(Gen.25,19-28,9)
Isacco aveva quarant'anni quando sposò Rebecca. Con il passare del tempo divenne sempre più evidente che Rebecca era sterile ed allora Isacco pregò a lungo il Signore affinché concedesse loro un figlio. Il Signore infine l'ascoltò e Rebecca rimase incinta. La gravidanza si rivelò travagliata e Rebecca era preoccupata per i forti urti che avvertiva tra i due feti che erano nel suo ventre. Ella andò a consultare il Signore, che le disse:
“Nel tuo ventre ci sono due nazioni, due popoli si dirameranno dalle tue viscere, una nazione sarà più forte dell’altra, ma il più grande servirà il più piccolo.”
Nacquero infine due gemelli. Il primo era tutto rosso e peloso e lo chiamarono Esaù, che vuol dire appunto “peloso”. Uscì quindi il secondo, che con la mano teneva il calcagno del fratello ed a lui fu messo il nome di Giacobbe, che dalla radice ‘akev significa calcagno. Quando nacquero Isacco aveva sessant’anni.
I ragazzi crebbero ed Esaù, di carattere più sanguigno e di fisico più forte, divenne un esperto cacciatore, mentre Giacobbe, che aveva un temperamento più tranquillo, si dedicava ad occupazioni sedentarie.
Esaù era il preferito di suo padre Isacco, Rebecca invece prediligeva Giacobbe.
Ma Giacobbe, in confronto al fratello, era, è vero, di corporatura gracile e di carattere mite, però possedeva un requisito che sarebbe risultato decisivo per il futuro dei due fratelli: Giacobbe aveva l’astuzia necessaria a fronteggiare l’irruenza del fratello e con questa astuzia egli avrebbe prevalso.
Infatti un giorno che Giacobbe si era preparato una minestra di lenticchie, Esaù tornò stanco dalla campagna e disse al fratello:
“Fammi divorare un po’ di quella roba rossa, perché io sono stanco.”
E fu allora che Giacobbe prontamente rispose:
“Vendimi la tua primogenitura.”
Esaù acconsentì e dichiarò giurando che, in cambio di un piatto di lenticchie, cedeva la sua primogenitura a Giacobbe.
Si verificò poi nel paese una grave carestia ed il Signore disse ad Isacco di non recarsi in terra d’Egitto ma di fermarsi in Gherar dove era re Avimèlech, giacché a lui ed alla sua discendenza Egli avrebbe dato quella terra:
“… Farò numerosa la tua discendenza come le stelle del cielo, darò alla tua stirpe tutte queste terre, e nella tua stirpe si benediranno tutte le nazioni della terra, come premio che Abramo mi obbedì, osservò i miei ordini, i miei comandamenti, i miei statuti e le mie leggi.”
Isacco dunque rimase a Gherar ed anche lui, come aveva fatto in precedenza suo padre Abramo con la maglie Sara, fece passare la moglie Rebecca per sua sorella, perché nch’egli aveva paura che altrimenti gli abitanti del posto potessero ucciderlo per impossessarsi di Rebecca, la quale, nonostante l’età matura era ancora una donna attraente.
Il fatto venne però scoperto perché la coppia fu vista in atteggiamento di intima confidenza ed Avimèlech allora espresse ad Isacco le sue lagnanze per questo inganno, che fortunatamente non aveva avuto conseguenze in quanto al momento nessuno ancora aveva avuto rapporti con Rebecca. Nonostante questo Avimèlech proclamò che chiunque avesse toccato Isacco o sua moglie Rebecca sarebbe stato messo a morte.
In quella terra Isacco seminò e raccolse in abbondanza e divenne sempre più ricco e possedeva bestiame minuto e grosso ed aveva molta servitù. Di questa sua ricchezza i Filistei ingelosirono e gli chiusero i pozzi d’acqua già scavati al tempo di Abramo. Infine Avimèlech disse ad Isacco di lasciare definitivamente la città:
“Va’ via da noi, poiché sei diventato molto più potente di noi.”
Isacco partì con la sua gente e si stabilì nella pianura di Gherar, dove vennero scavati nuovi pozzi e si trovò l’acqua. Avvennero però contestazioni tra i pastori di Isacco e quelli di Gherar, che sostenevano che l’acqua fosse loro. Scavarono i servi d’Isacco un altro pozzo ed anche per questo vi fu contestazione. Scavarono un terzo pozzo per il quale non vi furono contestazioni ed Isacco lo chiamò Rechovoth poiché disse:
“Ora il Signore ci ha fatto largo e potremo prosperare nel paese.”
