lunedì 28 gennaio 2013

Ytrò

(Es.18,1-20,26)

La notizia dei prodigi operati dal Signore per liberare il popolo di Israele dalla schiavitù e farlo uscire dall'Egitto giunse a Ytrò, suocero di Mosè. Ytrò si diresse allora nel deserto dove Mosè era accampato recando con sé la moglie di lui Zipporà ed i suoi figli Ghershom e Eliezer.

Mosè andò incontro al suocero, si prostrò a lui, lo baciò e lo salutò calorosamente. Poi lo condusse nella sua tenda e gli raccontò tutte le peripezie vissute con il suo popolo dalla fuga dall'Egitto fino alla marcia nel deserto e con quali prodigi il Signore li avesse salvati.

Ascoltato il racconto di Mosè, Ytrò disse: - Benedetto sia il Signore che vi ha salvato dalle mani degli Egiziani e del Faraone e che ha sottratto questo popolo dal dominio dell'Egitto. Ora io riconosco che il Signore è il più grande di qualsiasi divinità, poiché nella maniera nella quale gli Egiziani insolentirono contro di essi furono puniti.

Ytrò offrì quindi sacrifici ed olocausti al Signore e il giorno dopo assistette ad una udienza che Mosè dava al popolo per amministrare la giustizia. Vide che il genero conduceva l'udienza per l'intera giornata e che dirimeva e giudicava questioni di ogni genere, dalle più banali alle più complesse. Allora Ytrò suggerì a Mosè di nominare dei magistrati per la trattazione di tutte le questioni ordinarie, mentre sarebbero rimasti sottoposti al suo giudizio solamente gli argomenti di maggiore importanza. Mosè valutò positivamente il consiglio del suocero e mise in atto quanto gli aveva suggerito e quindi si congedò da lui che tornava al suo paese in terra di Midian.

Molti si sono posti la domanda se Ytrò possa considerarsi il primo proselita dell'ebraismo e molte risposte schivano l'essenza della domanda rispondendo che egli è certamente da ritenere un saggio, che però la sua posizione si delinea prima dell'assegnazione della legge da parte del Signore. E' un argomento delicato perché se è pur vero che Ytrò si è dichiarato convinto che il Signore d'Israele sia l'unico autentico Dio e se è parimenti vero che al Signore d'Israele egli ha offerto sacrifici, è anche vero che egli non solo non compirà il viaggio di quarant'anni nel deserto, ma effettivamente non avrà modo di conoscere la legge del Signore, per una smagliatura temporale, per essersi recato da Mosè poco prima e non poco dopo che questi ricevesse la legge.

I figli d'Israele ripresero la marcia e si addentrarono nel deserto del Sinài. Si arrestarono davanti al monte e qui Mosè salì incontro al Signore e Questi lo chiamò dall'alto e gli disse di riportare questo messaggio ai figli d'Israele: - Voi avete visto con i vostri occhi ciò che Io feci agli Egiziani, vi portai come su ali di aquila e vi feci giungere presso di Me. Ordunque se voi ubbidirete alla Mia voce e manterrete il Mio patto, sarete per Me quale tesoro fra tutti i popoli, poiché a Me appartiene tutta la terra. E voi sarete per Me un reame di sacerdoti, una nazione consacrata.

Il popolo unanimemente rispose: - Tutto ciò che ha detto il Signore noi lo eseguiremo.

Mosè riferì la risposta che i figli d'Israele avevano dato ed il Signore gli disse di far purificare il popolo e che lavassero i loro indumenti e si astenessero da rapporti sessuali, giacché al terzo giorno Egli, il Signore, sarebbe sceso sul monte Sinài alla presenza del popolo. Mosè avrebbe messo un segnale di confine attorno al monte affinché il popolo non lo oltrepassasse, ché altrimenti avrebbero trovato la morte. Quando si sarebbe udito lo shofar suonare a lungo, allora anche Aron, i suoi figli ed i settanta anziani d’Israele avrebbero potuto salire sul monte.

Al terzo giorno ci furono tuoni lampi ed una fitta nebbia avvolgeva il monte e si udì forte il suono dello shofar. Mosè fece uscire dall'accampamento il popolo, che si fermò ai piedi del monte. Il Signore era disceso sul monte che era tutto fumante come una fornace e si scuoteva violentemente, e lo strepito dello shofar andava sempre più rafforzandosi. Il Signore chiamò Mosè e questi salì in cima e qui il Signore gli disse di porre il confine alla base del monte e di dichiararlo sacro e che nessuno si avvicinasse, nemmeno i sacerdoti. Infine disse il Signore a Mosè: - Va' e discendi e poi risalirai accompagnato da Aron, ma i sacerdoti e il popolo non tentino di salire verso il Signore, perché potrebbero essere colpiti.

Mosè ridiscese e riferì ciò che gli era stato comandato. Si udì quindi la voce del Signore pronunciare le dieci parole, i dieci comandamenti, la legge che Egli in quel momento dava ai figli d'Israele:

1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dei al Mio cospetto.
3) Non pronunziare il nome del Signore Dio tuo invano.
4) Ricordati del giorno del Sabato per santificarlo.
5) Onora tuo padre e tua madre.
6) Non uccidere.
7) Non commettere adulterio.
8) Non rubare.
9) Non fare falsa testimonianza.
10) Non desiderare ciò che appartiene ad altri.

I primi quattro sono comandamenti religiosi mentre gli altri sei hanno contenuto etico e regolano la convivenza sociale. Il decimo comandamento è forse il più severo tra i comandamenti negativi perché vieta non un'azione concreta ma un pensiero. Non sono elencati in ordine di importanza, ma forse si tratta di una sequenza logica nel senso che il mancato rispetto del precedente incentiva la trasgressione del successivo.

Il popolo, che era stato testimone di tutti quei lampi, tuoni e fragori era ora timoroso e disse a Mosè: - Sii tu a parlarci e noi potremo ascoltare, ma che il Signore non ci parli, ché potremmo morire.

E Mosè rispose: - Non temete affatto; è soltanto per mettervi alla prova che il Signore è venuto a voi affinché il timore di Lui vi sia sempre presente in modo che non abbiate a peccare.

Il popolo rimase lontano dal monte mentre Mosè si addentrava nella nube dove era il Signore. E il Signore disse a Mosè di riferire al popolo queste parole: - Voi foste testimoni che dall'alto del cielo Io vi ho parlato. Non associate a me nessuna divinità né d'argento, né d'oro, nessuna ne farete per vostro uso.

