lunedì 29 aprile 2013

Behukotài

(Le.26,3-27,34)

La Parashà conclude il libro del Levitico e, al capitolo 26, riferendosi alle leggi ed ai precetti impartiti al popolo ebraico, esprime con una prosa reiterativa ed incalzante, da un lato la protezione ed i compensi che il Signore metterà in atto nel caso di osservanza e , dall’altro invece, le terribili punizioni comminate per la trasgressione con una severità che sarà commisurata alla persistenza nell’errore. Le promesse e le ammonizioni che ritroveremo in Deuteronomio 11, 13-21 costituiscono la seconda parte dello Shemà.

Spesso nella vita di tutti i giorni si può avere l’impressione che compensi e punizioni non siano attribuiti in relazione ai meriti o alle colpe e ciò può dare luogo ad un senso di smarrimento. L’ebreo può superare ogni stato di palese ingiustizia con il mantenimento della fiducia nel Signore e la consapevolezza che, seppure a lui sfugga il senso degli avvenimenti, ai quali si trova a dover soggiacere, questi fanno parte però di un disegno più ampio dove la giustizia arriverà, non importa quando, ma arriverà.

Il successivo capitolo 27 tratta delle donazioni al Santuario, le quali potevano consistere in beni mobili, immobili, animali e anche persone. Tutte le donazioni venivano valutate in sicli del Santuario ed era possibile per l’offerente il riscatto del bene offerto in dono, mediante il versamento di una somma pari al valore di stima aumentato di un quinto. Queste donazioni potevano essere effettuate liberamente in scioglimento di voti espressi dagli interessati verso il Signore. Donazione d’obbligo era invece quella del mezzo siclo del santuario che riguardava in ugual misura i primogeniti, qualunque fosse il censo familiare, e che in tal modo venivano riscattati dal loro status di offerta esclusiva al Signore.

E’ utile soffermarsi su tutte queste attività di stima delle offerte e di riscatto da pagarsi con una moneta non di uso commerciale corrente, ma di uso circoscritto al Santuario, per comprenderne la dimensione e le implicazioni economiche.

Il fatto che le stime venissero effettuate in sicli del Santuario ha una duplice ragione:
- il siclo del Santuario ha un valore fisso, dato dal suo contenuto di circa 14 grammi di argento, mentre le monete correnti potevano avere un valore nominale non corrispondente a quello intrinseco, in ragione delle vicende economico-finanziarie dello Stato che batteva moneta;
- non potevano avere accesso al Santuario monete recanti l’effigie di re o imperatori, in quanto ritenute per questo motivo impure.

La necessità di cambiare la moneta dava luogo nei periodi di maggiore affluenza, che erano quelli delle Feste di pellegrinaggio, al proliferare dei cambiavalute, per un fenomeno ritengo simile al’odiernol bagarinaggio per i biglietti da stadio.
Stessa cosa per gli animali, che chi veniva dalle località più lontane poteva più comodamente acquistare sul posto, in moneta locale, per poi riscattarli, se avesse voluto, in sicli del santuario per poi rivendere, qualora ne avesse avuto necessità, ancora in moneta locale.
Insomma è pensabile che in occasione delle feste di pellegrinaggio si sviluppasse attorno al Santuario un fervore di attività commerciali.

E’ da notare anche che tutte queste offerte destinate al sostentamento del Santuario davano luogo ognuna a diverse voci di provento. Nel caso dell’offerta di un animale infatti, questo veniva valutato in sicli del Santuario e, qualora si intendesse riscattarlo occorreva pagare il prezzo di stima maggiorato di un quinto e, per far questo, era necessario procurarsi la moneta del Santuario pagando il relativo aggio di cambio.

Queste attività dei “cambiavalute” e dei “venditori di colombe” sono quelle condannate nei Vangeli cattolici perché vennero ritenute una profanazione del Tempio, all’interno del quale si sarebbero svolte. Ma anche qui è opportuno un chiarimento. Il Tempio era all’epoca del Cristo quello ampliato da Erode, imponente, grandioso, una vera città, che ospitava, in modo concentrico attività che gravitavano attorno a cortili, ognuno con diverse limitazioni accesso, sicché il più esterno era la corte dei gentili, accessibile a tutti. All’interno era il cortile delle donne e dall’interno di questo si accedeva al cortile dei sacerdoti e quindi al Tempio vero e proprio. E’ plausibile che i cambiavalute ed i venditori di colombe si trovassero nella corte dei gentili e quindi sicuramente fuori dall’edificio del Tempio. E’ da pensare allora che la cacciata, cui fanno cenno i Vangeli, vada intesa come effettuata più in relazione al suo senso simbolico, come invito cioè a tornare a vivere più intimamente la religiosità, che non in senso letterale, come incompatibilità di queste attività di vendita con quelle religiose che si svolgevano all’interno del Tempio .


Haftarà di Behukotai
Secondo il rito italiano
(Ez.34,1-34,15)

O pastori d’Israele, che avete fatto pascolare voi stessi ! Ma non sono le pecore che i pastori dovrebbero portare al pascolo? Voi invece mangiate il grasso, vi vestite della lana, scannate i più grassi, e non conducete al pascolo il gregge. Voi non avete dato forza alle pecore deboli, non avete curato quelle malate, non avete fasciato quelle ferite, non avete ricondotto al gregge quelle che se ne erano allontanate, non avete ricercato le smarrite, ma avete dominato su di loro con violenza e con durezza. E così esse si sono disperse per mancanza di pastore, sono state date in pasto alle belve, e si sono disperse.


Secondo i riti spagnolo e tedesco, vale l’Haftarà di Behar Sinài secondo il rito italiano.

Behar Sinài

(Le.25,1-26,1)

Behar Sinài, sul monte Sinai,è la parashà che contiene precetti fondamentali di carattere sociale, in particolar modo riguardanti la terra, il lavoro ed il prestito.

