martedì 2 aprile 2013

Sheminì

(Le.9,1-11,47)

Sheminì significa ottavo, siamo infatti nell’ottavo giorno dopo i sette giorni nei quali si sono svolte le cerimonie di iniziazione del Santuario. In questo giorno solenne la gloria del Signore appare a tutto il popolo al termine dei sacrifici che i Sacerdoti ed il popolo hanno presentato come offerte di chattat, di olocausto e di shelamin oltre l’offerta farinacea intrisa d’olio. Tutto è avvenuto in precisa adesione al complesso rituale che il Signore ha dettato a Mosè.

Mentre il fuoco con il quale il Signore si è manifestato divora le offerte sull’altare dell’olocausto un avvenimento terribile funesta la cerimonia: due dei figli di Aron, Nadav e Avihù, commettono un errore per eccesso di zelo accostandosi all’altare ognuno con un incensiere recante un fuoco non richiesto. Una vampata di fiamme si sprigiona improvvisa dal fuoco del Signore e li avvolge uccidendoli sotto gli occhi del padre Aron, di Mosè e del popolo. Aron non avrà la possibilità di esternare il suo immenso dolore per non interrompere l’esercizio della sua funzione sacerdotale.

L’episodio ci lascia sgomenti perché per la nostra sensibilità, abituata al giorno d’oggi ad assistere a trasgressioni ben più eclatanti in tutti i campi del vivere civile, la mancanza commessa da Nadav e Avihù, commessa senza intenzione né consapevolezza, appare tutto sommato veniale. Tanto più questa punizione ci appare, a prima vista, sproporzionata se paragoniamo la mancanza commessa con quella che il loro padre Aron commise in occasione dell’episodio del vitello d’oro. In quell’occasione Aron, che aveva accondisceso alla richiesta del popolo di fabbricare l’idolo e ne aveva curato la costruzione, non subì alcuna punizione quando Mosè, tornato dal monte, ordinò ai leviti di uccidere quanti avevano partecipato all’adorazione del vitello. Come si spiega la severità della punizione inflitta ai due figli di Aron? Alla spiegazione si può pervenire attraverso due diverse argomentazioni. La prima è quella esplicata in nota da Rav Dario Disegni che testualmente dice:

In che cosa consista la colpa dei figli di Aron non è chiaramente spiegato nel testo e varie sono le interpretazioni: secondo alcuni essi avrebbero portato del fuoco per ardere l’incenso senza attendere il fuoco celeste atteso per quel giorno; secondo altri avrebbero voluto offrire dell’incenso senza che la cosa fosse stata ordinata; secondo altri ancora, sarebbero entrati nel Santissimo.

La severità della punizione per questa mancanza è poi così motivata dalla nota successiva:

Il significato della frase è il seguente: quanto più uno è elevato, più deve sottoporsi alla disciplina; per questo pur trattandosi di una colpa non gravissima in sé, i peccatori sono stati puniti così severamente.

Ma una seconda argomentazione può trarsi sulla base di quanto detto in Esodo 20,5:

Non ti prostrare loro e non adorarli poiché Io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso che punisce il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione per coloro che Mi odiano. E che uso bontà fino alla millesima generazione per coloro che Mi amano e che osservano i miei precetti.

Anche se Rav Dario Disegni in una nota riferita a questo passo afferma che gli atti sono personali e che quindi la punizione per gli atti commessi dal padre non può ricadere sui figli, resta tuttavia il fatto che questa affermazione è scritta nel citato passo della Torà. Ora non vi è ombra di dubbio che la morte dei due figli e il modo e le circostanze dell’avvenimento abbiano causato al loro padre Aron un dolore visceralmente profondo e che quindi, se si deve parlare di punizione, mentre la punizione per i due figli si manifesta e si spegne nell'arco temporale di una fiammata, la punizione per Aron è invece il dolore che lo accompagnerà per tutta la vita.

Peraltro Mosè si accorge che anche gli altri due figli di Aron, El’azar e Ithamar, hanno commesso gravi errori nel compiere i sacrifici e li rimprovera aspramente. Aron interviene con parole dalle quali traspare, sia il suo dolore di padre per i due figli perduti, sia la trepidazione per gli altri due rimastigli, che riesce a salvare giustificandoli.

Il capitolo 11, conclusivo della parashà, tratta delle regole alimentari ed individua gli animali dei quali è consentito nutrirsi. Gli animali terrestri consentiti sono i quadrupedi ruminanti con lo zoccolo spaccato; tra i pesci saranno consentiti quelli con pinne e squame; tra i volatili, poiché la descrizione biblica dava luogo a dubbi interpretativi, è seguita la definizione operata dal Talmud in base alla quale Rav Dario Disegni così sintetizza:

In pratica si usa cibarsi solo dei gallinacei (con esclusione in molti luoghi della gallina faraona), dei piccioni, delle tortore, delle oche, delle anatre, delle quaglie e di poche altre specie.


Haftarà di Sheminì
(estratto da 2 Sam.6,1-7,17)

“ … Essi caricarono l’Arca di D-o su di un carro nuovo e la portarono via dalla casa di Avinadav … Quando furono giunti all’aia di Nachon, Uzzà tese il suo braccio verso l’Arca di D-o e l’afferrò perché i buoi avevano deviato. Il Signore si accese d’ira contro Uzzà, e lo colpì là per sua colpa; egli morì presso l’arca di D-o.”

“Quando l’Arca del Signore entrava nella città di David, Michal, figlia di Saul, guardando dalla finestra vide che il re David danzava e saltava davanti al Signore, e per questo lo disprezzò dentro di sé.”

“E incontro a David, che stava ritornando a casa per benedire la sua famiglia, si fece Michal, figlia di Saul e gli disse: - In modo veramente decoroso si mostrò oggi il re d’Israele, davanti alla schiave dei suoi schiavi, mostrandosi come si mostrerebbe un uomo dappoco!
David rispose a Michal: - Davanti al Signore che ha preferito me a tuo padre ed a tutta la tua famiglia, comandandomi di essere principe sul popolo del Signore e su Israele, davanti al Signore ho dato segni di letizia. Ed io voglio umiliarmi ancora di più, e considerarmi basso, ma con le schiave che hai detto, con loro mi mostrerò degno di rispetto.
E Michal figlia di Saul non ebbe figli fino al giorno della sua morte.”

“Così ha detto il Signore Tsevaoth: Io ti ho preso dai pascoli dove tu andavi dietro alle pecore, perché tu fossi principe del Mio popolo Israele. … Io stabilirò dopo di te la tua discendenza, uno che sarà uscito dalle tue viscere e renderò stabile il tuo regno. Egli costruirà una casa consacrata al Mio nome,ed Io renderò stabile per sempre il suo trono.”

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