E proprio queste saranno le parole alle quali il popolo a breve contravverrà quando adorerà come proprio idolo il vitello d'oro. Ma questa è un'osservazione facile da fare con il senno di poi e che non tiene conto di due attenuanti dei comportamenti umani e cioè le circostanze e il tempo. Nel confronto con il Signore l'uomo è chiaramente un essere molto debole perché spesso è incostante ed influenzabile e più ancora, anche se è restio a confessarlo, perché lui, l'uomo, è mortale, lui vive nel tempo e nel tempo si consuma e quindi per lui è molto importante che ciò che egli desidera si compia, ma anche che si compia presto e spesso è l'impazienza, imposta dall'angoscia del tempo, che fa sì che egli non sappia aspettare.

Impartisce infine il Signore a Mosè istruzioni per erigere un altare in terra o in pietra non scalpellata e per la realizzazione dell’accesso privo di scalini.


Haftarà di Ytrò
(Is.6,1-7,6;9,5-9,6; estratto)

Al tempo della morte del re Uzzià di Giuda, apparve al profeta Isaia il Signore che a lui dette l’incarico di recare al popolo d’Israele la parola divina.

“… vidi il Signore seduto su un seggio alto, e elevato, e i lembi del Suo abito ricoprivano il Santuario. Al di sopra di Lui stavano in piedi i Serafim ciascuno dei quali aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva le gambe e con due volava. E l’uno rivolto all’altro proclamava: - Santo, santo, santo è il Signore Tsevaòth, tutta la terra è piena della Sua gloria.

E le fondamenta delle soglie si scossero al suono della voce che proclamava, e la stanza si riempì di fumo. Ed io dissi: - Ohimè ! Io sono perduto, perché essendo io impuro di labbra, i miei occhi hanno visto il Re Signore Tsevaòth.

Allora volò su di me uno dei Serafim che aveva un carbone acceso preso di sull’altare con le molle. Recatolo poi sulla mia bocca disse: - Avendo questo toccato la tua bocca, la tua colpa è tolta e il tuo peccato è espiato.

Allora udii la voce del Signore che diceva: - Chi manderò? Chi andrà per Noi?

Ed io risposi: - Eccomi pronto, manda me.

E il Signore mi disse: - … Questo popolo rende la sua mente coperta di grasso, dure di udito le sue orecchie, spalmati i suoi occhi, cosicché con i suoi occhi non vedrà, con le sue orecchie non udrà, con la sua mente non comprenderà, non ritornerà al bene e non sarà risanato.

Io dissi: - Fino a quando, o Signore?

E il Signore rispose: - Fino a che non siano deserte le città, … . E quando sarà rimasto un decimo della popolazione, tornerà ad esservi distruzione; ma avverrà quel che avviene della quercia e del terebinto nei quali un rampollo duraturo germoglia da quello che da essi viene gettato: il rampollo duraturo sarà come una progenie santa.”

domenica 20 gennaio 2013

Beshallach

(Es.13,17-17,16)

Quando finalmente partirono il Signore guidò i figli d'Israele verso la terra promessa ma non li diresse per la via più breve, perché questa attraversava il paese dei Filistei che avrebbero opposto una fortissima resistenza. Il Signore li fece perciò deviare attraverso il deserto arabico in direzione del Mar Rosso.

Mosè portava con sé le ossa di Giuseppe per seppellirle nella terra di Canaan, rispettando il giuramento che a suo tempo avevano fatto i figli d'Israele.

Il Signore li guidava di giorno con una colonna di nubi che indicava loro la direzione e di notte mediante una colonna di fuoco che rischiarava loro il cammino e consentiva quindi che potessero marciare giorno e notte. Il Signore disse a Mosè di deviare verso la costa e di accamparsi in riva al mare.

Quando la loro posizione venne riportata al Faraone, che già si stava rammaricando per l'aver perduto il suo popolo di schiavi, questi radunò in breve un esercito di carri e cavalieri e si lanciò all'inseguimento di Mosè e dei figli d'Israele. Gli Egiziani giunsero in vista dei figli d'Israele, che vedendoli avanzare verso di loro dissero a Mosé: - Non c'erano abbastanza sepolcri in Egitto che ci hai trascinati a morire nel deserto? Che cosa mai ci hai fatto con il farci uscire dall'Egitto? E' proprio quello che ti abbiamo detto in Egitto: - Lasciaci stare e serviremo l'Egitto, perché era certamente per noi preferibile la schiavitù egiziana alla morte nel deserto.

Mosè rassicurò il popolo dicendo loro che stessero a guardare come il Signore sarebbe intervenuto per la loro salvezza. E il Signore disse a Mosè: - Perché tu esclami a me? Ordina ai figli d'Israele di mettersi in cammino. E tu alza la tua verga, stendi il tuo braccio verso il mare e fendilo, e i figli d'Israele potranno attraversare il mare all'asciutto. Io poi renderò ostinato il cuore degli Egiziani, ed essi entreranno dietro di loro nel mare, e allora Io dimostrerò la Mia potenza sul Faraone, sul suo esercito, sui suoi carri e la sua cavalleria. Così riconosceranno gli Egiziani che Io sono il Signore, quando avrò dimostrato la mia potenza sul Faraone, i suoi carri e la sua cavalleria.

La colonna di nubi inviata dal Signore si spostò nella posizione di retroguardia del popolo in marcia e produsse oscurità per gli Egiziani che li inseguivano, mentre nella notte la colonna di fuoco continuava a rischiarare il cammino ai figli d'Israele, sicché la distanza tra gli inseguiti ed i loro inseguitori rimaneva inalterata.

Mosè distese il suo braccio sul mare e allora si levò per tutta la notte un potentissimo vento da oriente e la acque del mare si divisero formando come un muro a destra ed a sinistra. I figli d'Israele entrarono in mezzo, sul fondo del mare reso asciutto e presero ad attraversarlo. Anche gli Egiziani entrarono con tutti i carri e tutti i cavalieri per raggiungere il popolo d'Israele. Era l'alba e il Signore terrorizzò l'esercito del Faraone con dense nubi e colonne di fuoco e rese difficoltosa la loro avanzata e distaccò le ruote dei loro carri che si impantanavano nel fondo melmoso del mare. Il Signore disse a Mosè: - Stendi il tuo braccio sul mare e le acque si riverseranno sugli Egiziani, sui cocchi e sui cavalieri.