Ecco essenzialmente il contenuto di questi precetti:

1) Il lavoro della terra dovrà avvenire seguendo un ciclo che preveda un anno di riposo dopo sei anni di produzione. Un totale quindi di sette anni, come i sette giorni della creazione, dove il settimo giorno è quello in cui il Signore, cessò da tutta la sua opera. E allora, poiché il creato è ad immagine e somiglianza del creatore, ne consegue che il suo funzionamento debba avvenire secondo cicli simili a quelli seguiti dal suo creatore ed ecco quindi che il terreno agricolo sarà produttivo per sei anni ed al settimo anno non sarà lavorato e questo settimo anno sarà l’anno sabbatico di riposo della terra, così come il settimo giorno è il Sabato dedicato al Signore.

2) La proprietà della terra è del Signore, che l’ha concessa in uso all’uomo perché ne tragga i frutti. L’uomo potrà quindi vendere o acquistare non già la proprietà, ma l’uso della terra per un periodo di tempo che comunque si estingue nell’anno del Giubileo, cioé ogni cinquanta anni e quindi al compiersi di sette cicli di sette anni. Anche qui vediamo riproposto il numero sette: sette giorni, sette anni, sette volte sette anni. Nell’anno del Giubileo sarà proclamata la libertà nella terra per tutti gli abitanti, ciascuno pertanto tornerà al suo possesso e ciascuno alla sua famiglia. Fanno eccezione a questa normativa gli immobili urbani (nelle città cinte da mura) e gli immobili dei Leviti, in quanto ritenuti beni necessari alla dimora e non per la produzione.

3) Per quanto riguarda il lavoro nell’anno del Giubileo torneranno liberi i mercenari ebrei, che per povertà si erano venduti al loro padrone, mentre rimarranno di proprietà per sempre gli schiavi non ebrei ed i loro discendenti.

4) Per il sostegno dato ad un altro ebreo, o anche ad un forestiero o ad un avventizio, che siano presso di noi e si ritrovino in condizioni di povertà, non dovrà prendersi usura né interesse.

Si tratta dell’ossatura delle regole sociali di uno Stato nel quale la proprietà privata ha sostanziali limitazioni, mentre il godimento dei beni avviene prevalentemente con un sistema assimilato all’affidamento in concessione per un determinato periodo temporale. Il valore di mercato dei beni, che ha quindi per oggetto non la loro proprietà, ma l’uso degli stessi, siano essi terreni coltivabili o forza lavoro, non sarà ovviamente fisso, ma variabile in funzione del lasso temporale residuo di godimento. Quanto al prestito è da notare che resta libero da vincoli solamente quello fatto a stranieri non residenti.

Il Prof. Di Porto nel suo commento alla parashà rammenta come, in epoche successive e nella diaspora gli ebrei praticarono l’attività del prestito ad interesse a ciò indotti dalle regole delle società cristiane, nelle quale si trovarono a vivere, le quali vietavano ai propri fedeli l’esercizio del prestito ad interesse, ma consentivano che questa attività venisse svolta dagli ebrei.

Sterco del demonio” era l’appellativo con il quale i predicatori cristiani si riferivano al denaro, sicché tutte le attività ad esso connesse, dalla coniazione delle monete al loro impiego come risorse economiche di per sé, furono impedite ai cristiani finché ci furono gli ebrei che potevano svolgere questa attività.

Per quanto riguarda l’Italia medievale la situazione generale dal punto di vista religioso la connotava come cristiana, per lo più cattolica ma con presenze ortodosse nelle estreme regioni meridionali. Unico episodio dissonante fu la dominazione araba della Sicilia, che durò circa due secoli fino alla metà dell’XI secolo e che implicò la presenza nell’isola dell’Islam. Per gli ebrei in generale la dominazione araba risultò più tollerante, ma anche per gli arabi i traffici con il denaro era meglio che li facessero gli ebrei e non i mussulmani.

Questa specializzazione ebraica nell’attività del prestito era incentivata in modo determinante dal fatto che nei paesi cristiani andarono via via maturando limitazioni alle attività consentite agli ebrei, per cui solamente alcune attività artigianali e commerciali erano loro permesse, mentre in quasi tutti i casi non era loro consentita la proprietà di beni immobili. Ne derivava che il ricavato delle loro attività, non potendo tradursi in beni immobili, dava luogo ad una massa monetaria e quindi, come logica conseguenza, alla possibilità di svolgere attività di prestito. I capitali movimentati dagli ebrei erano ingenti ed i loro destinatari, oltre alla massa di privati cittadini, erano, per le somme più rilevanti, anche prìncipi e re, con i quali si verificò spesso anche la mancata restituzione del prestito od il suo rinnovo forzoso.

Con l’avvento della dominazione spagnola gli ebrei furono espulsi prima dalla Sicilia e poi da tutta l’Italia meridionale, mentre nel resto della penisola sopravvissero, ma non ebbero più l’esclusiva dell’attività di prestito, in quanto dapprima vennero affiancati da banchieri toscani e lombardi e poi, strani casi della vita, dalla Chiesa stessa con l’apertura dei Monti di Pietà, che erano banchi di prestito su pegno.


Haftarà di Behar Sinài
Secondo il rito italiano
(Ger.16,19-17,14)

Il cuore dell’uomo è ingannatore più di ogni altra cosa; non c’è rimedio: chi lo può conoscere? Soltanto Io, il Signore, posso investigare il cuore, esaminare l’animo, e dare quindi a ciascuno secondo la sua condotta, secondo quel che merita per le sue azioni. Chi si procura ricchezze con mezzi indegni è come la pernice che cova uova che non ha fatto; ricchezza lo abbandonerà quando sarà giunto alla metà dei suoi giorni, e infine sarà riconosciuto malvagio.

