(Le.26,3-27,34)
La Parashà conclude il libro del Levitico e, al capitolo 26, riferendosi alle leggi ed ai precetti impartiti al popolo ebraico, esprime con una prosa reiterativa ed incalzante, da un lato la protezione ed i compensi che il Signore metterà in atto nel caso di osservanza e , dall’altro invece, le terribili punizioni comminate per la trasgressione con una severità che sarà commisurata alla persistenza nell’errore. Le promesse e le ammonizioni che ritroveremo in Deuteronomio 11, 13-21 costituiscono la seconda parte dello Shemà.
Spesso nella vita di tutti i giorni si può avere l’impressione che compensi e punizioni non siano attribuiti in relazione ai meriti o alle colpe e ciò può dare luogo ad un senso di smarrimento. L’ebreo può superare ogni stato di palese ingiustizia con il mantenimento della fiducia nel Signore e la consapevolezza che, seppure a lui sfugga il senso degli avvenimenti, ai quali si trova a dover soggiacere, questi fanno parte però di un disegno più ampio dove la giustizia arriverà, non importa quando, ma arriverà.
Il successivo capitolo 27 tratta delle donazioni al Santuario, le quali potevano consistere in beni mobili, immobili, animali e anche persone. Tutte le donazioni venivano valutate in sicli del Santuario ed era possibile per l’offerente il riscatto del bene offerto in dono, mediante il versamento di una somma pari al valore di stima aumentato di un quinto. Queste donazioni potevano essere effettuate liberamente in scioglimento di voti espressi dagli interessati verso il Signore. Donazione d’obbligo era invece quella del mezzo siclo del santuario che riguardava in ugual misura i primogeniti, qualunque fosse il censo familiare, e che in tal modo venivano riscattati dal loro status di offerta esclusiva al Signore.
E’ utile soffermarsi su tutte queste attività di stima delle offerte e di riscatto da pagarsi con una moneta non di uso commerciale corrente, ma di uso circoscritto al Santuario, per comprenderne la dimensione e le implicazioni economiche.
Il fatto che le stime venissero effettuate in sicli del Santuario ha una duplice ragione:
- il siclo del Santuario ha un valore fisso, dato dal suo contenuto di circa 14 grammi di argento, mentre le monete correnti potevano avere un valore nominale non corrispondente a quello intrinseco, in ragione delle vicende economico-finanziarie dello Stato che batteva moneta;
- non potevano avere accesso al Santuario monete recanti l’effigie di re o imperatori, in quanto ritenute per questo motivo impure.
La necessità di cambiare la moneta dava luogo nei periodi di maggiore affluenza, che erano quelli delle Feste di pellegrinaggio, al proliferare dei cambiavalute, per un fenomeno ritengo simile al’odiernol bagarinaggio per i biglietti da stadio.
Stessa cosa per gli animali, che chi veniva dalle località più lontane poteva più comodamente acquistare sul posto, in moneta locale, per poi riscattarli, se avesse voluto, in sicli del santuario per poi rivendere, qualora ne avesse avuto necessità, ancora in moneta locale.
Insomma è pensabile che in occasione delle feste di pellegrinaggio si sviluppasse attorno al Santuario un fervore di attività commerciali.
E’ da notare anche che tutte queste offerte destinate al sostentamento del Santuario davano luogo ognuna a diverse voci di provento. Nel caso dell’offerta di un animale infatti, questo veniva valutato in sicli del Santuario e, qualora si intendesse riscattarlo occorreva pagare il prezzo di stima maggiorato di un quinto e, per far questo, era necessario procurarsi la moneta del Santuario pagando il relativo aggio di cambio.
Queste attività dei “cambiavalute” e dei “venditori di colombe” sono quelle condannate nei Vangeli cattolici perché vennero ritenute una profanazione del Tempio, all’interno del quale si sarebbero svolte. Ma anche qui è opportuno un chiarimento. Il Tempio era all’epoca del Cristo quello ampliato da Erode, imponente, grandioso, una vera città, che ospitava, in modo concentrico attività che gravitavano attorno a cortili, ognuno con diverse limitazioni accesso, sicché il più esterno era la corte dei gentili, accessibile a tutti. All’interno era il cortile delle donne e dall’interno di questo si accedeva al cortile dei sacerdoti e quindi al Tempio vero e proprio. E’ plausibile che i cambiavalute ed i venditori di colombe si trovassero nella corte dei gentili e quindi sicuramente fuori dall’edificio del Tempio. E’ da pensare allora che la cacciata, cui fanno cenno i Vangeli, vada intesa come effettuata più in relazione al suo senso simbolico, come invito cioè a tornare a vivere più intimamente la religiosità, che non in senso letterale, come incompatibilità di queste attività di vendita con quelle religiose che si svolgevano all’interno del Tempio .
Haftarà di Behukotai
Secondo il rito italiano
(Ez.34,1-34,15)
“O pastori d’Israele, che avete fatto pascolare voi stessi ! Ma non sono le pecore che i pastori dovrebbero portare al pascolo? Voi invece mangiate il grasso, vi vestite della lana, scannate i più grassi, e non conducete al pascolo il gregge. Voi non avete dato forza alle pecore deboli, non avete curato quelle malate, non avete fasciato quelle ferite, non avete ricondotto al gregge quelle che se ne erano allontanate, non avete ricercato le smarrite, ma avete dominato su di loro con violenza e con durezza. E così esse si sono disperse per mancanza di pastore, sono state date in pasto alle belve, e si sono disperse.”
Secondo i riti spagnolo e tedesco, vale l’Haftarà di Behar Sinài secondo il rito italiano.
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