E così egli fece. E gli Egiziani fuggendo andavano contro le onde e così il Signore li sommerse nel mare e al mattino, quando le acque si furono calmate non ne rimase neppure uno in vita. Il Signore salvò in quel giorno Israele dalla mano degli Egiziani e Israele vide gli Egiziani cadaveri sulla riva del mare. Riconobbe allora Israele la mano potente che il Signore aveva dispiegato sull'Egitto ed ebbe venerazione per il Signore e prestò piena fede a Lui e a Mosè suo servo. Cantò allora Mosè un canto di glorificazione al Signore per i prodigi che aveva fatto per la loro salvezza e la loro libertà. Il canto è comunemente noto come la "cantica del mare" e viene cantato in tutte le Sinagoghe durante lo Shacharit del Sabato mattina.

I figli d'Israele che attraversano il mare e il mare che si richiude sui loro inseguitori Egiziani è un episodio biblico meraviglioso che molto ha fatto discutere e commentare. Alcuni si sono limitati a ricercare la spiegazione razionale del fenomeno ed hanno attribuito la possibilità che le acque si siano aperte a causa di un maremoto generato dall'esplosione del vulcano di Santorini o per la caduta di un meteorite. Ma la razionalità del fenomeno ha un'importanza del tutto incidentale per la narrazione biblica. Il messaggio racchiuso nella narrazione è un altro: c'è un oppresso e c'è il suo oppressore e l'oppresso si sottrae al suo oppressore, che nell'estremo tentativo di prevalere genera la sua stessa rovina. In questi termini sono vicende che nella storia dell'uomo sono avvenute più volte e non solo nell'ambito dello schiavismo vero e proprio, come fu quello dei neri d'America o delle popolazioni delle colonie degli stati europei. Oppressione oltre che verso altre nazioni può esserci anche da parte di una casta dominante verso il suo stesso popolo. Si verifica nell'oppresso un fenomeno di accumulo delle ingiustizie subite finché non accade l'innesco, un episodio che catalizza tutti i risentimenti facendo esplodere la rivolta. Quando si arriva a questo punto sono generalmente vani i tentativi dell'oppressore di riassumere il controllo della situazione e l'eventuale insistenza in questo tentativo può generarne il suo collasso.

L'innesco della ribellione dei figli d'Israele fu generato da Mosè che trasmise loro la fiducia nel Signore e nel futuro che il Signore loro prospettava nella terra promessa. Cominciarono con ciò, passo passo, a trasformarsi da una massa di individui sottomessi ad un popolo con una precisa identità collettiva e la marcia di quarant'anni nel deserto a ciò sarebbe servita.

Partiti dal Mar Rosso arrivarono al deserto di Shiur e lo percorsero per tre giorni senza trovare acqua. Giunsero poi a Marà ma ancora non poterono bere perché le acque di Marà erano amare. Il popolo assetato cominciò a rumoreggiare contro Mosè ed egli implorò il Signore che gli diede conoscenza di un legno che gettato in acqua le rendeva dolci, e così egli fece. Fu in tale occasione che il Signore impose ad Israele statuti e norme: - Se tu ascolterai attentamente la parola del Signore Dio tuo, e farai ciò che è retto ai Suoi occhi e sarai ubbidiente ai Suoi precetti e fedele ai Suoi statuti, alcuna di quelle piaghe con le quali ho colpito l'Egitto non ti toccherà poiché Io, il Signore, sono colui che ti da la salute.

Dopo una sosta ad Elim, luogo di sorgenti e grande vegetazione, giunsero al deserto di Sin. La comunità dei figli d'Israele mormorava nel deserto contro Mosè e Aron: - Fossimo pur morti per mano del Signore in Egitto, assisi presso le marmitte contenenti carne e dove si mangiava pane in abbondanza, mentre ci avete condotti in questo deserto per far morire di fame tutto questo popolo.

Allora il Signore disse a Mosè: - Ecco Io farò piovere per voi un nutrimento dal cielo, il popolo andrà a raccoglierne, giorno per giorno, quanto gli è necessario, in tal modo Io potrò sperimentarlo se egli vuole ubbidire alla Mia legge o no. Ma nel giorno sesto della settimana, quando prepareranno ciò che avranno portato dal campo, si troverà doppia razione del raccolto giornaliero.

Mosè disse ad Aron: - Comanda a tutta la congrega del figli d'Israele: Avvicinatevi dinanzi al Signore, poiché ha ascoltato le vostre mormorazioni.

Ora mentre così parlava Aron alla congrega dei figli d'Israele, questi, rivolgendosi verso il deserto, videro apparire la maestà divina attraverso la nube. Il Signore così parlò a Mosè: - Io ho ascoltato le mormorazioni dei figli d'Israele. Parla loro in questi termini: Verso sera mangerete carne e al mattino seguente vi sazierete di pane, e così riconoscerete che Io sono il Signore Dio vostro.

E verso sera arrivarono le quaglie che, spossate dal lungo volo, ricoprirono tutto l'accampamento e furono facilmente catturate. Al mattino seguente uno strato di rugiada ricopriva il terreno attorno al campo e quando la rugiada evaporò rimase sul terreno uno strato di qualcosa di bianco e granuloso e al popolo incuriosito Mosè spiegò che quello era il pane che il Signore aveva promesso. Dette loro le regole per la raccolta e disse che nulla doveva essere messo da parte per il giorno dopo ma che al sesto giorno invece avrebbero avuto doppia razione anche quindi per il settimo giorno, il Sabato dedicato al Signore. Alla sostanza bianca, che aveva il sapore di frittella al miele, venne dato il nome di “manna”. Mosè disse ad Aron di mettere in un'urna un quantitativo di manna pari ad un “omer” e di porla nell'Arca della Testimonianza come ricordo per le future generazioni.

Lasciarono il deserto di Sin e dopo varie peripezie si accamparono a Refidim, dove però mancava l'acqua e il popolo assetato ricominciò a ribellarsi a Mosè. E il Signore disse a Mosè: - Avànzati alla testa del popolo accompagnato da alcuni fra gli anziani di Israele, e quella verga con la quale hai percosso il fiume in Egitto, prendila con te e va'. Ecco Io ti precederò là presso una rupe al monte Chorev, e tu batterai con la verga sul sasso dal quale uscirà l'acqua e il popolo ne berrà. Così fece Mosè alla presenza degli anziani d'Israele.

A Refidim i figli d'Israele furono attaccati da 'Amalec. Mosè incaricò Giosuè di fronteggiare questo attacco e di combattere 'Amalec, dicendo che lui si sarebbe messo sulla sommità della collina tenendo in mano la verga del Signore. L'indomani ebbe inizio la battaglia e mentre Giosuè combatteva 'Amalec, Mosè con Aron e Chur salirono sulla sommità della collina. Ora finchè Mosè teneva le braccia alzate vinceva Israele; quando le abbassava vinceva 'Amalec. Aron e Chur presero allora a sostenere e tenere alzate le braccia di Mosè fino al tramonto del sole. La vittoria fu di Israele e Giosuè sconfisse 'Amalec, che pur vinto non fu però annientato. Il Signore disse a Mosè: - Scrivi in un libro il ricordo di questo grande avvenimento e trasmettilo oralmente a Giosuè, ché Io ho stabilito di cancellare la memoria di 'Amalec di sotto il cielo.