Secondo i riti spagnolo e tedesco
(Ger.32,6-32,27)

Ed io sapendo che questa era parola del Signore, acquistai il campo da Chanamel mio cugino che abita ad Anathoth, gli versai il denaro, sette sicli ed altre dieci monete d’argento, e scrissi il documento, lo firmai, feci scegliere dei testimoni, pesai il denaro nelle bilance, presi il documento d’acquisto, quello sigillato, quello che contiene le condizioni della vendita e quello aperto e poi consegnai il documento di acquisto a Baruch figlio di Nerijà figlio di Machsejà alla presenza di mio cugino Chanamel, dei testimoni che scrissero l’atto di acquisto, alla presenza di tutti i Giudei che si trovavano nel cortile della prigione …

martedì 23 aprile 2013

Emor

(Le.21,1-24,23)

I primi due capitoli della parashà trattano delle prescrizioni particolari, che i Cohanim devono osservare per l’avvicinamento al Sacro e quindi per la loro Qedushah; gli altri due delle feste, Moadim, che si celebrano nell’anno ebraico. L’ultimo capitolo, il 24, narra anche della lapidazione di un uomo, figlio di matrimonio misto, che nel corso di una rissa pronunciò e maledisse il nome divino.

1. Cohanim

Le prescrizioni particolari dettate per i Cohanim riguardano l’obbligo di evitare l’impurità dei cadaveri, alcune restrizioni coniugali e l’esclusione dai riti sacrificali per chi si trovi in stato di impurità o sia affetto da imperfezione fisica.

Queste prescrizioni hanno una triplice valenza: nei confronti del Signore, nei confronti di sé stessi, nei confronti del popolo.

Nei confronti del Signore perché, così come, nel caso dei sacrifici, si presentano al Signore le offerte di migliore qualità, siano esse prodotti agricoli o offerte animali, parimenti i Cohanim che al Signore si avvicinano devono distinguersi quanto a purità ed integrità rispetto al loro popolo. Ricordiamo al proposito l’episodio in Genesi 4 dove è scritto che “Caino portò dei frutti …”, mentre Abele portò “dei primogeniti del suo gregge e delle loro parti più grasse”. Il Signore gradì Abele e il suo presente, mentre non gradì Caino.

Nei confronti di sé stessi perché i Cohanim, nell’accostarsi al Signore, devono avere la consapevolezza della necessità di possedere questi requisiti di purità ed integrità, ritenendosi di ciò responsabili.

Nei confronti del loro popolo, al quale devono essere di esempio e di incoraggiamento per superare le difficoltà che possono incontrarsi sulla via della santità e dell’integrità. Come potrebbero altrimenti pretendersi sacrificio e dedizione da parte degli altri se chi lo pretende non mostra, lui per primo, di agire secondo queste linee direttrici?

E’ questo un tema attuale quando si pensi che ai nostri giorni i comportamenti delle persone poste alla guida delle nazioni vanno a connotare ed incidono sul prestigio e la credibilità delle nazioni stesse. Questi capi che potranno essere dissoluti, corrotti, sanguinari oppure integri, corretti, equilibrati opereranno certamente con modalità profondamente diverse, così come profondamente diverse saranno le sfere di influenza dove collocheranno i loro paesi. Di tutto ciò essi saranno responsabili.


2.Moadim

Il Signore comunica a Mosè quali siano le ricorrenze da celebrare, oltre al Sabato, che è già di per sé a Lui destinato.

Nell’anno ebraico, a partire da Pesach , si susseguono le Feste che ricordano le tappe del cammino del popolo ebraico dalla sua liberazione, al dono della Torà, celebrato dalla festa di Shavuot e poi Rosh haShanà, anniversario della creazione dell’uomo, che è il giorno in cui il Signore ci giudica per iscriverci nel libro della vita o in quello della morte, seguita da Kippur, giorno di espiazione e di perdono. Seguono infine Succot e Sheminì Azeret: la prima è la festa delle capanne o festa della gioia dell’uomo riconciliato con il Signore e gioia dell’abbondanza del raccolto; la seconda, che chiude il ciclo delle feste autunnali, fa assumere alla gioia celebrata a Succot un carattere più intimo stabilendo un rapporto esclusivo tra l’essere umano ed il Signore.

Queste scandite dai Moadim dovranno essere le tappe secondo cui si svolgerà la nostra esistenza personale, che vedrà quindi susseguirsi la liberazione dalla schiavitù, cioè dalla vita non illuminata dalla parola del Signore, seguita dalla ricezione consapevole del dono della Torà e poi dal bilancio che faremo della nostra esistenza e dal giudizio che a questa esistenza daremo, cui seguirà l’espiazione e il perdono, intimo lavacro purificatore.

A questo punto potremo celebrare la gioia per tutto ciò che abbiamo ricevuto dal Signore e lo faremo sia collettivamente a Succot, sia intimamente a Sheminì Azeret.


3.Una sola legge

La narrazione dell’episodio della lapidazione dell’uomo figlio di matrimonio misto può risultare fuorviante ove ci si soffermi sulla lettura della sola prima parte. Si narra infatti che un uomo, figlio di madre ebrea e di padre egiziano, durante una rissa pronunciò e maledisse il nome divino e perciò venne giudicato e condannato a morte per lapidazione. Se la narrazione finisse qui si potrebbe trarne l’erronea morale che i matrimoni misti siano da evitare perché i figli frutto di tali unioni offendono il Signore.

Ma non è così perché il racconto prosegue con le seguenti parole del Signore:

Chiunque maledica il suo Dio, porterà le conseguenze del suo peccato, e chi bestemmia il nome del Signore sia fatto morire, tutta la congrega lo lapiderà: sia il forestiero sia l’indigeno quando abbia bestemmiato il nome divino verrà fatto morire.

Ed ecco che dunque il senso della narrazione è completamente cambiato: il figlio dell’egiziano non viene posto su un gradino più basso, al contrario viene affermata la completa parità dei suoi diritti e doveri rispetto a quelli degli ebrei.