Di là andarono a Beer-Shèvah, dove il Signore apparve in sogno ad Isacco e gli disse:
“Io sono il Dio di tuo padre Abramo; non temere Io sono con te, ti benedirò e farò numerosa la tua discendenza in grazia di Abramo Mio servo.”
Qui, dopo che Isacco ebbe eretto un altare ed invocato il Signore, si fermarono e scavarono un altro pozzo ancora. Mentre erano accampati arrivò da Gherar il re Avimèlech, accompagnato da due dignitari, con l’intendimento di stabilire un patto di pace. Isacco li accolse, offrì loro il pranzo e li ospitò per la notte. Il giorno dopo, di buon mattino, avvenne il loro reciproco giuramento e poi gli ospiti si accomiatarono.
Esaù a quarant’anni prese per moglie una donna ittita, arrecando così amarezza ad Isacco ed a Rebecca.
Quando Isacco fu vecchio la vista gli si indebolì al punto di non vedere più. Chiamò il figlio prediletto Esaù e gli chiese di andare a caccia con l’arco e di preparare poi per lui una vivanda gustosa, sicché egli potesse benedirlo prima di morire.
Rebecca, che aveva sentito tutte queste parole, chiamò Giacobbe ed insieme ordirono un tranello per far sì che il vecchio Isacco benedicesse, senza accorgersene, non Esaù ma Giacobbe.
Giacobbe preparò una pietanza con due capretti del gregge, indossò le vesti del fratello Esaù per averne il medesimo odore e si ricoprì le braccia ed il collo con le pelli dei capretti, affinchè il loro vello simulasse al tatto la pelle del fratello. Quindi si presentò al padre dicendo:
“Sono Esaù tuo primogenito, ho fatto come mi hai detto; su, siediti deh! E mangia della mia caccia per darmi poi la benedizione.”
Isacco si mostrò dubbioso che quello fosse veramente suo figlio Esaù, sia perché era tornato troppo presto dalla caccia, sia perché la voce non sembrava la sua, ma infine, sentendone l’odore e toccandolo si convinse. Mangiò Isacco e benedisse suo figlio come primogenito.
Quando Esaù tornò dalla caccia e venne a sapere dell’inganno attuato da Giacobbe e che la benedizione data da Isacco non poteva essere più ritirata e che ora Giacobbe era signore su di lui e padrone di tutti i beni, allora egli espresse il suo desiderio di vendetta:
“Sono vicini i giorni del lutto di mio padre; allora ucciderò mio fratello Giacobbe.”
Rebecca, venuta a conoscenza delle intenzioni di Esaù, disse a Giacobbe di fuggire via e rifugiarsi da suo fratello Labano a Charan e di restarvi finchè l’ira di Esaù non si fosse calmata. Disse poi Rebecca ad Isacco che occorreva evitare che Giacobbe prendesse in moglie un’ittita e fu così che Isacco stesso chiamò Giacobbe e gli disse di andare in Paddam-Aram, e di prendere là una moglie tra le figlie di Labano.
Esaù venne a sapere tutte queste cose, prendendo atto, tra l’altro, che le donne cananee non piacevano a suo padre. Si recò allora presso Ismaele e qui, in aggiunta a quelle che già aveva, ne prese in moglie una delle figlie.
La parashà copre un arco temporale di circa quarant’anni e ci fa’ assistere al declino fisico di Isacco che arriva a Gherar presumibilmente all’età di circa ottant’anni, considerato che ne aveva sessanta quando nacquero i suoi due figli e che essi sono adesso adulti, “maggiorenni” diremmo noi oggi. Rebecca a Gherar doveva avere circa cinquantacinque anni, evidentemente ben portati considerando i timori di Isacco sul fatto che qualcuno potesse desiderare di sottrargliela.
E’ una parashà questa in cui c’è un protagonista particolare, un protagonista che non è un umano ma che è presente per ben tre volte: l’inganno.
Il primo inganno è quello ordito da Isacco ai danni di Avimèlech e degli abitanti di Gherar.
Isacco presenta sua moglie dicendo che è sua sorella. E’ lo stesso inganno attuato da Abramo ai danni del Faraone quando disse che Sara era sua sorella e però in quel caso c’era una parvenza di verità perché Sara effettivamente, oltre che moglie, era anche sorella di Abramo. Nel caso di Isacco non ci sono scusanti, si tratta di un inganno a tutto campo.
Il secondo inganno è quello di Giacobbe nei confronti del padre Isacco, al quale viene carpita la benedizione di primogenitura. Anche questo è un inganno senza scusanti, il danneggiato è il primogenito Esaù, al quale può imputarsi solamente la grande leggerezza con cui si è disfatto del diritto di primogenitura.
