzo, avesse immaginato che qui sarebbe avvenuto l’incontro con la ragazza che il Signore aveva scelto per Isacco e di come poi questo incontro fosse effettivamente avvenuto. Rebecca aveva dato da bere a lui ed aveva dissetato i suoi cammelli. Lui, saputo di chi era figlia la ragazza, le donò un pendente d’oro per il naso e due braccialetti d’oro per le braccia, poi ringraziò il Signore per averlo indirizzato nella giusta via facendogli trovare la moglie di Isacco.

Labano e Bethuel, udite tutte queste cose, risposero:

La cosa proviene dal Signore, noi non possiamo dirtene né male né bene. Rebecca ti sta dinanzi, prendila e va’; diventi moglie del figlio del tuo padrone, come il Signore ha stabilito.

Eliezer allora trasse fuori i doni che aveva portato con sé e li diede a Rebecca, al fratello ed alla madre di lei. Mangiarono, bevvero e pernottarono. Il mattino seguente Eliezer disse che doveva partire subito per tornare dal suo padrone. Rebecca venne chiamata e le fu chiesto se volesse andar via con quell’uomo. Lei rispose di sì e partirono.

Verso sera Isacco uscì di casa per passeggiare nella campagna quando, alzando gli occhi, vide dei cammelli che si avvicinavano. Anche Rebecca alzò gli occhi, vide Isacco e saltò giù dal cammello. Chiese chi fosse quell’uomo che veniva loro incontro ed Eliezer le disse che era il suo padrone. Rebecca si coprì il volto con il velo.

Isacco la condusse nella tenda che era stata di Sara, sua madre, la prese in moglie e l’amò; così ebbe conforto dopo la morte di sua madre.

Abramo aveva preso con sé un’altra donna di nome Keturà dalla quale ebbe sei figli. Egli però lasciò tutto ciò che aveva a suo figlio Isacco, mentre riguardo ai figli delle sue concubine, dette loro dei doni, ma li mandò lontano verso levante. Aveva centosettantacinque anni Abramo quando morì e la sua anima si riunì alla sua gente quando abbandonò il suo corpo. Venne seppellito nella grotta di Machpelà, dove già era sua moglie Sara.

Il racconto si conclude con l’enumerazione della discendenza di Ismaele, il figlio che Abramo ebbe dall’egiziana Hagar.

Con questa parashà si conclude un significativo anello della lunga catena delle generazioni dei conduttori del popolo ebraico. Esce di scena la coppia Abramo e Sara e subentra loro quella formata da Isacco e Rebecca. Abramo e Sara hanno assolto al loro compito, quello comandato dal Signore ad Abramo di uscire da Ur dei Caldei per recarsi nella terra di Canaan ed assolto questo compito si conclude la loro esistenza. Altre volte vedremo questa stretta associazione tra la conclusione del compito assegnato dal Signore e la conclusione della vita di chi l’ha assolto, come se il Signore volesse ricordarci che l’unico motivo per il quale noi siamo in vita è proprio quello di svolgere il nostro compito, così come Lui ce lo ha assegnato.



Haftarà di Hayei Sarà
(estratto da 1Re 1,1-1,34)

Il re David era molto avanzato negli anni e, per quanto lo coprissero di indumenti, non riusciva più a scaldarsi. Si decise allora di cercare una ragazza vergine che si coricasse con il re per riscaldarlo. La prescelta fu Avishag di Shunem.

Mentre ciò accadeva, Adonià, figlio di Chagghit, che era una delle mogli di David, andava dicendo ‘Io sarò il re’ e fece un grande banchetto al quale invitò i suoi sostenitori. Non tutti erano però d’accordo con Adonià e tra questi il profeta Nathan, che invece sosteneva la candidatura di Salomone, figlio di Bath Sheva’, altra moglie di David alla quale il re aveva, a suo tempo, fatto questa promessa. Nathan si recò da Bath Sheva’ e la sollecitò a recarsi dal re David per difendere gli interessi di suo figlio Salomone.

Il re ricevette la donna e ne ascoltò le parole, con le quali ella lo mise al corrente di quanto stava accadendo e gli chiedeva di far conoscere quali fossero le sue decisioni riguardo alla successione al trono. Giunse da David anche il profeta Nathan, che completò il resoconto delle iniziative che Adonià stava conducendo, chiese se il re fosse a conoscenza di tali iniziative e concluse chiedendo anch’egli quali fossero le decisioni per la successione.

Il re David disse allora a Bath-Sheva’:

Come vivo è il Signore che mi ha salvato da ogni sventura, conformemente a quanto ti ho giurato per il Signore D-o di Israele che tuo figlio Salomone regnerà dopo di me e sederà sul mio trono invece di me, così voglio fare oggi.

Bath-Sheva’ si inchinò e si prostrò al re con la faccia a terra e disse:

Viva a lungo il re David mio Signore !