Israele manterrà sempre questo giudizio positivo nei riguardi degli egiziani perché, se è vero che fu schiavo in terra d’Egitto, è anche vero che la terra d’Egitto lo salvò dalla morte per fame, quando chiese rifugio per sfuggire alla grave carestia che imperversava in terra di Canaan.





Haftarà di Emor
(Ezechiele 44,15-44,31)

Mentre la parashà parla delle norme che i Sacerdoti dovranno osservare per officiare nel Santuario che è stato edificato nel deserto, nell’haftarà invece Ezechiele espone i compiti che dovranno essere osservati dai Sacerdoti che officieranno nel Santuario che verrà edificato in avvenire.

In particolare Ezechiele enuncia queste parole del Signore:

Essi dovranno insegnare al Mio popolo a distinguere tra sacro e profano e fargli conoscere la distinzione tra puro ed impuro; e quando vi saranno delle contese dovranno essi giudicare, e giudicarle secondo le Mie leggi, dovranno tener presenti le Mie leggi ed i Miei statuti relativi ai vari tempi da Me stabiliti e santificare i Miei sabati.

E il sacerdozio sarà il loro retaggio; Io sono il loro retaggio, e non darete loro possesso di terra in Israele, Io sono il loro possesso.








martedì 16 aprile 2013

Kedoshim

(Le.19,1-20,27)

Nella Parashà Kedoshim (Santi), che comprende i capitoli 19 e 20 di Vaikrà (Levitico), il Signore detta a Mosè precetti rituali, morali e di carattere sociale, la cui osservanza consente all’essere umano di conseguire la Kedushà, la Santità cioè intesa come distinzione, differenziazione dai comportamenti che sono propri degli altri popoli.

Il capitolo 19 inizia con il comando di temere il padre e la madre e, subito dopo, di osservare il Sabato. Seguono norme per il consumo dei sacrifici, per la mietitura, per la correttezza dei rapporti con il prossimo, per il godimento dei frutti della terra. Questi ultimi precetti mantengono, dopo migliaia di anni dalla loro formulazione, una chiara comprensibilità, anche nell’attualità, ed una naturale condivisione per la loro sperimentata giustezza.

Il successivo capitolo 20 enumera atti contro la morale, a partire dalla pratica in uso presso altri popoli vicini di sacrificare a Mòlech i figli, proseguendo poi con atti di magia e poi ancora con la maledizione a danno dei propri genitori. Segue poi l’enumerazione dei divieti di adulterio e di atti di natura sessuale con consanguinei, parenti, con animali o di natura omosessuale. Il capitolo per ognuno di questi delitti specifica la pena da comminare, che in quasi tutti i casi è la morte per lapidazione.

Questo capitolo 20, a causa della severità delle pene che in esso sono previste, scuote la sensibilità di noi uomini appartenenti ad una società nella quale la pena di morte è da tempo aborrita. E’ del resto consolidato il fatto che anche per i reati sessuali enumerati dal capitolo 20 non è più applicata nel mondo civile occidentale la pena di morte, mentre rimane per noi accettabile la massima severità, come il carcere a vita o al limite la sterilizzazione, solamente per i reati sessuali a danno di minori ovvero quando sia accertata la possibilità di reiterazione del reato.

Ma allora, potremmo chiederci, siamo in presenza di precetti, che sono scritti nella Torà, ma che vengono, al giorno d’oggi, disattesi, non fosse altro che per la parte relativa alla pena? A mio parere le cose non stanno affatto così.

La prima considerazione da fare, infatti, è che le pene indicate al capitolo 20 costituivano la misura massima della pena che poteva essere comminata per quel tipo di delitto, ma che l’applicazione della pena avveniva, in ogni caso, attraverso un processo d’indagine ed un giudizio, che avrebbe potuto tener conto di ogni circostanza attenuante, e quindi condure alla definizione di una pena minore.

Altra considerazione da compiere è che l’enumerazione del capitolo 20 riguarda atti contro la morale, definiti di fornicazione, messi alla stessa stregua di quelli compiuti con animali e quindi si tratta di peccati di esclusiva natura sessuale, dai quali devono invece escludersi quegli atti che, sia pure concretizzatisi sessualmente, sono stati dettati da sentimenti non contingenti verso la persona ed esorbitanti il solo carattere sessuale. A maggior ragione sarà operata questa esclusione qualora da questi atti non sia derivato nessun danno a terze persone.

Questo è il caso dei rapporti omosessuali nei cui confronti le componenti laiche e progressive dell’Ebraismo hanno una posizione sostanzialmente diversa da quella dell’ebraismo ortodosso. Mentre infatti l’ebraismo ortodosso ha assunto storicamente una posizione di condanna dell’omosessualità, in quanto si attiene in materia alla lettera di quanto espresso in Le.20,13: “E qualora un uomo si unisca con un maschio come con una donna, tutti e due avranno commesso una cosa abominevole, verranno fatti morire; sono causa dello spargimento del proprio sangue.” L’ebraismo progressivo invece tiene conto dell’evoluzione del pensiero scientifico moderno, secondo cui l’omosessualità deve considerarsi consistente nella titolarità di una sessualità propria di natura peculiare diversa sia da quella maschile, sia da quella femminile. E’ evidente che sulla base di tale assunto ad un soggetto omosessuale non può ritenersi applicabile quanto espresso nel richiamato precetto del Levitico, perché tale precetto si riferisce a persone di sesso diverso. Naturalmente analogo ragionamento deve farsi per le donne lesbiche, che devono considerarsi anch’esse titolari di una sessualità propria, diversa dalla maschile e femminile. Sussistono infine i casi delle persone bisessuali per loro naturale inclinazione, le quali analogamente possono trovare anch’esse accoglienza da parte dell’ebraismo progressivo.