Mosè fece un altare che chiamò: “Dio è la mia bandiera”. E disse: - Il Signore pone la mano sul Suo trono, guerra ad 'Amalec di generazione in generazione.

La lotta contro 'Amalec è la lotta contro il male che impegna ogni essere umano per tutte le generazioni. E' una lotta senza quartiere dall'alba al tramonto nella quale ognuno combatte fino allo stremo delle proprie forze, nella quale però ognuno può essere aiutato, così come Aron e Chur aiutarono Mosè, per resistere e prevalere.



Haftarà di Beshallach
(estratto da Giud.4,4-5,31)

"Debora disse a Barac: - Muoviti, ché questo è il giorno in cui il Signore ha deciso di dare Siserà in tuo potere; ecco che il Signore è uscito per andarti innanzi."

"Allora Barac discese dal monte Tavor e diecimila uomini lo seguirono. Il Signore scompigliò Siserà, tutti i carri e tutto l’accampamento a fil di spada davanti a Barac; Siserà scese dal carro e fuggì a piedi."

"Siserà era fuggito a piedi diretto alla tenda di Jael. … Jael uscì incontro a Siserà e gli disse: - Ritirati, o mio signore, ritirati presso di me senza timore."

"Jael moglie del Kenita Chèver prese un chiodo della tenda, si mise in mano un martello, si accostò piano a lui, gli conficcò nella tempia il chiodo, e questo si piantò in terra. Egli dormiva, era sfinito e morì."

domenica 13 gennaio 2013

Bo

(Es.10,1-13,16)

Bo cioè “vai !”. "Va' dal Faraone" disse il Signore a Mosè. Il Signore infatti, che aveva nuovamente indurito il cuore del Faraone, intendeva operare su di lui i Suoi prodigi e li avrebbe compiuti anche affinché gli ebrei potessero raccontare ai propri figli ed ai figli dei loro figli ciò che Egli aveva operato in Egitto e i prodigi che aveva eseguito in mezzo a loro in modo che da quel momento in poi riconoscessero in Lui il Signore.

Riferirono Mosè ed Aron al Faraone ciò che il Signore aveva detto loro, che dunque lasciasse andar il Suo popolo a prestargli culto, e che altrimenti l'indomani le cavallette avrebbero invaso tutto l'Egitto e avrebbero divorato tutta la vegetazione, quella rimasta che era scampata alla grandine. Il Faraone parve accettare che gli ebrei andassero a prestare culto al loro Dio, ma quando chiese chi sarebbe andato a questo scopo nel deserto e gli fu risposto che tutto il popolo sarebbe andato, uomini, donne, vecchi e bambini e che con sé avrebbero portato tutto il loro bestiame grosso e minuto, egli si irrigidì e negò ancora una volta il suo consenso.

L'indomani, per comando del Signore, Mosè stese la mano sulla terra d'Egitto ed un vento orientale prese a soffiare per tutto il giorno e la notte seguente. Il vento portò le cavallette in numero così grande da oscurare la luce del sole. Ricoprirono le cavallette la terra d'Egitto e ne divorarono tutta la vegetazione. Il Faraone mandò a chiamare Mosè ed Aron e chiese di far cessare questo flagello: - Io ho peccato verso il vostro Dio e verso di voi. Or dunque perdona la mia colpa per questa volta e pregate il Signore Dio vostro perché mi liberi da questo flagello.

Ancora una volta la richiesta del Faraone fu accolta e venne un vento d'occidente che spazzò via tutte le cavallette e neanche una ne rimase in Egitto. Ma il Signore rese ancora ostinato il cuore del Faraone, che non lasciò andar via i figli d'Israele.

Disse allora il Signore a Mosè di stendere la sua mano verso il cielo e così le tenebre ricoprirono tutto l'Egitto per la durata di tre giorni. Anche adesso il Faraone chiamò Mosè e gli disse che andasse pure lui ed il suo popolo, uomini, donne, vecchi e bambini a prestare culto al suo Dio ma che lasciassero il loro bestiame. Mosè rispose che avrebbero portare anche il bestiame e che anzi il Faraone avrebbe dovuto aggiungerne dell'altro affinché essi potessero fare i sacrifici e gli olocausti secondo il culto che il Signore richiedeva. Ma il Signore rese ancora ostinato il cuore del Faraone che scacciò Mosè dalla sua presenza, ammonendolo a non comparirgli più davanti, che altrimenti l'avrebbe messo a morte.

Il Signore disse a Mosè che con una piaga ancora avrebbe colpito il Faraone e l'Egitto, e questa volta i figli d'Israele sarebbero stati lasciati liberi di andarsene, anzi sarebbero stati scacciati dall'Egitto. Conveniva però che prima di andar via ogni uomo e ogni donna chiedesse ai propri amici egiziani oggetti d'oro o d'argento da portare via con sé.

E allora Mosè disse al Faraone: - Così ha parlato il Signore: Verso mezzanotte Io Mi avanzerò attraverso l'Egitto e allora morrà ogni primogenito egiziano, da quello del Faraone erede al trono, fino a quello della schiava che fa girare la macina, e tutti i primogeniti delle bestie. E si produrrà un grande grido in tutto il paese di cui non si ha ricordo nel passato e quale non vi sarà in avvenire. Ma contro i figli d'Israele neppure un cane abbaierà né contro di loro né contro il bestiame, in modo che conoscerete che il Signore fa distinzione fra gli Egiziani e gli Ebrei. E tutti i servitori che ti attorniano verranno da me e inchinandosi mi inviteranno ad andarmene insieme al mio popolo che è dietro di me; dopo di ciò me ne andrò.

E quando ebbe finito Mosè andò via lasciando il Faraone indignato. Anche questa volta il Signore indurì il cuore del Faraone, che non cedette alla richiesta di lasciare andare i figli d'Israele a prestare culto nel deserto.

