lunedì 26 settembre 2011

Haazinu

(Deu.32)
Nei cinque libri della Torah ci sono solamente due cantiche: la prima è “Shirat hayam”, la cantica del mare (Es.14,30-15,18) la seconda è questa “Haazinu”, porgete orecchio.
La prima è una cantica che Mosè intona dopo aver assistito al prodigio delle acque che si erano dapprima aperte per far passare il suo popolo e poi richiuse sull’esercito egiziano che lo inseguiva. La seconda è al termine del viaggio, sulla linea di confine della terra promessa.
La prima nasce per iniziativa di Mosè che intende rivolgere al Signore un canto di ringraziamento e di lode per i prodigi che hanno condotto alla salvezza del Suo popolo. La seconda invece è una cantica che il Signore ha ordinato di scrivere e di insegnare ai figli d’Israele e di porla nelle loro bocche, sicché costituisca testimonianza contro di loro:

E ora scrivetevi questo cantico ed insegnatelo ai figli d’Israele e ponetelo nelle loro bocche onde questo cantico sia per Me testimonianza contro i figli d’israele”.

Testimonianza contro i figli d’Israele sarà quando essi dimenticheranno il patto con il Signore e ricadranno nell’abominio dell’idolatria. Si snoda quindi la cantica per quasi tutto il capitolo 32.

Porgete orecchio, o cieli, ed io parlerò ed oda la terra i detti della mia bocca”.

E’ un approccio maestoso perché se i cieli e tutta la terra sono esortati ad ascoltare è evidente che le parole che si stanno per pronunciare non sono certo parole da poco, saranno parole che richiederanno testimonianza, parole che renderanno pubblico il patto che il Signore ha inteso stabilire con il Suo popolo.

Quando io invocherò il nome del Signore, magnificate il nostro Dio. Iddio è perfetto nel Suo operare, poiché tutte le Sue azioni sono giustissime; è un Dio fedele senza iniquità, giusto e retto Egli è”.

Il Signore dunque dovrà essere magnificato dal Suo popolo perché in Lui risiedono la perfezione, la giustizia e la fedeltà. Se i figli d’Israele soffrono non sarà quindi colpa del Signore, ma colpa dei Suoi stessi figli.

Così ricompensate il Signore? O popolo stolto ed insensato; non è forse Egli tuo padre, che ti fece Suo? Egli ti ha fatto libero e ti ha costituito in nazione”.

Segue poi un passo che può dare adito ad diverse interpretazioni, potendo persino costituire, per quanto riguarda l’origine umana, l’anello di congiunzione tra la teoria creazionista e quella evoluzionista, teorie queste elaborate dall’essere umano in contrapposizione tra loro. Teorie che sono separate e compartimentate, perché l’essere umano ragiona per schemi, per “quanti” direbbero i fisici, ed ogni schema è un compartimento, una scatola chiusa, qualcosa che ha un principio ed una fine, qualcosa comunque di “finito” e perciò accessibile all’intelletto umano. Ma questi schemi sono semplificazioni che hanno sì il pregio di essere accessibili alla mente umana, ma che però non costituiscono l’esatta interpretazione di ciò che nella realtà avviene, che comunque è qualcosa di solitamente più complesso ed i cui singoli elementi la mente umana spesso non riesce a percepire, accontentandosi quindi della grossolanità di uno schema interpretativo.
Incontriamo la narrazione della creazione dell’uomo in Genesi 1,27 nel sesto giorno della creazione del mondo:

Dio creò l’uomo a Sua immagine; lo creò a immagine di Dio; creò maschio e femmina”.

E più avanti, in Genesi 2,7 si dice ancora:

Il Signore Dio formò l’uomo di polvere della terra, gli ispirò nelle narici il soffio vitale e l’uomo divenne essere vivente”.

In entrambi i passi di Genesi si dice quindi che ad essere creato fu “l’uomo”, non un essere intermedio, ma un essere vivente a immagine di Dio, già nella sua connotazione stabile e sostanzialmente corrispondente a quella finale che noi conosciamo. Questa è l’interpretazione “creazionistica”, che sostiene appunto che l’uomo fu creato sin dall’inizio con una configurazione fisica ed intellettiva e con una potenzialità sentimentale ed intuitiva, che era già sostanzialmente quella dell’uomo d’oggi.

Ora, nella nostra parashà , al capitolo 32, versetto 10, si dice:

Lo trovò in un paese deserto, in un territorio desolato dove urlavano gli animali selvaggi ed Egli lo circondò di cure, lo istruì e lo protesse come la pupilla del Suo occhio, … ”.

Ed è qui, su questo passo, che le interpretazioni possono essere molteplici.
Poiché nella narrazione biblica non ci sono altri riferimenti a questo territorio popolato da animali selvaggi, una interpretazione allineata con la teoria creazionista potrebbe esprimere che questa citazione debba essere intesa non in senso reale, ma in senso metaforico, simbolico e che quindi il popolo, prima che fosse stabilito il patto dell’alleanza, dovesse ritenersi vivere in uno stato paragonabile al semiselvatico, come se avesse dovuto sopravvivere in un territorio popolato da belve feroci. Mi sembra che questa interpretazione, che potrebbe assumersi a sostegno della teoria creazionista, sia però un po’ troppo fantasiosa e quindi poco accettabile. Mi domando perché non fare un passo ulteriore e dire semplicemente che l’essere umano che viveva in un territorio desolato, ma popolato da animali selvaggi era anch’esso un essere selvaggio, poiché altrimenti non sarebbe stato in grado di sopravvivere nell’ambiente ostile in cui si trovava a dover vivere. Questo non vuol dire che fosse un animale, era già un essere umano e come tale in possesso di tutte le potenzialità proprie di un essere umano, sia quelle che noi oggi siamo abituati ad associare ad esso, in termini di fisicità, di razionalità, di sentimento e di intuizione, sia quelle per così dire “perdute”, come la forza, l’istinto, la percezione, intesa questa non tanto come livello elevato di comprensione, ma di sesto senso, che è quella dote che ancora gli animali hanno che è quella di avvertire in anticipo l’arrivo di una tempesta o di un terremoto, facoltà queste che erano necessarie alla sopravvivenza in un ambiente non amico, e che perciò erano in lui spiccatamente presenti. Solo quando avrà raggiunto una sufficiente capacità di controllo dell’ambiente in cui vive, l’essere umano potrà attenuare le facoltà di sopravvivenza e sviluppare le facoltà per così dire “gestionali” del mondo, tornando così al compito iniziale, come è espresso in Genesi 2,15:

Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse”.