Per l’argomento è comunque tuttora in corso un acceso dibattito, anche a livello internazionale, riguardante la possibilità di riconoscere, sulla base di considerazioni religiose, etiche e scientifiche, agli omosessuali ed alle lesbiche la completa parità dei diritti rispetto a quelli riconosciuti alle persone eterosessuali. L’argomento riveste aspetti di rilevante delicatezza in particolare in materia di diritto di famiglia, diritto ereditario e diritto di adozione.



Haftarà di Kedoshim
Secondo i riti italiano e spagnolo
(Ezechiele 20,1-20,20)

Il profeta rimprovera Israele per le sue disubbidienze e abominazioni, la cui riprovazione è espressa nella parashà.

Ma essi mi disubbidirono, non vollero darmi retta, non gettarono via le abbominazioni che stavano davanti ai loro occhi non abbandonarono gli idoli dell’Egitto.

E più avanti:

… ebbi pietà di loro sì da non distruggerli e non feci sterminio di loro nel deserto, ma nel deserto stesso dissi ai loro figli: ‘Non seguite l’esempio dei vostri padri, non continuate a seguire i loro costumi, non rendetevi impuri con i loro idoli. Io sono il Signore vostro D-o, seguite i Miei statuti, tenete presenti le Mie leggi ed eseguitele, santificate i Miei sabati, e siano essi segni del patto tra Me e voi, affinché teniate presente che Io sono il Signore vostro D-o.


Secondo il rito tedesco
(Amos 9,7-9,15)
L’attività profetica di Amos si svolse intorno alla metà del sec. VIII a.E.V. nel regno di Giuda in tempi di relativa tranquillità politica e di prosperità economica, ma di notevole rilassatezza dei costumi.

Il libro di Amos può ritenersi articolato in cinque parti:

1)Profezie di castigo contro vari popoli (Capitoli 1 e 2);
2)Israele ha maggiori responsabilità e D-o lo affliggerà finché non muterà condotta (Capitoli 3 e 4);
3)Terza serie di oracoli (Capitoli 5 e 6)
4)Visioni annuncianti la distruzione ormai prossima (Capitoli da 7,1 a 9,6)
5)Israele purificato godrà di un futuro felice (Capitoli da 9,7 a 15).

Pronuncia Amos la condanna per i peccati dei figli d’Israele:

Invece Io do ordine che la casa d’Israele vada errando fra tutte le genti: là sarà agitata come in un setaccio, e nessun chicco grande cadrà a terra. Morranno di spada tutti i peccatori del Mio popolo che dicono: ‘A noi non si avvicinerà, non ci verrà dinanzi la sventura.

Ma profetizza infine la futura venuta di giorni felici:

Giorni verranno, detto del Signore, in cui l’aratore sarà vicino al mietitore, il pigiatore di uva a chi sparge il seme, i monti goccioleranno di succhi di frutta, e tutte le alture si scioglieranno. E rimetterò Israele Mio popolo nella sua condizione primitiva: costruiranno città, vi abiteranno, pianteranno vigne e berranno il loro vino, faranno dei frutteti e ne godranno il prodotto. Io li collocherò stabilmente nel loro paese e non saranno più divelti dal loro paese che Io ho dato loro, dice il Signore tuo D-o.



Acharè Mot

(Le.16,1-18,30)

La parashà Acharè Mot (dopo la morte) comprende i capitoli 16, 17 e 18 di Vaikrà (Levitico) e tratta dell’espiazione delle colpe, delle modalità dei sacrifici, delle regole di purificazione, delle norme di purità sessuale e del divieto di abominio e di profanazione.

Nella parashà si rilevano, tra gli altri, due aspetti interessanti e meritevoli di riflessione e precisamente:
- la circostanza che il Signore parli di preferenza a Mosè e non ad Aronne, che pure è il fratello maggiore, anche quando si tratti di argomenti di natura religiosa;
- il capro espiatorio.


1.Il Signore non parla ad Aronne.

Il Signore parlerà quasi sempre esclusivamente a Mosè ed a lui dirà, tra l’altro, quali sono le istruzioni per suo fratello Aronne.

Aronne, che è il Gran Sacerdote, che è colui che cura il culto al Signore, che è l’unica persona che ha la facoltà di accedere al Santo dei Santi per pronunciare il nome di D-o nel giorno di Kippur, che è il capostipite dei Cohanim, dei Sacerdoti del Tempio, ebbene Aronne non avrà quasi mai la facoltà di interloquire direttamente con il Signore e tutto ciò che egli dovrà sapere gli sarà detto tramite suo fratello Mosè. Si ripete anche per lui quello che è il destino biblico dei primogeniti, destinati a restare in secondo piano nel confronto e nella preferenze del Signore rispetto ai fratelli minori.

Questa limitazione di Aronne, ed il suo costante subordine alla figura del fratello, ci inducono a chiederci se questa situazione costituisca una indicazione con valenza esorbitante lo specifico rapporto tra i due fratelli. Mosè è il condottiero carismatico del suo popolo, che esercita il ruolo di guida unica ed ispirata. Il compimento della sua missione richiede che a lui solo competano tutte le attività decisionali in materia normativa e operativa.

Ma, ci si chiede, il messaggio biblico si riferisce esclusivamente a Mosè ed Aronne, oppure ha una valenza più generale? In altre parole il messaggio biblico può voler dire che per il conseguimento di un obiettivo di un popolo è necessario che il potere religioso sia subordinato al potere politico? Siamo evidentemente su una linea di confine molto delicata e su una materia dove peraltro la storia ha fornito tragici ammaestramenti.

La risposta potrebbe essere si, ma solo se il condottiero è Mosè. E’ però una risposta che non ci cautela abbastanza perché la storia è stata piena di tragici condottieri, convinti di essere, come Mosè, guidati da D-o e che hanno condotto invece l’umanità a lutti, distruzione e barbarie.
Direi a questo punto che il subordine ordinamentale debba esserci, ma che le voci subordinate debbano mantenere la possibilità di esprimere dissenso e di fermare il condottiero quando egli perda il consenso prevalente, e questo pure potrebbe non bastare.


