lunedì 28 gennaio 2013

Ytrò

(Es.18,1-20,26)

La notizia dei prodigi operati dal Signore per liberare il popolo di Israele dalla schiavitù e farlo uscire dall'Egitto giunse a Ytrò, suocero di Mosè. Ytrò si diresse allora nel deserto dove Mosè era accampato recando con sé la moglie di lui Zipporà ed i suoi figli Ghershom e Eliezer.

Mosè andò incontro al suocero, si prostrò a lui, lo baciò e lo salutò calorosamente. Poi lo condusse nella sua tenda e gli raccontò tutte le peripezie vissute con il suo popolo dalla fuga dall'Egitto fino alla marcia nel deserto e con quali prodigi il Signore li avesse salvati.

Ascoltato il racconto di Mosè, Ytrò disse: - Benedetto sia il Signore che vi ha salvato dalle mani degli Egiziani e del Faraone e che ha sottratto questo popolo dal dominio dell'Egitto. Ora io riconosco che il Signore è il più grande di qualsiasi divinità, poiché nella maniera nella quale gli Egiziani insolentirono contro di essi furono puniti.

Ytrò offrì quindi sacrifici ed olocausti al Signore e il giorno dopo assistette ad una udienza che Mosè dava al popolo per amministrare la giustizia. Vide che il genero conduceva l'udienza per l'intera giornata e che dirimeva e giudicava questioni di ogni genere, dalle più banali alle più complesse. Allora Ytrò suggerì a Mosè di nominare dei magistrati per la trattazione di tutte le questioni ordinarie, mentre sarebbero rimasti sottoposti al suo giudizio solamente gli argomenti di maggiore importanza. Mosè valutò positivamente il consiglio del suocero e mise in atto quanto gli aveva suggerito e quindi si congedò da lui che tornava al suo paese in terra di Midian.

Molti si sono posti la domanda se Ytrò possa considerarsi il primo proselita dell'ebraismo e molte risposte schivano l'essenza della domanda rispondendo che egli è certamente da ritenere un saggio, che però la sua posizione si delinea prima dell'assegnazione della legge da parte del Signore. E' un argomento delicato perché se è pur vero che Ytrò si è dichiarato convinto che il Signore d'Israele sia l'unico autentico Dio e se è parimenti vero che al Signore d'Israele egli ha offerto sacrifici, è anche vero che egli non solo non compirà il viaggio di quarant'anni nel deserto, ma effettivamente non avrà modo di conoscere la legge del Signore, per una smagliatura temporale, per essersi recato da Mosè poco prima e non poco dopo che questi ricevesse la legge.

I figli d'Israele ripresero la marcia e si addentrarono nel deserto del Sinài. Si arrestarono davanti al monte e qui Mosè salì incontro al Signore e Questi lo chiamò dall'alto e gli disse di riportare questo messaggio ai figli d'Israele: - Voi avete visto con i vostri occhi ciò che Io feci agli Egiziani, vi portai come su ali di aquila e vi feci giungere presso di Me. Ordunque se voi ubbidirete alla Mia voce e manterrete il Mio patto, sarete per Me quale tesoro fra tutti i popoli, poiché a Me appartiene tutta la terra. E voi sarete per Me un reame di sacerdoti, una nazione consacrata.

Il popolo unanimemente rispose: - Tutto ciò che ha detto il Signore noi lo eseguiremo.

Mosè riferì la risposta che i figli d'Israele avevano dato ed il Signore gli disse di far purificare il popolo e che lavassero i loro indumenti e si astenessero da rapporti sessuali, giacché al terzo giorno Egli, il Signore, sarebbe sceso sul monte Sinài alla presenza del popolo. Mosè avrebbe messo un segnale di confine attorno al monte affinché il popolo non lo oltrepassasse, ché altrimenti avrebbero trovato la morte. Quando si sarebbe udito lo shofar suonare a lungo, allora anche Aron, i suoi figli ed i settanta anziani d’Israele avrebbero potuto salire sul monte.

Al terzo giorno ci furono tuoni lampi ed una fitta nebbia avvolgeva il monte e si udì forte il suono dello shofar. Mosè fece uscire dall'accampamento il popolo, che si fermò ai piedi del monte. Il Signore era disceso sul monte che era tutto fumante come una fornace e si scuoteva violentemente, e lo strepito dello shofar andava sempre più rafforzandosi. Il Signore chiamò Mosè e questi salì in cima e qui il Signore gli disse di porre il confine alla base del monte e di dichiararlo sacro e che nessuno si avvicinasse, nemmeno i sacerdoti. Infine disse il Signore a Mosè: - Va' e discendi e poi risalirai accompagnato da Aron, ma i sacerdoti e il popolo non tentino di salire verso il Signore, perché potrebbero essere colpiti.