Il Signore parlò a Mosè ed Aron, e disse loro che il mese nel quale si trovavano, il mese di Nisan, sarebbe stato da allora in poi il primo mese dell'anno e che essi avrebbero dovuto parlare alla comunità d'Israele chiedendo che ogni capo famiglia procurasse per ogni casa un capretto o un agnello maschio, senza difetti e di un anno di età. Il quattordici di Nisan gli animali sarebbero stati scannati in tutta la comunità e con il loro sangue sarebbero stati aspersi gli stipiti e l'architrave della porta d'ingresso di ogni casa degli ebrei. Nella stessa notte sarebbe stata consumata frettolosamente tutta la carne delle bestie sacrificate e arrostite intere.

E ancora il Signore proseguì dicendo quello che Egli avrebbe fatto in quella notte ed anche ciò che i figli d'Israele avrebbero dovuto fare nell'avvenire per celebrare Lui, il Signore : - Io percorrerò il paese d'Egitto in quella notte e percuoterò ogni primogenito nel paese d'Egitto dall'uomo alla bestia e farò giustizia di tutte le divinità egiziane. Io sono il Signore. Il sangue di cui saranno tinte le case ove abitate vi servirà di segnale; riconoscendo questo segnale, Io vi passerò oltre e il flagello non avrà presa su di voi allorché colpirò l'Egitto. Questo giorno sarà da voi commemorato e lo celebrerete quale festa in onore del Signore per le vostre generazioni, sia festività d'istituzione perenne. Per sette giorni mangerete azzime, ma prima che giunga il primo giorno toglierete dalle vostre case ogni lievito; poiché chiunque mangi sostanze lievitate dal primo giorno fino al settimo sarà recisa quella persona di mezzo ad Israele. Il primo giorno vi sarà sacra convocazione e altrettanto il settimo giorno. Nessun lavoro si farà in questi due giorni ad eccezione di ciò che è necessario per il cibo di ognuno: quello solamente si potrà fare. Osserverete dunque la festa delle azzime perché è in questo stesso giorno che Io ho fatto uscire le vostre schiere dal paese d'Egitto, osserverete quindi questo giorno in tutte le vostre future generazioni quale statuto eterno. Nel primo mese, nel quattordicesimo giorno a sera, mangerete azzime fino al ventunesimo giorno a sera. per sette giorni non si troverà lievito nelle vostre case, poiché chiunque mangi sostanza lievitata sarà recisa quella persona dalla comunità d'Israele, si tratti di straniero residente nel vostro paese o d'indigeno. Alcuna cosa lievitata non mangerete; in tutte le vostre abitazioni mangerete pani azzimi.

Mosè radunò gli anziani e disse loro quanto il Signore gli aveva comunicato e chiese di fare tutto quanto Egli aveva richiesto. Il popolo si inchinò, si prostrò e si affrettò ad eseguire le richieste del Signore.

A mezzanotte morì ogni primogenito d'Egitto, sia di uomini che di animali. Morì anche il primogenito del Faraone e non vi era casa dove non vi fosse un morto. Nottetempo il Faraone chiamò Mosè e Aron e disse loro: - Presto andatevene di mezzo al mio popolo, voi e i figli d'Israele, andate a prestare culto al Signore secondo le vostre richieste. Prendete con voi il vostro bestiame minuto e grosso come avete detto, e andatevene; benedite anche me.

E gli Egiziani fecero pressioni sugli Ebrei perché facessero presto ad andarsene. E i figli d'Israele portarono via la pasta prima che lievitasse. E gli Egiziani dettero loro vasi d'oro e d'argento e indumenti. Partirono i figli d'Israele da Ra'mses dirigendosi verso Succoth, che è al confine dell'Egitto, e i maschi adulti erano in numero di seicentomila. Si unì a loro una quantità di appartenenti ad altre popolazioni. Avevano vissuto gli Ebrei in Egitto per quattrocentotrenta anni.

Quella notte fu consacrata al Signore e in ricordo dell'uscita dall'Egitto per tutte le generazioni a venire sarà celebrato il sacrificio pasquale, che verrà consumato in ogni casa, senza trasportare la carne al di fuori e senza rompere alcun osso della bestia sacrificata. Tutti i figli d'Israele vi prenderanno parte, nessun incirconciso ne mangerà. Solamente se circonciso lo straniero potrà celebrare la Pasqua del Signore unitamente ai figli d'Israele.

Quindi il Signore parlò ancora a Mosè e disse: - Consacra a me ogni primogenito, ogni primo parto tra i figli d'Israele sia di uomo che di bestia di proprietà di un Ebreo, appartiene a Me.

Mosè parlò al popolo dicendo che i figli d'Israele avrebbero dovuto ricordare questo giorno in cui il Signore li fece uscire dall'Egitto celebrando nel mese queste cerimonie. Per sette giorni avrebbero mangiato pane azzimo e non avrebbero tenuto nella propria casa sostanze lievitate. Ognuno di loro avrebbe spiegato ai propri figli: - Noi pratichiamo questo culto in onore del Signore per tutto quello che Egli operò in mio favore alla mia uscita dall'Egitto.

Queste parole, proseguì Mosè, le porterete sul vostro braccio ed in mezzo ai vostri occhi affinché con questi segni esteriori la dottrina del Signore si compenetri in voi. Da qui trae dunque origine l'obbligo di indossare quotidianamente i tefillin, che sono delle scatolette cubiche di cuoio contenenti piccole pergamene recanti versetti biblici. I tefillin si legano con strisce di cuoio alla fronte e all'avambraccio.

Cederete al Signore, proseguì Mosè, ogni primogenito sia esso uomo o animale che verrà a Lui consacrato. Il primogenito di uomo verrà riscattato e quando vostro figlio vi chiederà il significato di tutto questo, voi gli direte: - Con mano potente ci trasse il Signore dall'Egitto, dal paese di schiavitù. Quando il Faraone rifiutò ostinatamente di lasciarci in libertà, allora il Signore colpì a morte ogni primogenito in Egitto tanto fra gli uomini tanto fra le bestie. Appunto per questo io offro al Signore ogni primo parto maschio adatto ad essere sacrificato ed ogni primogenito fra i miei figli debbo riscattare.

Il riscatto del primogenito, Pidyon ha-Ben, viene eseguito per i primogeniti maschi da un Cohen, dietro il pagamento d'uso di cinque Shekalim. Lo Shekel è una moneta del peso fisso di circa 12 grammi d'argento, pari al peso del Siclo del Santuario.

