martedì 9 aprile 2013

Tazria – Metzorà

(Le.12,1-13,59; Le.14,1-15,33)

Queste due parashot trattano degli stati di impurità, delle procedure per riacquisire la purità perduta ed infine dei sacrifici da presentare al Signore per celebrare questa riacquisizione. Le impurità possono riguardare la persona o la casa, o gli abiti, oppure ancora gli oggetti. Le impurità riguardanti la persona, che qui sono trattate, consistono sia nelle alterazioni della pelle per malattie ritenute contagiose, sia nella emissione fisiologica di liquidi, come il sangue mestruale o il seme maschile.
I motivi per i quali le suddette circostanze implicano lo stato di impurità appaiono bene espressi nei seguenti passi tratti dal libro “Cammina davanti a me” di Rav Haim F. Cipriani:

La purezza è intesa come uno stato in cui la focalizzazione sulla sacralità dell’esistenza è indisturbata, l’impurità invece è come un profondo disorientamento, che può essere causato da molti elementi.

E più avanti:

Il rito costituisce una sorta di accompagnamento in questa continua necessità di riavvicinamento e di ricomposizione di un’armonia interiore perduta. Chiaramente questo criterio non dovrebbe essere applicato solo a manifestazioni fisiche, ma anche ai segni di un disagio interiore.

E ancora, per quanto riguarda i flussi e le emissioni fisiologiche:

Nella ricerca dell’ordine, interiore ed esteriore, che distingue l’esigenza di purezza del Levitico, quando una sostanza che di norma è contenuta all’interno del corpo viene espulsa, come nel caso del sangue o del seme, vi è un disagio che richiede un momento di riflessione e un atto di reintegrazione nella normalità, di solito un bagno rituale, il mikvè.

Interessante è anche quanto Rav Cipriani esprime a proposito della possibilità per la donna di accostarsi al culto anche in periodo mestruale:

Va anche ricordato però che, contrariamente a quanto fatto credere da fonti ebraiche poco informate o con intenzioni discutibili, essere in questo tipo di condizione fisica particolare, cioè di perdite di sangue, mestruale o altro, in nessun caso è di ostacolo al contatto fisico né con le persone, né con oggetti rituali come, per esempio, il Sefer Torà o i Tefillìn.

E più avanti chiarisce:

Così sottolinea il Rambam: ’Le parole della Torà non possono essere rese impure, ma mantengono perennemente il loro stato di purezza’. E così scrive Yossef Karo nello Schulchan Aruch: ‘Tutti gli impuri, anche le donne mestruate, possono tenere in mano un rotolo della Torà e leggerlo’.

Rav Hillel E. Silverman, rabbino emerito della sinagoga conservative Temple Sholom di Greenwich, segnala una connessione tra la parola “lebbroso” (un lebbroso) e l'espressione “motzi Sem ra” (un calunniatore), spiegando che il pettegolezzo e la calunnia sono simboli di lebbra morale. Come il lebbroso, il calunniatore deve essere ostracizzato. "E' immondo, se ne starà solo, fuori dall'accampamento ...." (Lev. 13:46; Talmud, Shabbat 77a, 95b).

Il libro del Levitico contiene questa ingiunzione: "Tu non devi andare su e giù come un racconto diffuso fra il tuo popolo". Rashi, il commentatore medievale, collega la parola ebraica “rachel” (maldicente) con la parola”rochel” (commerciante o venditore ambulante). La lingua di un calunniatore è simile a un mercante itinerante, che andando di villaggio in villaggio diffonde i suoi racconti.

Il Giudaismo considera calunnie e maldicenze come peccati capitali. I rabbini del Talmud ci dicono che quando si calunnia un altro essere umano, egli viene letteralmente ucciso, in quanto privandolo del suo buon nome, è come se lo privassimo della sua vita. Innumerevoli sono gli ammonimenti nella letteratura ebraica che si riferiscono a pettegolezzi e calunnie. Leggiamo nel libro dei Proverbi: "La vita e la morte sono nel potere della lingua." Il Midrash ci informa: "La calunnia è un grave peccato di idolatria." Il Talmud dichiara: "Dio accetta la penitenza per tutti i peccati del mondo, tranne uno, la trasgressione della mala lingua".