Mosè ridiscese e riferì ciò che gli era stato comandato. Si udì quindi la voce del Signore pronunciare le dieci parole, i dieci comandamenti, la legge che Egli in quel momento dava ai figli d'Israele:

1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dei al Mio cospetto.
3) Non pronunziare il nome del Signore Dio tuo invano.
4) Ricordati del giorno del Sabato per santificarlo.
5) Onora tuo padre e tua madre.
6) Non uccidere.
7) Non commettere adulterio.
8) Non rubare.
9) Non fare falsa testimonianza.
10) Non desiderare ciò che appartiene ad altri.

I primi quattro sono comandamenti religiosi mentre gli altri sei hanno contenuto etico e regolano la convivenza sociale. Il decimo comandamento è forse il più severo tra i comandamenti negativi perché vieta non un'azione concreta ma un pensiero. Non sono elencati in ordine di importanza, ma forse si tratta di una sequenza logica nel senso che il mancato rispetto del precedente incentiva la trasgressione del successivo.

Il popolo, che era stato testimone di tutti quei lampi, tuoni e fragori era ora timoroso e disse a Mosè: - Sii tu a parlarci e noi potremo ascoltare, ma che il Signore non ci parli, ché potremmo morire.

E Mosè rispose: - Non temete affatto; è soltanto per mettervi alla prova che il Signore è venuto a voi affinché il timore di Lui vi sia sempre presente in modo che non abbiate a peccare.

Il popolo rimase lontano dal monte mentre Mosè si addentrava nella nube dove era il Signore. E il Signore disse a Mosè di riferire al popolo queste parole: - Voi foste testimoni che dall'alto del cielo Io vi ho parlato. Non associate a me nessuna divinità né d'argento, né d'oro, nessuna ne farete per vostro uso.

E proprio queste saranno le parole alle quali il popolo a breve contravverrà quando adorerà come proprio idolo il vitello d'oro. Ma questa è un'osservazione facile da fare con il senno di poi e che non tiene conto di due attenuanti dei comportamenti umani e cioè le circostanze e il tempo. Nel confronto con il Signore l'uomo è chiaramente un essere molto debole perché spesso è incostante ed influenzabile e più ancora, anche se è restio a confessarlo, perché lui, l'uomo, è mortale, lui vive nel tempo e nel tempo si consuma e quindi per lui è molto importante che ciò che egli desidera si compia, ma anche che si compia presto e spesso è l'impazienza, imposta dall'angoscia del tempo, che fa sì che egli non sappia aspettare.

Impartisce infine il Signore a Mosè istruzioni per erigere un altare in terra o in pietra non scalpellata e per la realizzazione dell’accesso privo di scalini.


Haftarà di Ytrò
(Is.6,1-7,6;9,5-9,6; estratto)

Al tempo della morte del re Uzzià di Giuda, apparve al profeta Isaia il Signore che a lui dette l’incarico di recare al popolo d’Israele la parola divina.

“… vidi il Signore seduto su un seggio alto, e elevato, e i lembi del Suo abito ricoprivano il Santuario. Al di sopra di Lui stavano in piedi i Serafim ciascuno dei quali aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva le gambe e con due volava. E l’uno rivolto all’altro proclamava: - Santo, santo, santo è il Signore Tsevaòth, tutta la terra è piena della Sua gloria.

E le fondamenta delle soglie si scossero al suono della voce che proclamava, e la stanza si riempì di fumo. Ed io dissi: - Ohimè ! Io sono perduto, perché essendo io impuro di labbra, i miei occhi hanno visto il Re Signore Tsevaòth.

Allora volò su di me uno dei Serafim che aveva un carbone acceso preso di sull’altare con le molle. Recatolo poi sulla mia bocca disse: - Avendo questo toccato la tua bocca, la tua colpa è tolta e il tuo peccato è espiato.

Allora udii la voce del Signore che diceva: - Chi manderò? Chi andrà per Noi?

Ed io risposi: - Eccomi pronto, manda me.

E il Signore mi disse: - … Questo popolo rende la sua mente coperta di grasso, dure di udito le sue orecchie, spalmati i suoi occhi, cosicché con i suoi occhi non vedrà, con le sue orecchie non udrà, con la sua mente non comprenderà, non ritornerà al bene e non sarà risanato.

Io dissi: - Fino a quando, o Signore?

E il Signore rispose: - Fino a che non siano deserte le città, … . E quando sarà rimasto un decimo della popolazione, tornerà ad esservi distruzione; ma avverrà quel che avviene della quercia e del terebinto nei quali un rampollo duraturo germoglia da quello che da essi viene gettato: il rampollo duraturo sarà come una progenie santa.”

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