Dunque la vicenda delle piaghe d'Egitto si è conclusa. ll Faraone che inizialmente aveva assunto un atteggiamento altezzoso e che aveva detto "Chi è questo Dio a cui debbo ubbidire?" perde man mano la propria alterigia, diventa sempre più disorientato, mente quando promette la libertà e poi non mantiene. Ma il Faraone è diventato strumento della volontà del Signore: è il Signore che ne indurisce il cuore ed è per volontà del Signore che egli nega ai figli d'Israele la libertà di culto. Il Faraone, solo quando sarà toccato direttamente nella propria carne per la morte del figlio, si piegherà realmente e si mostrerà disperato di fronte alla potenza, per lui oscura, di questo Dio, che rimarrà peraltro a lui sostanzialmente incomprensibile, a lui che si riteneva ed era ritenuto una divinità in terra. Ma anche dopo, come vedremo, il Faraone sarà animato da spirito di vendetta e non già dalla rassegnazione per essersi dovuto piegare al vero Dio più grande di lui, il Signore.

La vicenda delle piaghe d'Egitto ha visto manifestarsi una sostanziale evoluzione del popolo dei figli d'Israele. Della condizione iniziale di abbrutimento fisico e morale conseguente alla dura schiavitù due fatti sono emblematici: la frase che uno dei litiganti disse a Mosè "Chi ti ha delegato capo e giudice su di noi?" (Es.2,14) e il fatto che quando egli riportò loro la parola del Signore i figli d'Israele "non ascoltarono Mosè per la depressione di spirito in cui si trovavano e per la durezza del servaggio." (Es.6,9). Il succedersi delle piaghe che si abbatterono sull'Egitto, lasciando peraltro indenni loro, gli Ebrei, fece sì che in loro maturasse un risveglio della fiducia nel Signore ed un senso di appartenenza, che germogliasse insieme alla speranza un primo senso di disciplina e di riconoscimento del ruolo che Mosè avrebbe assunto per condurli alla terra promessa.

Questo risveglio del popolo d’Israele esprime anche il nostro risveglio personale quando sospendiamo le attività quotidiane, che assorbono i nostri pensieri al punto da arrivare ad assopire la consapevolezza dell’amore del Signore per le Sue creature. In quel momento lasciamo che nel nostro intimo si propaghi nuovamente questo “ahavat olam”, l’amore infinito che governa il creato e le creature ed intraprendiamo nuovamente il viaggio verso la nostra terra promessa che è lo “shalom”, la piena e consapevole serenità espressa dal ritorno “teshuvà” e dell’accoglimento della fiducia nel Signore.


Haftarà di Bo
Secondo il rito italiano
(estratto da Is.18,7-19,25)

“Insensati sono i prìncipi di Tso’an, sì, sono stati tratti in errore i prìncipi di Nof ed hanno indotto in errore l’Egitto i capi delle sue tribù.”

“In quel giorno vi saranno in Egitto cinque città che parleranno la lingua di Canaan, e giureranno per il Signore: una di esse sarà chiamata città della distruzione. In quel giorno vi sarà in mezzo al paese d’Egitto un altare consacrato al Signore, e presso il suo confine un monumento dedicato al Signore. E questo servirà di segno e di testimonianza per il Signore Tsevaoth nel paese d’Egitto, e quando imploreranno il Signore per causa di oppressori, Egli manderà loro un liberatore che contenderà per loro e li salverà. Il Signore sarà allora riconosciuto dagli Egiziani; gli Egiziani riconosceranno il Signore in quel giorno, Lo adoreranno con sacrifici ed offerte, faranno dei voti al Signore e li adempiranno.”


Secondo i riti spagnolo e tedesco
(estratto da Ger.46,13-46,28)

“Popolazione dell’Egitto, preparati gli oggetti necessari a chi va in esilio, perché Nof sarà mutata in luogo desolato, e sarà distrutta, senza abitanti. Bellissima giovenca era la terra d’Egitto, ma è venuto il pungolo dal settentrione. Anche le sue truppe mercenarie che erano forti come vitelli ingrassati, ora voltano le spalle al nemico, tutti fuggono, non possono resistere, perché è venuto il giorno della loro rovina, il tempo della loro punizione.”

“L’Egitto rimane svergognato, viene dato in mano al popolo del settentrione. Il Signore Tsevaoth, D-o d’Israele dice: - Ecco Io punisco Amon di No, il Faraone, l’Egitto, le sue divinità e i suoi re, il Faraone e quelli che si fidano di lui. E li consegno in mano di quelli che attentano alla loro vita, in mano cioè di Nabucodonosor e dei suoi ministri, e poi rimarrà come nei tempi antichi, detto del Signore.”

“Tu, mio servo Giacobbe, non temere, detto del Signore, perché Io sono con te; Io farò sterminio di tutti i popoli fra i quali ti ho cacciato, ma di te non farò sterminio; non ti lascerò però impunito, ma ti castigherò secondo giustizia.”

domenica 6 gennaio 2013

Va'erà

(Es.6,2-9,35)

Comincia qui la narrazione relativa alle cosiddette “piaghe d'Egitto” che terminerà poi nella parashah della prossima settimana. Anche qui prendono corpo alcune considerazioni a commento dei fatti narrati che esamineremo via via strada facendo.

Il Signore disse a Mosè di avere ascoltato il gemito dei figli d'Israele schiavi in Egitto e di essersi ricordato del patto che aveva fatto con Abramo, Isacco e Giacobbe. Mosè quindi doveva dire ai figli d'Israele che il Signore li avrebbe liberati dalla schiavitù, eleggendoli come popolo a Lui appartenente e li avrebbe introdotti nella terra che aveva promessa ai loro padri.

Mosè riportò le parole del Signore ai figli d'Israele, ma queste parole non li scossero ed essi non l'ascoltarono, tanto il loro animo era ormai depresso per la dura schiavitù cui erano sottoposti.

Il Signore disse allora a Mosè: - Va' dal Faraone e chiedigli che lasci andar via dal suo paese i figli d'Israele.

Al che Mosè replicò: - Già i figli d'Israele non mi hanno ascoltato, come potrebbe il Faraone dare ascolto a me, che per giunta sono balbuziente?

Il Signore allora parlò a Mosè e ad Aron insieme ed a tutti e due dette l'incarico di recarsi dal Faraone per chiedere la liberazione e l'uscita dall'Egitto del popolo d'Israele. Aron era il fratello maggiore di Mosè e quando avvennero questi fatti essi avevano rispettivamente ottantatrè ed ottanta anni.
Sarebbero andati dal Faraone, disse il Signore, e Mosè avrebbe detto ad Aron quello che Lui, il Signore, aveva comandato ed Aron avrebbe parlato al Faraone chiedendogli di lasciar partire i figli d'Israele dal suo paese. Ma il Faraone, proseguì il Signore, non li avrebbe ascoltati e avrebbe negato la liberazione del popolo d'Israele e la sua ostinazione sarebbe stata vinta solo dopo che una serie di tremendi castighi divini avessero percosso l'Egitto.