Il terzo inganno è quello di Rebecca ai danni di Isacco e di Esaù, sia nella fase in cui ella istruisce Giacobbe sul come presentarsi al padre facendogli credere di essere il fratello, sia ancora più avanti quando dirà ad Isacco dell’opportunità che Giacobbe vada da Labano, non già per sottrarsi all’ira del fratello Esaù, ma per trovare moglie.
E’ da notare che questi inganni sono presentati nella parashà non come attuazione di istruzioni date dal Signore, ma come iniziative umane, il primo per iniziativa di Isacco, gli altri per iniziativa di Giacobbe e Rebecca. Il Signore infatti non esercita l’inganno, ma ne prevede l’esistenza sicché l’essere umano, nel suo agire, possa esercitare la sua facoltà di libero arbitrio, scegliendo ed assumendosi la responsabilità e le conseguenze di un’azione condotta con inganno rispetto ad una condotta in modo palese.
Ma torniamo ancora alla questione degli inganni: di Giacobbe nei riguardi di Esaù; di Rachele nei confronti di Esaù e del marito Isacco; di Giacobbe infine nei riguardi del padre Isacco. Tutti questi raggiri contenuti nella narrazione biblica devono mettere in all'erta la nostra attenzione e farci riflettere, sia su quali siano le motivazione di questi fatti, sia sul messaggio che può celarsi dietro di essi.
Cominciamo dalla figura di Esaù. Egli è il primogenito ed avrebbe diritto ad ereditare il patrimonio del padre e la conduzione patriarcale della famiglia e della gente di Isacco. Ma, meritava Esaù i benefici di questa primogenitura? In realtà il suo rapporto con il fratello Giacobbe non appare certamente improntato ad amore fraterno, ma piuttosto sembra quello di un padrone verso il suo servo, di un padrone peraltro dal quale non traspaiono sentimenti di umanità. Quando Esaù torna stanco dalla caccia e vede la minestra di lenticchie preparata da Giacobbe, gli dice sprezzante: "Fammi tracannare quella roba rossa che hai preparato". L'amore di sé in Esaù è talmente grande che in lui non c'è posto per l'amore dell'altro. Egli non merita quindi i privilegi della primogenitura ed il Signore consente che questo diritto gli venga sottratto dal fratello Giacobbe.
Ma c'è anche un ulteriore messaggio nascosto nella narrazione. Nell'ambito familiare Isacco è il "dominus", cvolui che può determinare i destini della famiglia. Rebecca è la genitrice, quella che nel suo ventre porta due figli già in contesa fra loro. Esaù è il cacciatore, è il nomade, perché lui nelle tende non può soffermarsi, se non per partire di nuovo. Giacobbe è lo stanziale, quello che vive nelle tende, quello che sarà l'agricoltore, quello che necessita dell'assegnazione di una terra dove vivere, lui e la sua famiglia ed i suoi sottoposti. Giacobbe impersona quindi la figura di Israele, come destinatario della terra promessa, che sarà conquistata solo molto tempo dopo grazie all'opera di Mosè, che sarà lo strumento per la realizzazione del disegno divino.
Haftarà di Toledot
Mal.1,1-2,7 (estratto)
Malachì è un profeta, autore di un breve libro, che è l’ultimo raccolto nella serie dei “profeti posteriori”. Visse presumibilmente tra la fine del VI sec. e la prima metà del V sec. a.E.V. e la sua reale identità è incerta. Alcuni ritengono che il nome Malachì, che significa “inviato del Signore”, sia uno pseudonimo e che egli possa in realtà essere Elia. Altri lo identificano con Esrà, altri ancora con Nehemia, o Zerubavel e persino con Mardocheo.
Il libro contiene ammonimenti rivolti ai sacerdoti affinché cessino dal trascurare il rispetto delle regole per i sacrifici al Signore, specialmente riguardo alla qualità delle offerte che era scaduta a livello di sciatta mediocrità.
“Il figlio onora il padre, lo schiavo onora il suo padrone; ma se Io sono padre dov’è l’onore che Mi tributate? E se Io sono il padrone, dov’è il timore che avete di Me?”
“Oh! Ci fosse pure tra di voi chi chiudesse le porte (del Tempio), sicché voi non accendeste invano il fuoco del Mio altare!”
“Maledetto il frodatore, che avendo nel suo gregge un maschio, ne fa voto e poi sacrifica al Signore un animale difettoso. Perché Io sono un grande re, dice il Signore Tsevaoth, il Mio nome è tremendo fra le genti.”
“Le labbra del sacerdote debbono custodire la conoscenza di D-o, e dalla sua bocca si deve ricercare l’ammaestramento, perché egli è un inviato del Signore Tsevaoth.”
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