2. Il capro espiatorio.

Secondo l’accezione corrente si intende per capro espiatorio una persona alla quale viene assegnata la colpa di atti commessi da altre persone. Al capro espiatorio verrà quindi comminata la pena per gli atti commessi da altri ed egli la espierà, mentre gli altri, i veri responsabili, resteranno indenni da imputazioni di colpa e da espiazioni di pena.

La ricerca del capro espiatorio è azione conseguente alla decisione di non assumere la responsabilità di un atto non consentito, di un reato, evidentemente per sottrarsi alla punizione.
Se in una classe la maestra entra e chiede chi ha rotto un vetro, tutti plausibilmente taceranno, ma, se nella classe c’è un “diverso”, potrà avvenire che i suoi compagni dicano “è stato lui!” dando così vita al loro capro espiatorio.

Ebbene il capro espiatorio che, secondo la parashà, veniva caricato di tutti i peccati e mandato ad Azazel non è esattamente questo. La responsabilità rimane sempre in capo a chi ha commesso l’azione da punire e sua sarà la colpa ed egli dovrà espiarla, ma, ad di là della loro espiazione, le colpe commesse costituiscono delle macchie per la comunità, i fatti commessi è come se fossero oggetti, che sia pure espiati, rimangono lì, visibili nell’immagine e nel ricordo di atti negativi di peccati. La comunità desidera allontanare da sé questi oggetti, cioè la fattispecie di questi peccati e desidera che essi non si ripresentino più e perciò li carica sul capro, che era un capro e non una persona, per rimandarli, fuori dalla comunità, ad Azazel, il luogo del male.



Haftarà di Acharè Mot
(Ezechiele 22,1-22,16)

Il profeta Ezechiele esercitò il suo ministero tra il 593 e il 571 a.E.V. a Tel Aviv, in Babilonia, dove viveva una numerosa comunità di ebrei deportati.

Il libro di Ezechiele può ritenersi articolato in quattro parti:

1)Profezie anteriori alla distruzione di Gerusalemme (capitoli da 1 a 24);
2)Profezie contro vari popoli (capitoli da 25 a 32);
3)Profezie sulla rinascita di Israele (capitoli da 33 a 39);
4)Il Tempio futuro, la città di Gerusalemme e disposizioni varie (capitoli da 40 a 48).

In questa haftarà il profeta rimprovera Israele per aver commesso gli atti immorali, la cui proibizione è espressa dalla parashà.

Ti disperderò fra i popoli, ti spargerò nei vari paesi, e così farò cessare la tua impurità. Sarai profanata agli occhi delle nazioni per causa tua, e riconoscerai che Io sono il Signore.

martedì 9 aprile 2013

Tazria – Metzorà

(Le.12,1-13,59; Le.14,1-15,33)

Queste due parashot trattano degli stati di impurità, delle procedure per riacquisire la purità perduta ed infine dei sacrifici da presentare al Signore per celebrare questa riacquisizione. Le impurità possono riguardare la persona o la casa, o gli abiti, oppure ancora gli oggetti. Le impurità riguardanti la persona, che qui sono trattate, consistono sia nelle alterazioni della pelle per malattie ritenute contagiose, sia nella emissione fisiologica di liquidi, come il sangue mestruale o il seme maschile.
I motivi per i quali le suddette circostanze implicano lo stato di impurità appaiono bene espressi nei seguenti passi tratti dal libro “Cammina davanti a me” di Rav Haim F. Cipriani:

La purezza è intesa come uno stato in cui la focalizzazione sulla sacralità dell’esistenza è indisturbata, l’impurità invece è come un profondo disorientamento, che può essere causato da molti elementi.

E più avanti:

Il rito costituisce una sorta di accompagnamento in questa continua necessità di riavvicinamento e di ricomposizione di un’armonia interiore perduta. Chiaramente questo criterio non dovrebbe essere applicato solo a manifestazioni fisiche, ma anche ai segni di un disagio interiore.

E ancora, per quanto riguarda i flussi e le emissioni fisiologiche:

Nella ricerca dell’ordine, interiore ed esteriore, che distingue l’esigenza di purezza del Levitico, quando una sostanza che di norma è contenuta all’interno del corpo viene espulsa, come nel caso del sangue o del seme, vi è un disagio che richiede un momento di riflessione e un atto di reintegrazione nella normalità, di solito un bagno rituale, il mikvè.

Interessante è anche quanto Rav Cipriani esprime a proposito della possibilità per la donna di accostarsi al culto anche in periodo mestruale:

Va anche ricordato però che, contrariamente a quanto fatto credere da fonti ebraiche poco informate o con intenzioni discutibili, essere in questo tipo di condizione fisica particolare, cioè di perdite di sangue, mestruale o altro, in nessun caso è di ostacolo al contatto fisico né con le persone, né con oggetti rituali come, per esempio, il Sefer Torà o i Tefillìn.

E più avanti chiarisce:

Così sottolinea il Rambam: ’Le parole della Torà non possono essere rese impure, ma mantengono perennemente il loro stato di purezza’. E così scrive Yossef Karo nello Schulchan Aruch: ‘Tutti gli impuri, anche le donne mestruate, possono tenere in mano un rotolo della Torà e leggerlo’.

Rav Hillel E. Silverman, rabbino emerito della sinagoga conservative Temple Sholom di Greenwich, segnala una connessione tra la parola “lebbroso” (un lebbroso) e l'espressione “motzi Sem ra” (un calunniatore), spiegando che il pettegolezzo e la calunnia sono simboli di lebbra morale. Come il lebbroso, il calunniatore deve essere ostracizzato. "E' immondo, se ne starà solo, fuori dall'accampamento ...." (Lev. 13:46; Talmud, Shabbat 77a, 95b).