Il Signore, rivolto a Mosè ed Aron, disse ancora: - Quando il Faraone vi dirà di dargli una prova della vostra missione, tu Mosè dirai ad Aron di gettare la sua verga in terra davanti al Faraone e la verga si tramuterà in serpente.

E così avvenne, ma quando Aron gettò la verga in terra e questa si tramutò in serpente, il Faraone fece venire i suoi maghi che fecero altrettanto. Il serpente di Aron allora divorò i serpenti dei maghi, ma neanche così il Faraone si convinse e né li volle più ascoltare.

Ecco che in questa parte iniziale ha preso corpo la distinzione fra i due fratelli. Aron il primogenito, come spesso avviene proprio ai primogeniti nella narrazione biblica, non brilla di luce propria ma di luce riflessa, ha il compito di supportare il fratello minore Mosè e di eseguire quello che lui gli dice per ispirazione divina. Mosè, d'altra parte, è la figura di primo piano, che dialoga con il Signore ricevendone indicazioni, istruzioni e ordini, ma che ha però un impedimento a parlare con gli uomini. Potremmo dire che Mosè è la mente e Aron il braccio. Vedremo Aron essere il capostipite della classe sacerdotale, eppure sarà Mosè a dialogare con il Signore e sarà Mosè l'unico uomo ad aver visto il Signore, di spalle. E' probabile che si sia voluto esprimere una distinzione tra Mosè che è il conduttore del popolo che procede seguendo un tracciato ispirato dal Signore e Aron che è il custode pedissequo dei rituali religiosi e di quelle norme che poi confluiranno nelle norme halakiche. La complementarità tra le due figure ci fa azzardare l'ipotesi che potrebbe persino trattarsi dei due aspetti di una stessa persona, in ciò rafforzati dall'indulgenza che Mosè dimostrerà ad Aron nell'episodio del vitello d'oro, come vedremo più avanti.

Disse allora il Signore a Mosè di recarsi al mattino sulla riva del Nilo dove avrebbe incontrato il Faraone ed a lui avrebbe detto: - Il Signore Dio degli Ebrei mi ha mandato a te per dirti: Lascia in libertà il mio popolo che Mi presti culto nel deserto; ma tu non hai obbedito finora. Così dice il Signore: Ecco ciò che ti farà conoscere che Io sono il Signore: Io vado a battere con la verga che ho in mano le acque del fiume, ed esse si convertiranno in sangue. I pesci del fiume morranno e il fiume imputridirà, cosicché gli Egiziani non potranno più bere l'acqua del fiume.

Aron, così come Mosè gli aveva detto, stese la mano con la verga sulle acque e tutte le acque d'Egitto si tramutarono in sangue. Ma poiché anche i maghi egiziani fecero altrettanto, il Faraone non dette ascolto alla richiesta del Signore che Mosè gli aveva riferito.

Dopo sette giorni il Signore disse a Mosè di recarsi nuovamente dal Faraone e dirgli: - Così comanda il Signore: lascia andare via il Mio popolo affinché Mi presti culto. Che, se tu rifiuti la liberazione, Io mi appresto a infestare tutto il tuo territorio con le rane. Il fiume brulicherà di rane che verranno a galla e si spargeranno nella tua casa, nella tua stessa camera dove dormi, sul tuo letto, nelle case dei tuoi servi, in quelle del tuo popolo, nei tuoi forni e nelle tue madie. Le rane andranno addosso a te stesso, al tuo popolo e ai tuoi servi.

Aron, così come comandato da Mosè, stese la mano sulle acque d'Egitto e le rane si sollevarono dal fiume invadendo tutto il paese. Altrettanto fecero anche i maghi e l'invasione delle rane divenne insopportabile.

Il Faraone mandò a chiamare Mosè e Aron e disse loro di pregare il Signore di allontanare le rane dal paese e che egli allora avrebbe fatto partire il popolo d'Israele affinché prestasse culto al Signore. Mosè e Aron rivolsero preghiera al Signore perché cessasse l'invasione delle rane e il Signore li ascoltò e le rane scomparvero dall'Egitto. Ma il Faraone ancora una volta indurì il suo cuore e non li ascoltò.

Allora il Signore disse a Mosè di dire ad Aron di stendere la sua verga e di batterla sulla polvere della terra che così si tramutò in zanzare. Le zanzare invasero tutto il paese e si annidarono sugli uomini e sul bestiame. I maghi non riuscirono a far sparire gli insetti, ma il cuore del Faraone rimase indurito e non dette ascolto alla richiesta del Signore.

Il Signore disse a Mosè di recarsi l'indomani dal Faraone per dirgli: - Così dice il Signore: Lascia andare il Mio popolo che Mi presti culto. Che se tu rifiuti di lasciare in libertà il mio popolo Io manderò contro di te, i tuoi servi e il tuo popolo, dentro le tue abitazioni un miscuglio di mosconi dannosi che invaderanno le case egiziane e il territorio sul quale gli Egiziani dimorano. E in quel giorno farò distinzione fra la terra di Gòshen in cui risiede il mio popolo, nella quale non vi sarà castigo, affinché tu riconosca che Io solo sono il Signore della terra. Sì! Farò distinzione fra il mio popolo e il tuo, domani avverrà questo prodigio.

E così avvenne e tutto il territorio d'Egitto fu invaso da miscugli di mosconi dannosi. Il Faraone mandò a chiamare Mosè e Aron e disse loro: - Andatevene, fate sacrifici al vostro Dio rimanendo nel paese.

Mosè rispose che questo non era possibile, giacché per effettuare i loro sacrifici avrebbero dovuto immolare animali che gli Egiziani consideravano sacri e se l'avessero fatto in Egitto sarebbero stati certamente uccisi. Concluse pertanto Mosè: - Noi vogliamo andare nel deserto per un cammino di tre giorni e là offriremo sacrifici al Signore Dio nostro come Egli ci comanderà.

Il Faraone rispose: - Vi lascerò andare a far sacrifici al Signore Dio vostro nel deserto, ma non vi allontanate troppo. Pregate intanto perché cessi la piaga dei mosconi.

Mosè pregò il Signore e cessò l'invasione dei mosconi. Anche questa volta però, nonostante Mosè l'avesse sollecitato a mantenere la promessa, il Faraone indurì il suo cuore e non volle lasciar andare i figli d'Israele.