Dove coltivare e custodire significa amare, sviluppare, preservare un bene che ci è stato affidato in uso: la Terra è del Signore e noi siamo i suoi amministratori, coloro ai quali la Terra è stata affidata e che dovranno rendere conto del proprio operato, al Signore ed alle generazioni che verranno, per ricevere lode se avranno bene operato o riprovazione se la loro opera sarà stata dannosa. E la Terra non sono solo zolle, … la Terra sono tutte le specie di piante e di animali, … la Terra sono tutti gli uomini che la popolano.
Oggi la teoria “evoluzionistica” di Charles Darwin, che così a lungo ha trovato il favore degli scienziati e che per tanto tempo ha messo in forse il “creazionismo” biblico, oggi questa teoria vacilla, è messa a sua volta in discussione alla luce di scoperte paleontologiche e scientifiche che parrebbero affermare la peculiarità della specie umana e la sua retrodatazione, al punto di non dare spazio ad epoche temporali in cui l’evoluzione della specie umana avrebbe potuto avvenire partendo da specie diverse e meno sviluppate o meno adatte al loro ambiente.
Ma allora perché non eliminare la compartimentazione delle due teorie e non ricucirle invece insieme per dipanare un’unica teoria che sia creazionista ed evolutiva insieme, certamente però nei limiti della peculiarità della specie che le attuali cognizioni paiono confermare.
E’ una teoria che conferisce all’evoluzionismo della specie umana il connotato di un percorso di metamorfosi condizionato dall’ambiente in cui l’uomo opera e dalle capacità che egli sviluppa guidato dalla ricerca di migliori vantaggi, tutto sommato è una teoria della civiltà.
Certo non sarà questa teoria allineata con quella di Darwin, perché non si pronuncerà sulla riconducibilità di specie diverse a comuni specie originarie, come rami principali di un albero dal quale dipartano numerosi i secondari. Sarà però sancito il principio del cammino compiuto dall’uomo, da uno stato iniziale assimilabile a quello di un animale selvatico, per poi passare a forme di associazione, inizialmente gruppi familiari, poi tribù e poi forme più complesse ed articolate di convivenza sociale.

Ma l’essere umano, prosegue la cantica, che il Signore aveva protetto ed istruito divenne recalcitrante ed offese il Signore tornando ancora all’abominio dell’idolatria.

Il Signore vide e si sdegnò per l’ira che gli provocavano i Suoi figli e le Sue figlie. E disse: - Nasconderò loro la Mia faccia e vedrò come andranno a finire, perché essi sono una generazione perversa, figli senza fede”.

Fame, febbre, pestilenza affliggeranno il popolo infedele e poi ancora:

Li disperderò, farò cessare il loro ricordo dall’umanità, se io non temessi gli insulti del nemico che traviserebbe la causa delle loro disgrazie dicendo: - La nostra mano ha vinto e non è stato il Signore che ha fatto tutto questo”.

Accorata è la parola del Signore che rammenta i prodigi compiuti per far prevalere il Suo popolo e che deve però constatare come in cambio, a fronte di queste imprese meravigliose, il popolo dimostri oblio e distacco ed intraprenda le strade dell’abominio.
Pur tuttavia il Signore terrà fede al patto di alleanza e sarà disposto, quando il Suo popolo sarà sull’orlo della disperazione, ad invitarlo a guardare ancora verso di Lui:

Poiché il Signore giudicherà il Suo popolo e si commuoverà per i Suoi servi, quando vedrà che è venuto meno il loro vigore e non vi è più differenza tra schiavo e libero. Allora Egli dirà: -Dove sono i loro dèi? Dove la difesa in cui confidavano? …
Or dunque guardate, soltanto Io sono il Signore e non vi è altro Dio con Me, Io faccio morire ma faccio rivivere, Io ho ferito ma Io guarirò e non esiste chi possa salvare dalla mia mano
”.

La cantica si conclude con una ferma presa di posizione del Signore a fianco del Suo popolo e contro i suoi nemici:

Celebrate, o nazioni, il popolo del Signore, poiché Egli vendicherà il sangue dei Suoi servi, rivolgerà la Sua vendetta contro i Suoi nemici, ed il Suo popolo purificherà il paese”.

E’ un rapporto di amore e di ira quello di questo Dio verso il Suo popolo. L’amore non si interrompe mai, anche se si sono manifestati episodi di ira e punizioni terribili, punizioni che hanno visto aprirsi la terra, punizioni che hanno visto incenerire anche chi senza volere non aveva eseguito fedelmente i precetti del Signore. E comunque il Signore è fedele al patto di alleanza stabilito con i patriarchi.
E’ la storia dell’uomo, la storia per cui la specie umana continua nel suo complesso a vivere la fase ascendente della sua esistenza su questo mondo, nonostante le catastrofi,siano esse naturali o provocate per ignoranza o per malvagità, che ne costellano il percorso.

La parashah si conclude con queste parole che il Signore dice a Mosè, ormai prossimo alla morte:

Sali su questo monte Avarim detto anche monte Nevò che si trova in terra di Moav di fronte a Gerico e osserva la terra di Canaan che Io do in possesso ai figli d’Israele. Morirai sul monte sul quale ti accingi a salire e ti congiungerai al tuo popolo, come morì Aron, tuo fratello in Or Ha-har e si congiunse al suo popolo. Poiché vi rendeste colpevoli nei Miei confronti in mezzo ai figli d’Israele riguardo alle acque della disputa di Cadesh nel deserto di Tsin, perché voi non mi santificaste in mezzo ai figli d’Israele. Tu dunque vedrai da lontano il paese, ma non entrerai nella terra che Io sto per dare ai figli d’Israele”.

domenica 18 settembre 2011

Va-jèlech

(Deu.31)

Continuò Mosè a parlare al popolo d’Israele e disse loro:

Io sono ormai giunto all’età di centoventi anni e non posso più andare e venire con facilità ed il Signore mi ha detto: Tu non passerai questo Giordano”.

Giosuè vi condurrà al di là del Giordano, prosegue Mosè, distruggerete quei popoli e vi comporterete con loro secondo i precetti che vi ho comandato. Siate forti e coraggiosi non abbiate timore e non vi scoraggiate davanti a loro, perché il Signore vostro Dio verrà insieme a voi, non vi lascerà e non vi abbandonerà.

Mosè chiamò Giosuè e davanti al popolo gli disse:

Sii forte e coraggioso perché tu perverrai con questo popolo alla terra, che il Signore giurò di dare ai loro padri, e tu la darai loro in possesso, Quanto al Signore Egli sarà colui che ti precederà, Egli sarà con te, non ti lascerà e non ti abbandonerà, non temere e non aver paura”.