Il libro del Levitico contiene questa ingiunzione: "Tu non devi andare su e giù come un racconto diffuso fra il tuo popolo". Rashi, il commentatore medievale, collega la parola ebraica “rachel” (maldicente) con la parola”rochel” (commerciante o venditore ambulante). La lingua di un calunniatore è simile a un mercante itinerante, che andando di villaggio in villaggio diffonde i suoi racconti.

Il Giudaismo considera calunnie e maldicenze come peccati capitali. I rabbini del Talmud ci dicono che quando si calunnia un altro essere umano, egli viene letteralmente ucciso, in quanto privandolo del suo buon nome, è come se lo privassimo della sua vita. Innumerevoli sono gli ammonimenti nella letteratura ebraica che si riferiscono a pettegolezzi e calunnie. Leggiamo nel libro dei Proverbi: "La vita e la morte sono nel potere della lingua." Il Midrash ci informa: "La calunnia è un grave peccato di idolatria." Il Talmud dichiara: "Dio accetta la penitenza per tutti i peccati del mondo, tranne uno, la trasgressione della mala lingua".

C'è una differenza tra il pettegolezzo e la calunnia. Il pettegolezzo può essere vero; la calunnia è sempre falsa. Ma entrambi sono malvagi. La verità può ferire l'uomo tanto quanto lo può una falsità. Pertanto, l'ebraismo insegna che è vietato dire anche una verità se questa può provocare ferite un altro essere umano.

Un racconto chassidico racconta di un uomo che, commesso il peccato di calunnia, non aveva trovato pace fino a quando non si era scusato con l'uomo cui aveva fatto il torto. Temendo di poter nuovamente commettere calunnia, andò dal suo rabbino, confessò le sue colpe e chiese come poteva impedire a sè stesso di commettere mai più un tale peccato. Il rabbino gli disse di portare un sacco di piume per il paese e mettere una piuma su ogni porta di tutte le case. L 'uomo eseguì quanto il rabbino gli aveva detto e poi tornò da lui. Allora il rabbino gli disse: "Ora torna con il sacco vuoto e raccogliere ogni singola piuma che hai messo su quelle porte." Poche ore dopo, l'uomo tornò.
"E 'impossibile", disse al rabbino. “Non sono riuscito a trovare una sola piuma. Il vento le ha spazzate via tutte."
"Le parole sono come piume", gli disse il rabbino. "Le parole malvagie vengono facilmente pronunciate, ma, una volta che lasciano la bocca, non potranno essere mai più recuperate."

Tre volte al giorno il pio Ebreo conclude le sue preghiere di devozione silenziosa con queste parole: "O Signore, custodisci la mia lingua dal male e le mie labbra da parole malvagie e per coloro che mi calunniano, fa’ sì che io non vi faccia alcuna attenzione Possa la mia anima essere.. umile e perdonare a tutti ».


Haftarà di Tzaria
(estratto da 2Re 4,42-5,19)

“ Na’aman, generale del re di Aram, era un uomo di grande importanza davanti al suo signore, e molto onorato perché per suo mezzo il Signore aveva dato vittoria ad Aram; quest’uomo era valoroso ed affetto da tzaraat.”

“Allora si avvicinarono a lui i suoi servi e gli dissero: ‘Padre mio, se il profeta ti avesse detto di fare qualcosa di grande difficoltà, certo l’avresti fatta; tanto più ora che ti ha detto: - Lavati e diventerai puro.
Allora scese al Giordano, vi si immerse sette volte conformemente alla parola dell’uomo di D-o, ed il suo corpo diventò come il corpo di un piccolo fanciullo, ed egli divenne puro.”



Haftarà di Metzorà
(estratto da 2Re 7,1-13,23)

“Quattro uomini malati di tza’arat, che si trovavano all’ingresso della porta, si dissero l’un l’altro: - Che cosa stiamo a fare noi qui fino a che morremo? Se decideremo di entrare nella città, in cui vi è la fame, morremo là, e se resteremo qui morremo. Andiamo dunque a consegnarci al campo degli Aramei, se ci lasceranno in vita, vivremo, e se ci metteranno a morte, morremo.
Si alzarono dunque prima del crepuscolo per andare al campo degli Aramei e, giunti all’estremità di questo campo,, constatarono che non c’era nessuno.”

“Giunti questi malati di tza’arat all’estremità del campo, entrarono in una tenda, mangiarono, bevvero e ne presero argento, oro, vestiti, poi sene andarono, nascosero quello che avevano preso, quindi entrarono in un’altra tenda, ne presero quel che trovarono, se ne andarono e nascosero il tutto. Poi si dissero l’un l’altro: - Non è bene quel che facciamo. Oggi è un giorno di buona notizia: se noi non parliamo e spettiamo la luce della mattina, siamo colpevoli. Andiamo dunque a riferire la cosa nella casa del re.”



martedì 2 aprile 2013

Sheminì

(Le.9,1-11,47)

Sheminì significa ottavo, siamo infatti nell’ottavo giorno dopo i sette giorni nei quali si sono svolte le cerimonie di iniziazione del Santuario. In questo giorno solenne la gloria del Signore appare a tutto il popolo al termine dei sacrifici che i Sacerdoti ed il popolo hanno presentato come offerte di chattat, di olocausto e di shelamin oltre l’offerta farinacea intrisa d’olio. Tutto è avvenuto in precisa adesione al complesso rituale che il Signore ha dettato a Mosè.