Il Signore disse a Mosè di recarsi dal Faraone per dirgli: - Così comanda il Signore Dio degli Ebrei: lascia andare via il Mio popolo affinché Mi presti culto. Che se tu rifiuti di liberarlo e ancora persisti nel trattenerlo, la mano del Signore si poserà sul tuo bestiame che è nella campagna, sui cavalli, gli asini e i cammelli, sul bestiame grosso e minuto con una terribile pestilenza. E il Signore farà una distinzione fra il bestiame d'Israele e quello d'Egitto, né perirà alcunché di quanto appartiene ai figli d'Israele.

L'indomani una terribile pestilenza colse il bestiame degli Egiziani, che morì completamente, mentre tra quello dei figli d'Israele non morì nemmeno un capo. Anche questa volta il Faraone rimase ostinato e non lasciò andar via il popolo d'Israele.

E allora il Signore disse a Mosè e Aron di prendere con le mani fuliggine di fornace e gettarla in aria alla presenza del Faraone. La fuliggine sarebbe diventata pulviscolo nell'aria di tutto l'Egitto e posandosi su uomini e animali avrebbe prodotto ulcerazioni sulla loro pelle. I maghi, essi stessi vittime delle ulcerazioni, erano impotenti davanti a Mosè. Nonostante questo il Faraone anche questa volta rimase ostinato e non dette ascolto.

Il Signore disse a Mosè di recarsi l'indomani di buon mattino dal Faraone per dirgli che il giorno seguente sarebbe avvenuta una grandinata di una intensità tale che non c'era memoria nella storia d'Egitto e che tutto quanto fosse rimasto all'aperto, compresi uomini e animali, sarebbe stato distrutto. E così avvenne e l'indomani tutto il paese fu devastato dalla grandine, tutta l'erba e gli alberi furono distrutti e furono distrutti anche uomini e animali che non avevano trovato riparo.

Il Faraone mandò a chiamare Mosè e Aron e disse loro che riconosceva il proprio peccato e che il Signore era nel giusto mentre lui e il suo popolo erano colpevoli. Chiese il Faraone, ancora una volta, che pregassero il Signore affinché cessasse il flagello della grandine. E Mosè pregò il Signore e il Signore fece cessare la grandine. Ma il Faraone, visto che la devastazione era cessata, mantenne ancora una volta il suo cuore indurito e non dette ascolto alle richieste del Signore.

La vicenda delle piaghe d'Egitto, come quella che vedremo dell'apertura delle acque del Mar Rosso, possono anche riferirsi a fatti leggendari che traggono spunto da catastrofi naturali effettivamente verificatesi all'epoca ed a questo proposito si parla, per l'apertura del Mar Rosso, dell'esplosione del vulcano di Santorini o dell'impatto di un meteorite, ma certamente la narrazione non si prefigge l'esposizione di fenomeni naturali avvenuti. Il contenuto della narrazione trascende i fatti reali ed ha contenuto di insegnamento morale e religioso.

Cerchiamo di capire il comportamento del Faraone e più ancora cerchiamo di capire come mai il Signore sembri aver in un certo qual senso collaborato al dilungarsi di tutta la vicenda indurendo Lui stesso il cuore del Faraone, sovrapponendosi quindi alla sua facoltà di libero arbitrio.

Il Faraone era considerato in Egitto una divinità e come tale egli agiva e si comportava. E' naturale quindi che egli considerasse un oltraggio il fatto che qualcuno andasse da lui a dirgli che un Dio straniero ordinava che egli facesse qualcosa che tra l'altro egli non intendeva fare. Gli schiavi ebrei erano una risorsa, una ricchezza di mano d'opera, grazie alla quale il Faraone poteva realizzare nuove città e nuovi magazzini per le granaglie, che lo avrebbero messo al riparo da future carestie. Temeva il Faraone di perdere i suoi schiavi, temeva che fuggissero se mai li avesse autorizzati a recarsi per tre giorni nel deserto. La sua ostinazione derivava dal fatto, che egli valutava la possibile perdita degli schiavi un danno molto più grave rispetto a quelli che potevano produrre piaghe passeggere, che egli peraltro riusciva, a costo anche di mentire, a non far durare più di tanto.

Ma perché il Signore sembra aver tirato per le lunghe? Perché invece che indurire il cuore del Faraone, non lo ha invece intenerito come fece con la figlia del Faraone? La narrazione non si dilunga su questo aspetto, ma vi fa cenno molto brevemente quando dice che Mosè aveva parlato al popolo ma che non era stato ascoltato. Comprendere la chiave di questo aspetto è importante perché ci fa capire che il vero destinatario dei prodigi operati con le piaghe d’Egitto non è il Faraone, ma il popolo d’Israele. Questo popolo era stremato a tal punto dalla schiavitù, era così istupidito dalla stanchezza, da non riuscire nemmeno a seguire il discorso, che Mosè gli aveva rivolto. Occorreva allora che accadesse qualcosa, una serie di cose, una serie di prodigi che potessero scuoterlo da questo torpore e risvegliarne l'attenzione e l'aspettativa per il proprio futuro. Questi fatti prodigiosi sono le disgrazie che capitarono agli Egiziani e che lasciarono indenni gli Ebrei che abitavano la regione di Gòshen. In questo modo il popolo d’Israele sarà finalmente pronto a ricevere quanto il Signore comanderà per bocca di Mosè.


Haftarà di Va’erà
(estratto da Ez.28,24-29,21)

Quando il regno di Giuda venne assalito da Nabucodonosor, re di Babilonia, molti tra gli ebrei avevano sperato che l’Egitto venisse in aiuto, ma ciò non avvenne e l’esercito babilonese espugnò Gerusalemme nel 586 a.e.v., distrusse il Tempio e deportò l’élite culturale e sociale del popolo ebraico a Babilonia.

“Nell’anno ventisettesimo al primo del primo mese, si rivolse a me la parola del Signore dicendo: - Figlio d’uomo, Nabucodonosor re di Babilonia ha sottoposto il suo esercito a un duro servizio contro Tiro: ogni testa è diventata calva ed ogni spalla scorticata, ma egli e il suo esercito non ebbero alcun guadagno dal lavoro che hanno fatto contro Tiro. Perciò così dice il Signore D-o: Io do a Nabucodonosor re di Babilonia il paese d’Egitto: egli prenderà le ricchezze di questo, vi farà preda e bottino, e questo sarà il guadagno per il suo esercito. Come mercede del suo lavoro gli do la terra di Egitto, perché essi hanno agito per Me, detto del Signore D-o. In quel giorno farò spuntare il corno dalla casa d’Israele e a te darò la possibilità di parlare in mezzo a loro, ed essi riconosceranno che Io sono il Signore.”