Ai sacerdoti che portavano l’Arca ed agli anziani d’Israele Mosè dette questo ordine:

Al termine dei sette anni, nel tempo della remissione, durante la festa delle capanne, quando tutto Israele verrà a presentarsi davanti al Signore tuo Dio nel luogo che avrà scelto, leggerai questa legge al cospetto di tutto Israele in modo che essi la odano, Convoca il popolo, uomini, donne e bambini e il forestiero che abita nelle tue città, affinché ascoltino, imparino e temano il Signore vostro Dio e osservino, per attuarle, tutte le parole di questa legge. I loro figli poi, che non le avessero conosciute prima, udranno e impareranno a temere il Signore vostro Dio per tutto il tempo in cui vivrete sulla terra, per possedere la quale, voi vi accingete a passare il Giordano”.

E il Signore disse a Mosè:

I tuoi giorni si avvicinano al momento della morte, chiama Giosuè e avvicinatevi insieme alla tenda della radunanza ed Io gli darò le Mie disposizioni”.

Quando Mosè e Giosuè si avvicinarono alla tenda della radunanza, il Signore si manifestò nella tenda in una colonna di nube che si fermò sulla porta della tenda. Il Signore disse quindi a Mosè:

Ecco, tu stai per andare a riposare presso i tuoi padri e questo popolo fornicherà dietro agli dèi stranieri del paese nel quale egli si stanzierà. Mi abbandonerà e violerà il patto che Io ho stabilito con lui. Allora la mia ira divamperà e nasconderò loro la mia faccia, diventeranno cibo per i loro nemici e grandi disgrazie capiteranno loro. In quel tempo il popolo dirà: Certamente per il fatto che il Signore non è più in mezzo a noi, ci sono capitati tutti questi mali. Ed Io continuerò a nascondere la mia faccia in quel giorno, per tutto il male che esso fece, perché si rivolse ad altri dèi”.

Ordina quindi il Signore di scrivere ed imparare un cantico che egli sta per dire e di insegnarlo ai figli d’Israele, perché quando capiteranno al popolo grandi mali e disgrazie, dopo che per l’ennesima volta avrà adorato altri dèi, questo canto testimonierà per esso e non verrà dimenticata la sua progenie.
Mosè scrisse il cantico e lo insegnò ai figli d’Israele e quindi disse a Giosuè:

Sii forte e coraggioso, perché, dice il Signore, tu condurrai i figli d’Israele nella terra che Io giurai di dar loro ed Io sarò con te”.

Mosè terminò di scrivere le parole di questa legge su di un libro ed ordinò ai Leviti che portavano l’Arca:

Prendete questo libro della legge e ponetelo da una parte entro l’Arca del patto del Signore vostro Dio e resti là per testimonianza, poiché io conosco il vostro istinto ribelle e la durezza della vostra cervice; se oggi mentre sono ancora vivo in mezzo a voi, voi vi siete ribellati al Signore, tanto più lo sarete dopo la mia morte. Radunate presso di me tutti gli anziani delle vostre tribù e i vostri capi e io dirò loro queste cose chiamando a testimoni il cielo e la terra. Perché io so che dopo la mia morte voi vi corromperete e vi allontanerete dalla via che io vi indicai. Disgrazia vi incoglierà in avvenire quando farete ciò che è male agli occhi del Signore, facendolo adirare con le vostre azioni”.

E allora Mosè si accinse a pronunciare le parole della cantica che vedremo nella prossima Parashah.

Nitsavim

(Deu.29,9-30)
Presenti, siete tutti qui presenti davanti al Signore, dice Mosè al popolo, tutti: uomini e donne, giovani e anziani ed anche il forestiero che lavora presso di voi.
Siete qui per accettare il patto del Signore vostro Dio ed il Suo anatema, così come Egli intende stabilire con voi che siete qui presenti, ma anche con quelli che oggi non sono qui con noi, generazioni passate e generazioni future.
Egli ti costituirà come Suo popolo e ti sarà come Dio, come ti disse e come giurò ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe.

Ma se ci sarà tra voi un uomo o una donna, una famiglia o una tribù che si distoglie dal Signore Dio nostro, prosegue Mosè, per andare ad adorare gli dèi che hanno le altre nazioni, allora l’ira del Signore divamperà e costoro non saranno perdonati e su di essi si poserà l’anatema ed i loro nomi saranno cancellati da sotto il cielo.
Le generazioni future e lo straniero che verranno a vedere le piaghe ed i mali che avranno colpito coloro che si saranno distolti dal Signore diranno:

E’ proprio come la distruzione di Sodoma e Gomorra, di Admà e Tsevoim, che il Signore operò nella Sua ira e nella Sua collera”.

E tutte le nazioni domanderanno:

Perché il Signore ha fatto così a questo paese?Qual’è la ragione di questa grande ira?”.

Ed a loro sarà risposto:

Perché hanno abbandonato il patto del Signore, Dio dei loro padri, che stabilì con loro quando li fece uscire dalla terra d’Egitto. Essi si posero a servire altri dèi e si prostrarono loro, a dèi che non conoscevano e che il Signore non dette loro in eredità. Pertanto l’ira del Signore divampò contro quel paese portando contro di lui tutte le maledizioni che sono scritte in questo libro. Il Signore li sradicò dalla loro terra con sdegno, ira e grande collera e li gettò in un altro paese com’ è ancor oggi”.

Ma coloro che saranno stati dispersi in altre nazioni e che poi rifletteranno e che vorranno tornare al Signore e ne ascolteranno la voce. Costoro il Signore li farà tornare e li tratterà con benevolenza. Ciconciderà il Signore il loro cuore e quello della loro discendenza affinché essi amino il Signore loro Dio con tutto il loro cuore e con tutta la loro anima e possano così vivere lungamente.

Il Signore farà prosperare chi darà ascolto alla Sua voce ed osserverà i Suoi precetti ed i Suoi statuti. Perché i precetti non sono comandamenti a fare cose fuori dalla portata dell’essere umano, ma sono cose che egli potrà eseguire con la bocca e con il cuore ed in questo modo potrà vivere, moltiplicarsi ed essere benedetto dal Signore.

Chi invece chiuderà il proprio cuore e non ascolterà e si farà trascinare verso l’idolatria sarà perduto e non prolungherà la sua permanenza nella terra promessa ai suoi padri.

Io chiamo a testimoni per voi oggi il cielo e la terra: io ho posto davanti a voi la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli la vita onde viviate tu e la tua discendenza amando il Signore tuo Dio, ascoltando la Sua voce e rimanendo a Lui avvinti, perché Egli è la tua vita e la lunghezza dei tuoi giorni, abitando nella terra che il Signore giurò di dare ai tuoi padri, ad Abramo, ad Isacco ed a Giacobbe”.