Mentre il fuoco con il quale il Signore si è manifestato divora le offerte sull’altare dell’olocausto un avvenimento terribile funesta la cerimonia: due dei figli di Aron, Nadav e Avihù, commettono un errore per eccesso di zelo accostandosi all’altare ognuno con un incensiere recante un fuoco non richiesto. Una vampata di fiamme si sprigiona improvvisa dal fuoco del Signore e li avvolge uccidendoli sotto gli occhi del padre Aron, di Mosè e del popolo. Aron non avrà la possibilità di esternare il suo immenso dolore per non interrompere l’esercizio della sua funzione sacerdotale.

L’episodio ci lascia sgomenti perché per la nostra sensibilità, abituata al giorno d’oggi ad assistere a trasgressioni ben più eclatanti in tutti i campi del vivere civile, la mancanza commessa da Nadav e Avihù, commessa senza intenzione né consapevolezza, appare tutto sommato veniale. Tanto più questa punizione ci appare, a prima vista, sproporzionata se paragoniamo la mancanza commessa con quella che il loro padre Aron commise in occasione dell’episodio del vitello d’oro. In quell’occasione Aron, che aveva accondisceso alla richiesta del popolo di fabbricare l’idolo e ne aveva curato la costruzione, non subì alcuna punizione quando Mosè, tornato dal monte, ordinò ai leviti di uccidere quanti avevano partecipato all’adorazione del vitello. Come si spiega la severità della punizione inflitta ai due figli di Aron? Alla spiegazione si può pervenire attraverso due diverse argomentazioni. La prima è quella esplicata in nota da Rav Dario Disegni che testualmente dice:

In che cosa consista la colpa dei figli di Aron non è chiaramente spiegato nel testo e varie sono le interpretazioni: secondo alcuni essi avrebbero portato del fuoco per ardere l’incenso senza attendere il fuoco celeste atteso per quel giorno; secondo altri avrebbero voluto offrire dell’incenso senza che la cosa fosse stata ordinata; secondo altri ancora, sarebbero entrati nel Santissimo.

La severità della punizione per questa mancanza è poi così motivata dalla nota successiva:

Il significato della frase è il seguente: quanto più uno è elevato, più deve sottoporsi alla disciplina; per questo pur trattandosi di una colpa non gravissima in sé, i peccatori sono stati puniti così severamente.

Ma una seconda argomentazione può trarsi sulla base di quanto detto in Esodo 20,5:

Non ti prostrare loro e non adorarli poiché Io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso che punisce il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione per coloro che Mi odiano. E che uso bontà fino alla millesima generazione per coloro che Mi amano e che osservano i miei precetti.

Anche se Rav Dario Disegni in una nota riferita a questo passo afferma che gli atti sono personali e che quindi la punizione per gli atti commessi dal padre non può ricadere sui figli, resta tuttavia il fatto che questa affermazione è scritta nel citato passo della Torà. Ora non vi è ombra di dubbio che la morte dei due figli e il modo e le circostanze dell’avvenimento abbiano causato al loro padre Aron un dolore visceralmente profondo e che quindi, se si deve parlare di punizione, mentre la punizione per i due figli si manifesta e si spegne nell'arco temporale di una fiammata, la punizione per Aron è invece il dolore che lo accompagnerà per tutta la vita.

Peraltro Mosè si accorge che anche gli altri due figli di Aron, El’azar e Ithamar, hanno commesso gravi errori nel compiere i sacrifici e li rimprovera aspramente. Aron interviene con parole dalle quali traspare, sia il suo dolore di padre per i due figli perduti, sia la trepidazione per gli altri due rimastigli, che riesce a salvare giustificandoli.

Il capitolo 11, conclusivo della parashà, tratta delle regole alimentari ed individua gli animali dei quali è consentito nutrirsi. Gli animali terrestri consentiti sono i quadrupedi ruminanti con lo zoccolo spaccato; tra i pesci saranno consentiti quelli con pinne e squame; tra i volatili, poiché la descrizione biblica dava luogo a dubbi interpretativi, è seguita la definizione operata dal Talmud in base alla quale Rav Dario Disegni così sintetizza:

In pratica si usa cibarsi solo dei gallinacei (con esclusione in molti luoghi della gallina faraona), dei piccioni, delle tortore, delle oche, delle anatre, delle quaglie e di poche altre specie.


Haftarà di Sheminì
(estratto da 2 Sam.6,1-7,17)

“ … Essi caricarono l’Arca di D-o su di un carro nuovo e la portarono via dalla casa di Avinadav … Quando furono giunti all’aia di Nachon, Uzzà tese il suo braccio verso l’Arca di D-o e l’afferrò perché i buoi avevano deviato. Il Signore si accese d’ira contro Uzzà, e lo colpì là per sua colpa; egli morì presso l’arca di D-o.”

“Quando l’Arca del Signore entrava nella città di David, Michal, figlia di Saul, guardando dalla finestra vide che il re David danzava e saltava davanti al Signore, e per questo lo disprezzò dentro di sé.”

“E incontro a David, che stava ritornando a casa per benedire la sua famiglia, si fece Michal, figlia di Saul e gli disse: - In modo veramente decoroso si mostrò oggi il re d’Israele, davanti alla schiave dei suoi schiavi, mostrandosi come si mostrerebbe un uomo dappoco!
David rispose a Michal: - Davanti al Signore che ha preferito me a tuo padre ed a tutta la tua famiglia, comandandomi di essere principe sul popolo del Signore e su Israele, davanti al Signore ho dato segni di letizia. Ed io voglio umiliarmi ancora di più, e considerarmi basso, ma con le schiave che hai detto, con loro mi mostrerò degno di rispetto.
E Michal figlia di Saul non ebbe figli fino al giorno della sua morte.”

“Così ha detto il Signore Tsevaoth: Io ti ho preso dai pascoli dove tu andavi dietro alle pecore, perché tu fossi principe del Mio popolo Israele. … Io stabilirò dopo di te la tua discendenza, uno che sarà uscito dalle tue viscere e renderò stabile il tuo regno. Egli costruirà una casa consacrata al Mio nome,ed Io renderò stabile per sempre il suo trono.”