C'è una differenza tra il pettegolezzo e la calunnia. Il pettegolezzo può essere vero; la calunnia è sempre falsa. Ma entrambi sono malvagi. La verità può ferire l'uomo tanto quanto lo può una falsità. Pertanto, l'ebraismo insegna che è vietato dire anche una verità se questa può provocare ferite un altro essere umano.

Un racconto chassidico racconta di un uomo che, commesso il peccato di calunnia, non aveva trovato pace fino a quando non si era scusato con l'uomo cui aveva fatto il torto. Temendo di poter nuovamente commettere calunnia, andò dal suo rabbino, confessò le sue colpe e chiese come poteva impedire a sè stesso di commettere mai più un tale peccato. Il rabbino gli disse di portare un sacco di piume per il paese e mettere una piuma su ogni porta di tutte le case. L 'uomo eseguì quanto il rabbino gli aveva detto e poi tornò da lui. Allora il rabbino gli disse: "Ora torna con il sacco vuoto e raccogliere ogni singola piuma che hai messo su quelle porte." Poche ore dopo, l'uomo tornò.
"E 'impossibile", disse al rabbino. “Non sono riuscito a trovare una sola piuma. Il vento le ha spazzate via tutte."
"Le parole sono come piume", gli disse il rabbino. "Le parole malvagie vengono facilmente pronunciate, ma, una volta che lasciano la bocca, non potranno essere mai più recuperate."

Tre volte al giorno il pio Ebreo conclude le sue preghiere di devozione silenziosa con queste parole: "O Signore, custodisci la mia lingua dal male e le mie labbra da parole malvagie e per coloro che mi calunniano, fa’ sì che io non vi faccia alcuna attenzione Possa la mia anima essere.. umile e perdonare a tutti ».


Haftarà di Tzaria
(estratto da 2Re 4,42-5,19)

“ Na’aman, generale del re di Aram, era un uomo di grande importanza davanti al suo signore, e molto onorato perché per suo mezzo il Signore aveva dato vittoria ad Aram; quest’uomo era valoroso ed affetto da tzaraat.”

“Allora si avvicinarono a lui i suoi servi e gli dissero: ‘Padre mio, se il profeta ti avesse detto di fare qualcosa di grande difficoltà, certo l’avresti fatta; tanto più ora che ti ha detto: - Lavati e diventerai puro.
Allora scese al Giordano, vi si immerse sette volte conformemente alla parola dell’uomo di D-o, ed il suo corpo diventò come il corpo di un piccolo fanciullo, ed egli divenne puro.”



Haftarà di Metzorà
(estratto da 2Re 7,1-13,23)

“Quattro uomini malati di tza’arat, che si trovavano all’ingresso della porta, si dissero l’un l’altro: - Che cosa stiamo a fare noi qui fino a che morremo? Se decideremo di entrare nella città, in cui vi è la fame, morremo là, e se resteremo qui morremo. Andiamo dunque a consegnarci al campo degli Aramei, se ci lasceranno in vita, vivremo, e se ci metteranno a morte, morremo.
Si alzarono dunque prima del crepuscolo per andare al campo degli Aramei e, giunti all’estremità di questo campo,, constatarono che non c’era nessuno.”

“Giunti questi malati di tza’arat all’estremità del campo, entrarono in una tenda, mangiarono, bevvero e ne presero argento, oro, vestiti, poi sene andarono, nascosero quello che avevano preso, quindi entrarono in un’altra tenda, ne presero quel che trovarono, se ne andarono e nascosero il tutto. Poi si dissero l’un l’altro: - Non è bene quel che facciamo. Oggi è un giorno di buona notizia: se noi non parliamo e spettiamo la luce della mattina, siamo colpevoli. Andiamo dunque a riferire la cosa nella casa del re.”



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