L’idolatria, ancora una volta è l’idolatria che distoglie dal Signore e che provoca la rovina. Gli idoli sono tanti e non sono solo gli idoli di pietra o di legno o di metallo, gli idoli sono le deviazioni, sono tutto ciò che ci distoglie dall’amore per il Signore e dall’eseguire i suoi precetti. L’essere umano è certamente fatto anche di sentimenti, di interessi, di passioni, che di per sé però non costituiscono né il male né il bene, ma semplicemente sono elementi che il Signore ha creato e che vanno a comporre il complesso dell’essere umano. Questi elementi, queste prerogative sono quindi affidati all’essere umano che si trova così impegnato a gestirli ed è nella fase di gestione che entra in campo la responsabilità dell’individuo e quindi l’amministrazione dei propri desideri, delle proprie passioni, dei propri sentimenti, per far sì che questi non vadano soffocare l’esigenza primaria e fondamentale dell’amore per il Signore e dell’osservanza dei suoi precetti.

Altro elemento notevole che ci viene ancora rammentato è la permanente possibilità di recupero per chi si sia distolto dal Signore e si sia successivamente pentito e desideri tornare a Lui. Il Signore mostrerà sempre benevolenza verso chi avrà aperto il proprio cuore al Suo amore.

Rosh haShanah - Un capodanno nel 7° mese?

Il giorno 29 di questo mese di settembre corrisponderà al 1° del mese ebraico di Tishrì e sarà Rosh haShanah, cioè il Capodanno ebraico, il primo giorno del nuovo anno 5772. Ma il mese di Tishrì non è, come ci si aspetterebbe, il primo mese del calendario ebraico, bensì il settimo ed a questo punto ci chiediamo come si sia realizzata questa anomalia.

Nel 1 ° giorno del settimo mese (Tishrì) la Torah comanda di osservare Yom Teruah che significa "Giorno dello Strepito" (Lv 23,23-25; Nu 29:1-6). Yom Teruah è un giorno di riposo in cui è vietato lavorare. Una particolarità di Yom Teruah è che la Torah non dice qual è lo scopo di questo giorno santo. La Torah dà almeno un motivo per tutti gli altri giorni sacri e due motivi per alcuni di essi. La festa delle azzime commemora l'esodo dall'Egitto, ma è anche la celebrazione dell'inizio del raccolto dell'orzo (Esodo 23:15; Lev 23:4-14).La festa di Shavuot (settimane) è una celebrazione del raccolto del grano (Es 23,16; 34:22). Yom Ha-Kippurim è una giornata nazionale di espiazione, come descritto nel dettaglio in Levitico 16. Infine, la festa di Sukkot (Capanne) commemora il vagare degli Israeliti nel deserto, ma è anche una celebrazione della raccolta dei prodotti agricoli (Es 23,16). In contrasto con tutte queste feste della Torah, Yom Teruah non ha un chiaro scopo oltre quello del riposo che ci viene raccomandato in questo giorno.

Il nome di Yom Teruah può fornire un indizio riguardo al suo scopo. Teruah letteralmente significa strepito, rumore forte. Questa parola può descrivere il rumore di una tromba ma descrive anche il rumore fatto da un grande raduno di persone che gridano all'unisono (Nu 10,5-6). Per esempio:

" E avverrà quando il corno di montone fa un colpo lungo, quando si sente il suono dello shofar, l'intera nazione darà un grande grido, e le mura della città cadranno sul posto, ed il popolo salirà come un sol uomo contro di essa. "(Giosuè 6:5)

In questo versetto il "grido" appare due volte, la prima come forma verbale di Teruah e la seconda volta come la forma del sostantivo Teruah. Anche se questo versetto cita il suono dello shofar (corno di montone), le due specie di Teruah si riferiscono alle grida all'unisono degli Israeliti, seguite dalla caduta delle mura di Gerico.
Mentre la Torah non ci dice esplicitamente lo scopo di Yom Teruah il suo nome potrebbe indicare che si intende come giorno di preghiera pubblica. La forma verbale di Teruah si riferisce spesso al rumore fatto da un raduno di fedeli chiamati a rivolgersi all’unisono all'Onnipotente. Per esempio:

• " Applaudite o popoli, gridate a Dio, con una voce che canta! "(Sal 47:2)
• " Applaudite a Dio, abitanti della terra "(Sal 66:1)
• " Cantate a Dio, nostra forza, gridate al Dio di Giacobbe "(Sal 81:2)
• " Fate lode al Signore, abitanti della terra "(Salmo 100:1)

In Levitico 23:24, Yom Teruah è indicato anche come Zichron Teruah. La parola Zichron è a volte tradotta come "ricordo" ma questa parola ebraica ha anche il significato di "designazione" spesso in riferimento al nome del Signore (ad esempio Es 3:15; Isaia 12:4;; 26:13; Sal 45 : 18). Il giorno della Zichron Teruah, diviene il giorno della "designazione del grido", e può riferirsi ad una giornata di raccoglimento in preghiera pubblica in cui la folla dei fedeli grida il nome del Signore all'unisono.

Oggi pochi ricordano il nome biblico di Yom Teruah che invece è ampiamente conosciuto come "Rosh haShanah", che significa letteralmente "testa dell'anno" e quindi "Capodanno". La trasformazione di Yom Teruah (Giorno dello Strepito) in Rosh haShanah (Capodanno) è il risultato di una influenza pagana babilonese. La prima fase della trasformazione è stata l'adozione dei nomi babilonesi dei mesi. Nella Torah i mesi sono semplicemente chiamati come primo mese, secondo mese, terzo mese, ecc (Levitico 23; Numeri 28).Fu durante il loro esilio a Babilonia che gli ebrei cominciarono a utilizzare per i mesi i nomi babilonesi, così come citato nel Talmud:

" I nomi dei mesi sono venuti con loro da Babilonia.” (Talmud di Gerusalemme, Rosh haShanah 01:02 56d)

La natura pagana dei nomi dei mesi babilonesi è esemplificata in modo evidente dal quarto mese noto come Tammuz. Nella religione babilonese Tammuz era il dio del ciclo annuale del grano, che con la sua morte e risurrezione portava la fertilità al mondo. Nel libro di Ezechiele, il profeta ha descritto un viaggio a Gerusalemme, in cui vide le donne ebree piangere Tammuz sulla soglia del Tempio (Ezechiele 8:14). Esse piangevano Tammuz perché secondo la mitologia babilonese Tammuz era stato ucciso, ma non era ancora resuscitato. Nell'antica Babilonia il periodo in cui piangere Tammuz era all'inizio dell'estate, quando le piogge cessavano in tutto il Medio Oriente ed il verde della vegetazione era bruciato dal sole implacabile. Ancora oggi il quarto mese del calendario rabbinico è conosciuto come il mese di Tammuz ed è ancora un tempo per piangere e di lutto.
Alcuni nomi dei mesi babilonesi sono citati nei libri più tardi del Tanakh, ma appaiono sempre accanto ai nomi dei mesi della Torah. Per esempio, Esther 03:07 dice:

" Nel primo mese, che è il mese di Nissan, nel dodicesimo anno del re Achashverosh ".

