(Le.25,1-26,1)
Behar Sinài, sul monte Sinai,è la parashà che contiene precetti fondamentali di carattere sociale, in particolar modo riguardanti la terra, il lavoro ed il prestito.
Ecco essenzialmente il contenuto di questi precetti:
1) Il lavoro della terra dovrà avvenire seguendo un ciclo che preveda un anno di riposo dopo sei anni di produzione. Un totale quindi di sette anni, come i sette giorni della creazione, dove il settimo giorno è quello in cui il Signore, cessò da tutta la sua opera. E allora, poiché il creato è ad immagine e somiglianza del creatore, ne consegue che il suo funzionamento debba avvenire secondo cicli simili a quelli seguiti dal suo creatore ed ecco quindi che il terreno agricolo sarà produttivo per sei anni ed al settimo anno non sarà lavorato e questo settimo anno sarà l’anno sabbatico di riposo della terra, così come il settimo giorno è il Sabato dedicato al Signore.
2) La proprietà della terra è del Signore, che l’ha concessa in uso all’uomo perché ne tragga i frutti. L’uomo potrà quindi vendere o acquistare non già la proprietà, ma l’uso della terra per un periodo di tempo che comunque si estingue nell’anno del Giubileo, cioé ogni cinquanta anni e quindi al compiersi di sette cicli di sette anni. Anche qui vediamo riproposto il numero sette: sette giorni, sette anni, sette volte sette anni. Nell’anno del Giubileo sarà proclamata la libertà nella terra per tutti gli abitanti, ciascuno pertanto tornerà al suo possesso e ciascuno alla sua famiglia. Fanno eccezione a questa normativa gli immobili urbani (nelle città cinte da mura) e gli immobili dei Leviti, in quanto ritenuti beni necessari alla dimora e non per la produzione.
3) Per quanto riguarda il lavoro nell’anno del Giubileo torneranno liberi i mercenari ebrei, che per povertà si erano venduti al loro padrone, mentre rimarranno di proprietà per sempre gli schiavi non ebrei ed i loro discendenti.
4) Per il sostegno dato ad un altro ebreo, o anche ad un forestiero o ad un avventizio, che siano presso di noi e si ritrovino in condizioni di povertà, non dovrà prendersi usura né interesse.
Si tratta dell’ossatura delle regole sociali di uno Stato nel quale la proprietà privata ha sostanziali limitazioni, mentre il godimento dei beni avviene prevalentemente con un sistema assimilato all’affidamento in concessione per un determinato periodo temporale. Il valore di mercato dei beni, che ha quindi per oggetto non la loro proprietà, ma l’uso degli stessi, siano essi terreni coltivabili o forza lavoro, non sarà ovviamente fisso, ma variabile in funzione del lasso temporale residuo di godimento. Quanto al prestito è da notare che resta libero da vincoli solamente quello fatto a stranieri non residenti.
Il Prof. Di Porto nel suo commento alla parashà rammenta come, in epoche successive e nella diaspora gli ebrei praticarono l’attività del prestito ad interesse a ciò indotti dalle regole delle società cristiane, nelle quale si trovarono a vivere, le quali vietavano ai propri fedeli l’esercizio del prestito ad interesse, ma consentivano che questa attività venisse svolta dagli ebrei.
“Sterco del demonio” era l’appellativo con il quale i predicatori cristiani si riferivano al denaro, sicché tutte le attività ad esso connesse, dalla coniazione delle monete al loro impiego come risorse economiche di per sé, furono impedite ai cristiani finché ci furono gli ebrei che potevano svolgere questa attività.
Per quanto riguarda l’Italia medievale la situazione generale dal punto di vista religioso la connotava come cristiana, per lo più cattolica ma con presenze ortodosse nelle estreme regioni meridionali. Unico episodio dissonante fu la dominazione araba della Sicilia, che durò circa due secoli fino alla metà dell’XI secolo e che implicò la presenza nell’isola dell’Islam. Per gli ebrei in generale la dominazione araba risultò più tollerante, ma anche per gli arabi i traffici con il denaro era meglio che li facessero gli ebrei e non i mussulmani.
Questa specializzazione ebraica nell’attività del prestito era incentivata in modo determinante dal fatto che nei paesi cristiani andarono via via maturando limitazioni alle attività consentite agli ebrei, per cui solamente alcune attività artigianali e commerciali erano loro permesse, mentre in quasi tutti i casi non era loro consentita la proprietà di beni immobili. Ne derivava che il ricavato delle loro attività, non potendo tradursi in beni immobili, dava luogo ad una massa monetaria e quindi, come logica conseguenza, alla possibilità di svolgere attività di prestito. I capitali movimentati dagli ebrei erano ingenti ed i loro destinatari, oltre alla massa di privati cittadini, erano, per le somme più rilevanti, anche prìncipi e re, con i quali si verificò spesso anche la mancata restituzione del prestito od il suo rinnovo forzoso.
Con l’avvento della dominazione spagnola gli ebrei furono espulsi prima dalla Sicilia e poi da tutta l’Italia meridionale, mentre nel resto della penisola sopravvissero, ma non ebbero più l’esclusiva dell’attività di prestito, in quanto dapprima vennero affiancati da banchieri toscani e lombardi e poi, strani casi della vita, dalla Chiesa stessa con l’apertura dei Monti di Pietà, che erano banchi di prestito su pegno.
Haftarà di Behar Sinài
Secondo il rito italiano
(Ger.16,19-17,14)
“Il cuore dell’uomo è ingannatore più di ogni altra cosa; non c’è rimedio: chi lo può conoscere? Soltanto Io, il Signore, posso investigare il cuore, esaminare l’animo, e dare quindi a ciascuno secondo la sua condotta, secondo quel che merita per le sue azioni. Chi si procura ricchezze con mezzi indegni è come la pernice che cova uova che non ha fatto; ricchezza lo abbandonerà quando sarà giunto alla metà dei suoi giorni, e infine sarà riconosciuto malvagio.”
Secondo i riti spagnolo e tedesco
(Ger.32,6-32,27)
“Ed io sapendo che questa era parola del Signore, acquistai il campo da Chanamel mio cugino che abita ad Anathoth, gli versai il denaro, sette sicli ed altre dieci monete d’argento, e scrissi il documento, lo firmai, feci scegliere dei testimoni, pesai il denaro nelle bilance, presi il documento d’acquisto, quello sigillato, quello che contiene le condizioni della vendita e quello aperto e poi consegnai il documento di acquisto a Baruch figlio di Nerijà figlio di Machsejà alla presenza di mio cugino Chanamel, dei testimoni che scrissero l’atto di acquisto, alla presenza di tutti i Giudei che si trovavano nel cortile della prigione …”
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