Questo versetto comincia dando il nome della Torah per il mese ("primo mese") e poi traduce questo mese nel suo equivalente pagano ("che è il mese di Nissan"). Al tempo di Ester tutti gli ebrei vivevano entro i confini dell'impero persiano ed i Persiani avevano adottato il calendario babilonese per l'amministrazione civile del loro impero. In un primo momento gli ebrei utilizzarono questi nomi dei mesi babilonesi accanto ai nomi dei mesi della Torah, ma nel tempo i nomi dati dalla Torah caddero in disuso.

Così come il popolo ebraico trovò più comodo l’uso dei nomi babilonesi per i mesi dell’anno, analogamente si manifestò una sensibilità anche verso altre influenze babilonesi. Si verificò che gli antichi Rabbini siano stati influenzati dalla religione pagana babilonese. Infatti anche se molti ebrei ritornarono in Giudea quando l'esilio si concluse nel 516 aC, molti rabbini rimasero a Babilonia, dove il giudaismo rabbinico a poco a poco aveva preso forma. Molti dei primi rabbini conosciuti, come Hillel erano nati ed erano stati educati a Babilonia. Infatti Babilonia rimase il cuore del giudaismo rabbinico fino alla caduta del Gaonato Babilonese avvenuta nell’ 11 ° secolo dC. Il Talmud babilonese abbonda di influenze del paganesimo babilonese. In realtà, le divinità pagane appaiono anche nel Talmud, ma sono riciclate come angeli e demoni.

L’influenza religiosa babilonese determinò la modificazione dello Yom Teruah in festa di Capodanno. Da tempi antichissimi i Babilonesi avevano un calendario lunisolare molto simile al calendario biblico. Il risultato fu che Yom Teruah spesso cadde nello stesso giorno della festa babilonese per il nuovo anno, conosciuta come "Akitu", che cadeva proprio nel 1 ° giorno di Tishrì e quindi coincideva con lo Yom Teruah del 1 ° giorno del settimo mese. Il fatto che gli ebrei avevano iniziato a chiamare il settimo mese con il nome babilonese Tishrì aprì la strada per trasformare Yom Teruah in un Akitu ebraico. Ma i rabbini non vollero adottare Akitu come nome definitivo, ma lo trasformarono giudaizzandolo, sicché Yom Teruah (Giorno del Grido) divenne Rosh haShanah (Capodanno). Il fatto che la Torah non avesse dato una motivazione per Yom Teruah rese senza dubbio più facile ai rabbini la proclamazione come Capodanno ebraico.

Può sembrare bizzarro celebrare Yom Teruah come Capodanno visto che cade il primo giorno del settimo mese, ma nel contesto della cultura babilonese questo era perfettamente naturale. I Babilonesi effettivamente celebravano Akitu, Capodanno, due volte ogni anno, una prima volta il primo di Tishrì e ancora sei mesi dopo il primo di Nissan. La prima festa babilonese Akitu coincideva con Yom Teruah e la seconda Akitu coincideva con gli anni effettivi e quindi, secondo la Torah, con il primo giorno del primo mese. Ma anche i rabbini, che proclamavano lo Yom Teruah come Capodanno, ammettevano contestualmente che il 1 ° giorno del "primo mese" nella Torah sarebbe stato, come dice implicitamente il nome, anch’esso un capodanno. Essi non avrebbero potuto negare questo sulla base di Esodo 12:02 che dice:

" Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, ma è il primo dei mesi dell'anno. "

Il contesto di questo versetto parla della celebrazione della Festa del Pane Azzimo, che cade nel primo mese. Alla luce di questo versetto i rabbini non poteva negare che il primo giorno del primo mese era l’inizio di un Nuovo Anno biblico.Ma nel contesto culturale di Babilonia, dove è stata celebrata Akitu come Capodanno due volte l'anno, aveva un senso perfetto che Yom Teruah potesse essere un secondo Capodanno anche se era il settimo mese.
La Torah non dice, neanche implicitamente, che lo Yom Teruah abbia qualcosa a che fare con il Capodanno. Al contrario, per la festa di Sukkot (Capanne), che ha luogo esattamente due settimane dopo Yom Teruah, si fa riferimento in un verso come "all’uscita dell'anno" (Es 23,16). Nessuno avrebbe mai chiamato il 15 gennaio nel calendario occidentale moderno "uscita dell'anno" e la Torah non avrebbe descritto Sukkot in questo modo se avesse inteso Yom Teruah come un Capodanno.

Alcuni rabbini moderni hanno sostenuto che Yom Teruah è in realtà indicato come Rosh haShanah in Ezechiele 40:1 che descrive in una visione del profeta, "All'inizio dell'anno (Rosh haShanah) il dieci del mese". Il fatto che Ezechiele 40:1 si riferisca al decimo giorno del mese e non al primo dimostra che in quel contesto, Rosh haShanah non può significare "Capodanno". Al contrario, deve mantenere il suo senso letterale di "capo dell'anno", riferendosi al primo mese del calendario della Torah. Pertanto, il 10 ° giorno di Rosh haShanah in Ezechiele 40:1 deve intendersi riferito al giorno 10 del primo mese.

(I contenuti di queste pagine sono tratti, previa traduzione ed opportuni adattamenti, dall’articolo di Nehemia Gordon “Yom Teruah, How the Day of Shouting Became Rosh Hashanah” pubblicato sul sito Karaite Korner)

lunedì 12 settembre 2011

Ki Thavò

(Deu.26-29,8)
Quando giungerai, dice Mosè al popolo, nel paese che il Signore ti darà e lo avrai conquistato, raccoglierai in un cesto le primizie di tutti i frutti di quella terra e lo porterai al luogo che il Signore avrà scelto come Suo Santuario. Dirai al Sacerdote che troverai al Santuario:

Io dichiaro oggi al Signore tuo Dio che sono giunto nel paese che Egli giurò ai nostri padri di darci”.

E quando il Sacerdote avrà collocato il tuo cesto davanti all’altare del Signore, dirai ancora:

Un arameo nomade era mio padre. Egli se ne andò in Egitto e vi abitò con pochi uomini; là divenne una grande nazione, potente e numerosa. Ma gli Egiziani ci perseguitarono e ci afflissero e ci sottomisero ad una dura schiavitù. Allora noi gridammo al Signore Dio dei nostri padri ed Egli ascoltò la nostra voce, vide la nostra afflizione, il nostro travaglio e la nostra oppressione. Il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, con grande spavento con prodigi e con miracoli e ci condusse in questo luogo e ci dette questa terra stillante latte e miele. Ecco io ho portato ora le primizie dei frutti della terra che Tu hai concesso a me, o Signore”.

Arameo nomade” così viene per lo più tradotto “aramì ovèd”, ma a questo proposito vi sono alcune considerazioni da mettere in evidenza.
Aram si riferisce fondamentalmente alla Siria e così solitamente viene tradotto questo nome (Gdc 10:6; 2Sam 8:6, 12;15:8; Os 12:12). In particolare Paddan-Aram indica la zona intorno alla città di Haran nell’alta Mesopotamia (Gn 25:20;28:2-7,10). Il patriarca Abramo aveva risieduto temporaneamente ad Haran, nella regione di Paddan (Gn12:4;28:7,10). Successivamente, suo figlio Isacco e poi suo nipote Giacobbe vi trovarono moglie fra i discendenti dei suoi parenti (Gn 22:20-23;25:20;28:6). Giacobbe trascorse 20 anni in Paddan al servizio del suocero Labano (Gn 31:17,18,36,41). Si pensa quindi che con la locuzione “arameo errante” ci si riferisca a Giacobbe.
Meno univoco è il significato di ovèd (אֹבֵד), che può variare a seconda che si tratti di un aggettivo (“misero”), di un sostantivo (“nomade”) o di un participio (“morente”, “errante”). L’Hebräisches und Aramäisches Lexicon zum Alten Testament(E. J. Brill, Leiden, 1967) traduce ovèd con “rovina” (Nm 24:20,24) e pertanto la traduzione corretta diverrebbe: “Mio padre era un arameo in rovina”. Il Dizionario di ebraico ed aramaico biblici (Philippe Reymond, 2^ ed. it., Roma 1995) segnala anch’esso per la radice di ovèd il significato di perire (Nm 17:27), andare in rovina (Es 10:7), scomparire (Nm 16:33). La tradizione ebraica, come segnala Bruno Di Porto nel suo commento alla parashà, conserva anche un’altra versione delle parole “aramì ovèd”, che dovrebbero tradursi “un arameo che ha rovinato mio padre”.
Tutto questo per dimostrare quanto sia a volte complessa la ricerca della traduzione del testo sacro e quanto possa essa alimentare il tradizionale “pluralismo ebraico”.
Personalmente preferisco la traduzione “arameo errante”, dove la parola errante esprime molto di più della parola nomade, perché nomade è il pastore che si sposta secondo le necessità del suo gregge, mentre errante è colui che è spinto ad esserlo per l’incontenibile impulso che la sua anima gli detta.

Le parole “il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso”, si ricollegano a quanto è detto in Esodo (14,15 e 16):

E il Signore disse a Mosè: - Perché tu esclami a me? Ordina ai figli d’Israele di mettersi in cammino. E tu alza la tua verga, stendi il tuo braccio verso il mare e fendilo, e i figli d’Israele potranno attraversare il mare all’asciutto. …

Tornando alla narrazione della parashà troviamo la prescrizione, in occasione della raccolta delle decime annuali, di mettere da parte quelle del terzo anno per darle al Levita, al forestiero, all’orfano ed alla vedova e di dichiarare davanti al Signore:

Ho tolto le cose consacrate dalla mia casa e le ho date al Levita, al forestiero, all’orfano, alla vedova secondo tutte le prescrizioni che Tu mi hai comandato; non ho trasgredito ai tuoi precetti e non li ho dimenticati. Quando fui in lutto non ne mangiai né feci alcun prelevamento essendo impuro né detti parti di esse per qualche morto; ho dato ascolto al Signore mio Dio, ha fatto secondo quanto mi hai comandato. Dalla residenza della Tua santità, dal cielo, volgi a noi lo sguardo e benedici il Tuo popolo Israele, e la terra che ci hai dato come giurasti ai nostri padri, una terra stillante latte e miele”.

Nel capitolo 27 Mosè e gli anziani comandano che, nel giorno in cui il popolo passerà il Giordano per entrare nel paese che il Signore sta per dargli, le tribù si schierino secondo un ordine stabilito sui monti Eval e Gherizim.
Sul monte Eval verrà costruito un altare di pietre intere sul quale presentare le offerte di olocausto e di “scelamim”, ed ivi sarannno erette delle grandi pietre intonacate a calce sulle quali verranno scritte le parole di benedizione e di maledizione che Mosè sta per pronunciare. Segue quindi, e fino al termine del capitolo, l’enunciazione delle maledizioni che verranno pronunciate a fronte di specifiche violazioni della legge.
La prima maledizione sarà quella per la quale i Leviti diranno a tutto il popolo d’Israele con voce alta:

Sia maledetto colui che costruirà immagini scolpite o fuse, aborrite dal Signore, opera delle mani di un artigiano, e le tenga nascoste; tutto il popolo risponderà e dirà: Così sia!

L’idolatria, torna sempre l’idolatria quale prima e fondamentale violazione della legge del Signore e l’idolatria abbiamo già visto che può presentarsi sotto diverse sembianze: idolatria non è solo adorazione di immagini di pietra o di metallo o dipinte, idolatria è l’amore per il denaro, per il potere o per un altro essere umano fino al punto di anteporlo all’amore per il Signore ed all’osservanza delle Sue leggi.
L’ultima delle maledizioni le riassume e le assomma un po’ tutte in sé:

Sia maledetto colui che non adempirà le parole di questa legge e non le eseguirà; e dirà tutto il popolo: Così sia!

Il capitolo 28 inizia enunciando tutte le benedizioni che verranno al popolo d’Israele per avere ascoltato la voce del Signore, benedizioni di prosperità per i prodotti della terra, per gli animali e benedizioni per i propri figli:

Il Signore ti stabilirà come Suo popolo consacrato, come ti ha giurato, e tu osserverai i precetti del Signore tuo Dio e procederai nelle Sue vie. Tutti i popoli della terra osserveranno che tu sei il popolo chiamato con il nome del Signore e ti temeranno”.

Ma dopo questo inizio la maggior parte del capitolo prosegue enumerando in modo aspro e terribile tutte le disgrazie che ricadranno sul popolo se non avrà osservato la legge del Signore:

Ma se tu non ascolterai la voce del Signore tuo Dio, osservando tutti i Suoi precetti e i Suoi statuti che io ti comando oggi, verranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste maledizioni”.

Per rendere l’idea della durezza di queste pagine riporto alcune delle maledizioni enunciate:

Il Signore manderà contro di te la maledizione, il panico e la disgrazia in qualunque iniziativa tu intraprenda, in modo da mandarti in rovina e in perdizione in fretta, a causa della malvagità delle tue azioni, avendomi tu abbandonato”.

Il Signore ti farà fuggire davanti ai tuoi nemici; andrai contro di loro per una via e fuggirai per sette vie dinanzi a loro e sarai causa di orrore per tutti i regni della terra”.

Il Signore condurrà te ed il re che tu avrai eletto sopra di te presso una nazione che non conoscesti né tu né i tuoi padri e là servirai altri dèi di legno e di pietra. Sarai oggetto di stupore, sarai portato come esempio di sventura e schernito da tutti quei popoli presso i quali il Signore ti condurrà”.

E più avanti, dopo questa maledizione, che si riferisce palesemente alla cattività babilonese, viene ripresentata un’immagine analoga:

Il Signore susciterà contro di te una nazione da lontano, dall’estremità della terra, che si getterà su di te come fa l’aquila, una nazione di cui non conosci la lingua. Una nazione fiera che non porta rispetto al vecchio e che non sente pietà per il bambino. Essa divorerà il frutto dei tuoi animali e il frutto della tua terra fino a rovinarti perché non lascerà per te né grano né mosto né olio né vitelli né agnelli fino a farti morire. Ti assedierà in ogni tua città fino a che non cadranno le tue mura alte e fortificate nelle quali tu riponevi tanta fiducia in tutto il tuo paese; ti porrà l’assedio in tutte le tue città, in tutta la tua terra che il Signore tuo Dio ti ha dato”.

Questa maledizione si riferisce ad un’altra disgrazia, sia perché non avrebbe avuto senso parlare ancora della cattività babilonese, sia perché in questa frase ci sono degli elementi diversi:

• La nazione lontana è paragonata all’aquila, e l’aquila era sulle insegne romane.
• Della nazione romana non si conosceva la lingua, mentre con Babilonia c’era una lunga tradizione di rapporti.
• Quella romana fu un’occupazione coloniale, quindi di sfruttamento delle risorse nel paese occupato, al contrario di quella babilonese che si risolse invece nella depredazione dei beni e nella deportazione di quella parte della popolazione costituente l’elite culturale ed artigiana. Solo dopo il 70 e.v. anche da parte dei romani venne attuata la deportazione per domare le continue ribellioni del popolo ebraico.

Parrebbe di poter confermare quindi che questa maledizione possa riferirsi all’occupazione romana , sempre travagliata e contrastata fino al suo tragico epilogo avvenuto prima con la distruzione del Tempio e della città di Gerusalemme del 70 e.v. e dopo, nel 135 e.v., con la sconfitta di Bar Kochba, che impersonò l’ultimo tentativo ebraico di mantenere in vita uno stato nazionale.

Ma ancora l’enunciazione delle maledizioni prosegue, preannunciando la diaspora del popolo ebraico, che noi sappiamo essere avvenuta una prima volta ad opera di Tito nel 70 e.v. ed una seconda volta nel 1492 e.v. con la cacciata dalla Spagna:

Ti disperderà il Signore fra tutti i popoli da un’estremità all’altra della terra e là tu servirai altri dèi che non conoscesti né tu né i tuoi padri, idoli di legno e di pietra. Fra quelle nazioni non avrai sollievo né avrà riposo la pianta del tuo piede; il Signore ti darà là un cuore timoroso, degli occhi languenti e uno spirito amareggiato”.

L’ultima maledizione preconizza il ritorno in Egitto per essere messi in vendita al mercato degli schiavi, senza trovare peraltro compratore.

Si chiude la parashà, all’inizio del capitolo 29, con l’esortazione al rispetto della legge del Signore:

Osservate dunque le parole di questo patto ed eseguitele in modo che possiate riuscire in tutto ciò che farete”.

lunedì 5 settembre 2011

Ki Thetsè

(Deu.21,10-25)
Prosegue anche in questa parashà l’enunciazione delle numerose prescrizioni impartite da Mosè al popolo nell’imminenza del suo ingresso nella terra promessa.
Si comincia con una prescrizione riguardante le donne dei vinti.

• La donna prigioniera.
Riguarda il caso di un uomo che si invaghisca di una donna prigioniera:

… se vedrai fra i prigionieri una donna di bello aspetto e te ne innamorerai e vorrai prenderla in moglie, dovrai condurla nella tua casa ed essa si raderà i capelli e si taglierà le unghie, quindi si toglierà le vesti dei prigionieri e rimarrà in casa tua piangendo suo padre e sua madre per un intero mese; dopo di che potrai unirti con lei e sarà per te una moglie. Ma se poi non ti piacesse più la dovrai mandare libera dove essa vorrà e non la potrai vendere per denaro, non potrai più trattarla da schiava dopo che è stata tua moglie”.

Per poter dire che la tutela della donna presa prigioniera fosse integrale manca una sola cosa, ma fondamentale: il consenso di lei. Al di là di questo aspetto, nella norma c’è il rispetto per la donna dei vinti, sia per quanto riguarda il dolore per la perdita dei genitori, sia per il suo status che sarà di moglie e non di schiava, né sarà mai schiava anche in caso di ripudio.

• Il diritto di primogenitura.
Si fa quindi il caso di un uomo che abbia due mogli e si detta la norma sulla intangibilità dei diritti del primogenito, anche nell’ipotesi in cui la madre di questi non sia più la favorita del padre.

• Il figlio traviato e ribelle.
Segue una norma di estrema severità che riguarda il figlio traviato e ribelle, che non dà più ascolto né al padre, né alla madre. I suoi genitori lo condurranno davanti agli anziani della città e diranno:

Questo nostro figlio è traviato e ribelle; non ci dà ascolto e mangia e beve eccessivamente”.

Il verdetto degli anziani sarà di morte per lapidazione:

Tutti gli uomini della città lo lapideranno ed egli morrà e toglierai il male da mezzo a te e tutto Israele udrà ed avrà timore”.

Proprio queste parole ci fanno comprendere quale sia la motivazione della pena di morte per il figlio ribelle e traviato. Il motivo principale non è quindi da collegarsi alla colpa di aver arrecato continua sofferenza ai propri genitori. La sua eliminazione con la pena di morte si rende necessaria per una motivazione sociale, che è quella di impedire la proliferazione nel popolo d’Israele del germe della ribellione e della perversione.

• La sepoltura del giustiziato.
Il cadavere del giustiziato, non dovrà rimanere esposto nella notte, ma dovrà essere seppellito nello stesso giorno.

… lo dovrai seppellire in quello stesso giorno perché il cadavere appeso è causa di maledizione da parte di Dio e tu non renderai impuro il territorio che il Signore tuo Dio è per darti in retaggio”.

La motivazione quindi non è tanto la “pietas” nei riguardi del giustiziato, bensì il rispetto per la creazione del Signore, che fece l’uomo a sua immagine e somiglianza.

• Restituzione di animali e cose.
E’ sancito l’obbligo di restituire al proprietario, confratello ebreo, ogni animale ed ogni cosa che questi avesse perduto.

• Soccorso agli animali.
L’asino o il toro di un confratello ebreo che cadono per la strada dovranno essere aiutati a rialzarsi.

• Indumenti maschili e femminili.
Si stabilisce il divieto di indossare indumenti propri dell’altro sesso.

• Il nido degli uccelli.
Incontrando un nido con uova e pulcini e con la madre che sta covando, non si dovrà prendere la madre, ma si potranno prendere le uova ed i pulcini, dopo aver allontanato la madre.

• Ringhiere delle terrazze.
E’ una norma antinfortunistica che prescrive che le coperture a terrazza siano dotate di protezioni perimetrali.

• Non seminare semi di varia specie nella tua vigna.
• Non mettere al giogo insieme un asino e un toro.
• Non indossare lana e lino tessuti insieme.
• I vestiti avranno fili intrecciati ai quattro angoli.

• Verginità della sposa.
Se un uomo sposa una donna, si unisce a lei e la accusa di non essere stata vergine, i genitori di lei porteranno agli anziani il lenzuolo per provare la verginità della figlia. Se verrà accertata la verginità il marito dovrà pagare cento monete d’argento al padre di lei. Se invece risulterà fondata l’accusa del marito, la ragazza verrà messa a morte per lapidazione.

• Adulterio
Gli adulteri saranno messi a morte, sia che si tratti di donna sposata, sia che si tratti di vergine promessa sposa.

• La violenza ad una donna sposata sarà punita con la morte.
• La violenza ad una vergine senza vincoli matrimoniali, darà luogo ad un indennizzo di cinquanta monete d’argento al padre della ragazza ed inoltre all’obbligo per il violentatore di sposarla.
• Un uomo non sposerà la moglie del padre.
• Non potrà contrarre matrimonio chi non abbia i genitali integri, né i nati da incesto o adulterio.
• Non potrà contrarsi matrimonio con Moabiti e Ammoniti. Salvo evidentemente il caso in cui questi abbandonino il proprio popolo e le sue usanze per abbracciare quelle di Israele. Ricordiamo che la moabita Rut abbandonò il suo paese ed il suo Dio per entrare nel popolo d’Israele e divenire progenitrice di re David.
• Idumei ed Egiziani non saranno aborriti ed i figli che nasceranno da loro e da donna ebrea alla terza generazione faranno parte del popolo d’Israele.

• Negli accampamenti militari dovranno adottarsi misure di purità:

Poiché il Signore tuo Dio cammina in mezzo al tuo accampamento per salvarti e per consegnarti i tuoi nemici, il tuo campo dovrà essere come cosa sacra”.

• Offrire protezione allo schiavo che sarà fuggito dal suo padrone.
• Nel popolo d’Israele non vi saranno né prostitute né pederasti.

• Non prestare denaro ad interesse ad un altro ebreo, mentre si potrà fare con lo straniero
Curiosamente questa norma venne recepita inizialmente dal cattolicesimo, invertendone però i soggetti e quindi i cattolici non potevano prestare ad interesse, mentre questa attività avrebbe potuto essere svolta dagli ebrei. I predicatori cattolici finché il prestito fu gestito da ebrei chiamarono il denaro “lo sterco del Demonio”, poi la Chiesa inventò i Monti di Pietà o Banchi di Pegno nei quali il prestito ad interesse, specialmente verso le classi più povere, venne soppiantato dal prestito su pegno. La forma era salva, la sostanza un po’ meno, perché mentre in precedenza il tasso massimo d’interesse era fissato dal sovrano, per quello che riguardava il valore dei pegni tutto era affidato alla stima del momento fatta dal Banco.

• Voti fatti al Signore:

Quando farai un voto al Signore tuo Dio, non dovrai tardare ad adempierlo perché il Signore tuo Dio te lo richiederebbe ed in te si troverebbe il peccato. Se invece cesserai di fare voti, non ci sarà in te peccato. Ciò che prometterai dovrai mantenere, donando quanto hai fatto voto di offrire al Signore Dio tuo profferendolo con la tua bocca”.

Per arrivare a dire questo significa che già all’epoca esisteva l’umano malvezzo di promettere e non mantenere.

• Nella vigna del compagno.
Potrai mangiare uva quanta ne vuoi, ma non potrai portarla via. La stessa cosa nel campo di grano: potrai raccogliere le spighe con la mano, ma non userai la falce.

• La donna ripudiata.
La donna ripudiata dal marito sarà libera di unirsi con un altro uomo, ma se verrà ripudiata anche da questo, non potrà mai tornare al primo marito.

• Esenzione dal servizio militare.
Chi sposa una ragazza nubile è esentato per un anno dal prestare servizio militare.

• Le macine del debitore.
Mai potranno prendersi in pegno le macine del debitore.

• Rapimento e schiavitù.
Chi rapirà una persona ebrea, per farne uno schiavo e venderlo sarà messo a morte.

• Dovranno seguirsi le procedure di purificazione in caso di lebbra e malattie contagiose.

• Prestito su pegno.
Non si dovrà entrare nella casa del debitore, ma aspettare fuori di essa che egli porti il pegno pattuito.
Se sarà fatto prestito su pegno ad un povero, il pegno dovrà essergli restituito prima del tramonto.

• Occorre pagare giornalmente il compenso pattuito al salariato.

• La responsabilità è personale:

I padri non periranno per le colpe dei figli e i figli non moriranno per i padri; ognuno perirà per la propria colpa”.

• Il forestiero, l’orfano e la vedova.
Quando raccoglierai il frutto della tua terra, sia esso il campo di grano, o l’uliveto, o la tua vigna, dimentica i residui e lascia che possano essere racimolati dal forestiero, dall’orfano o dalla vedova.

• Fustigazione.
La condanna alla fustigazione non potrà prevedere più di quaranta colpi.

• Jibbum.
Se un uomo sposato muore senza figli, la vedova dovrà andare sposa al cognato (javam) per dare la possibilità al morto di avere figli che perpetuino il suo nome. Se il cognato dovesse rifiutare, la cognata si avvicinerà a lui, in presenza degli anziani, gli toglierà la scarpa dal piede e sputerà davanti a lui dicendogli:

Così sia fatto all’uomo che rifiuta di costruire la casa del proprio fratello”.

E il nome di lui sarà da allora in poi: la famiglia dello scalzato.

• Sia messa a morte la donna che afferri i testicoli dell’uomo che sta percuotendo suo marito.
• Non adoperare pesi e misure falsi.
• Ricordati di Amalec e di ciò che ti fece quando uscisti dall’Egitto.