domenica 3 febbraio 2013

Mishpatim

(Es.21,1-24,18)

Il Signore assegna a Mosè gli statuti che il popolo dovrà osservare. Sono le norme che regoleranno il funzionamento della nuova società che si formerà gradualmente nell'arco dei quarant'anni trascorsi nel deserto: il popolo dei figli d'Israele. Le dieci Parole, i Comandamenti, sono un po' come la carta costituzionale, in quanto esprimono i princìpi che devono ispirare la condotta del popolo d'Israele, mentre le norme degli statuti sono un po' l'equivalente dei nostri codici, civile e penale, dove è detto per i diversi rami di attività ciò che si deve fare, come si deve fare e quale sia la sanzione per chi trasgredisca. L'assetto normativo è quindi come un albero dove il tronco corrisponde alle dieci Parole e i rami alle diverse norme statuali.

Iniziano gli statuti dettando le norme che regolano la schiavitù. La mano d'opera era a quel tempo ancora più apprezzata di quanto non lo sia al giorno d'oggi, non solo perché non c'erano sindacati, ma ancor più perché all'epoca, ovviamente, non esistevano tutti quei macchinari che potessero essere d'ausilio nello svolgimento dei lavori. Il lavoro si eseguiva con mano d'opera costituita da schiavi o da salariati e l'aiuto alla mano d'opera era costituito dal bestiame sia per i trasporti, sia per il lavoro dei campi. Lo schiavo era addetto a lavori e mansioni che dovevano svolgersi con una certa uniformità nell'arco di tutto l'anno, mentre il ricorso alla mano d'opera salariata avveniva per i lavori stagionali.

Si comincia dunque con lo stabilire che lo schiavo ebreo, trascorsi sei anni in schiavitù, al settimo deve essere posto in libertà senza riscatto. Questa regola non valeva per gli schiavi non ebrei che invece erano di permanente proprietà dei loro padroni. Un ebreo libero diveniva schiavo quando era venduto e ciò avveniva o per sua volontà o per condanna inflitta dal tribunale quando, resosi colpevole di furto, non avesse di che risarcire. Al momento della liberazione lo schiavo poteva rinunziarvi dichiarando di voler rimanere a servire il suo padrone. In questo caso il padrone lo conduceva in tribunale e qui gli forava un orecchio a testimonianza della sua proprietà definitiva.

Ma, nell'ambito degli schiavi ebrei, oltre il caso della vendita degli schiavi maschi c'era anche quello delle femmine. Poteva avvenire infatti che un padre vendesse la propria figlia giovinetta ad un altro uomo affinché lo accudisse per qualche anno e poi, giunta all'età del matrimonio, andasse sposa a lui o a suo figlio, o comunque ricevesse sostentamento e coabitazione. Ove ciò non fosse avvenuto la giovane avrebbe riacquistato la libertà senza riscatto.

Si passa quindi a trattare il caso dell'omicidio distinguendone le tipologie tra volontario, colposo e premeditato. Per l'omicidio volontario la pena prevista era la condanna a morte, anche se ciò appare in netto contrasto con il sesto Comandamento che prescrive di non uccidere. Nella Torà spesso il Signore punisce con la morte, ma lo fa' quando i comportamenti umani mettono in pericolo l'attuazione del Suo disegno divino. La condanna a morte dell'omicida peraltro era inflitta da un tribunale che avrebbe valutato l'esistenza di circostanze attenuanti. Per l'omicidio colposo era previsto che il colpevole si trasferisse in una delle città rifugio, sia per non offendere con la sua presenza i parenti del morto, sia per sfuggire ad eventuali rappresaglie da parte di costoro. La premeditazione costituiva un'aggravante dell'omicidio volontario.
La pena di morte era prevista anche nel caso di percosse ai genitori o nel caso che nei loro confronti venisse pronunciata maledizione.

Si fa' quindi il caso di una persona percossa che sia rimasta a letto per un certo tempo e poi sia costretta per camminare a servirsi del bastone. In questo caso il colpevole risarcirà l'offeso pagando la degenza, le cure e i danni.

Nel corso dell'elencazione dei reati e delle pene compare la frase che esprime il criterio da seguire per stabilire le pene:

"Occhio per occhio, dente per dente,mano per mano, piede per piede. Bruciatura per bruciatura, piaga per piaga, contusione per contusione."

Questa frase ha alimentato, al di fuori del mondo ebraico, la credenza che la legge degli ebrei fosse improntata alla vendetta e non conoscesse il perdono. E' evidente che questa credenza non risponde a verità e ciò non solo perché il perdono è un sentimento ben presente nell'ebreo e qui vale ricordare al proposito il perdono che a Yom Kippur l'ebreo deve chiedere e ottenere per le azioni che abbiano causato danno ad altri, ma anche perché la frase citata va intesa non in senso letterale ma in senso risarcitorio. Così "occhio per occhio" significa che se ho causato la perdita di un occhio ad un'altra persona dovrò risarcire il danno valutando quale perdita avrei io se perdessi un occhio. Ne viene fuori che il risarcimento per il danneggiato varia in funzione del censo e dell'attività sia del danneggiato, sia di colui che ha prodotto il danno e quindi delle sue effettive possibilità risarcitorie.

Al giorno d'oggi qualcuno, a sostegno della vendicatività della natura ebraica, cita a volte il conflitto arabo-israeliano nel quale accade che ad ogni attacco arabo segua immediata la rappresaglia israeliana, sia essa un'incursione aerea dopo lanci di razzi verso il territorio israeliano ovvero una eliminazione mirata dopo un attentato. Questo qualcuno farebbe errori madornali nel sostenere la propria tesi. Innanzi tutto mentre esiste l'indole di un singolo individuo, forse è già da dubitare che esista l'indole di un popolo, specie quando questo popolo proviene dai quattro angoli della terra dove ha vissuto per duemila anni, subendo peraltro persecuzioni, vessazioni e disprezzo, essendo sempre attaccato senza mai attaccare. Né l'indole può attribuirsi ad una nazione, una nazione ha una politica e non un'indole e nel caso di Israele è la politica che ha stabilito la risposta colpo su colpo perché strategicamente Israele non può permettersi di perdere una guerra e nemmeno una battaglia perché l'esiguità del suo territorio lo vedrebbe ricacciato in mare in caso di sconfitta.

Ci sono poi negli statuti norme che tutelano gli schiavi dai maltrattamenti e norme che prevedono il caso di danni provocati da animali per i quali il proprietario della bestia è tenuto al risarcimento. Altre norme trattano dell'uccisione di un ladro sorpreso a rubare nella propria casa e poi ancora si passa al caso di furto di beni affidati in custodia.

E' previsto anche che chi seduce una vergine non fidanzata e che coabita con lei sia obbligato a sposarla pagando la dote fissata. Se il padre non concorda per il matrimonio, il seduttore dovrà pagare una somma pari alla dote stabilita per le vergini, che era pari a cinquanta sicli d'argento.

Seguono una norma che prevede la morte per la strega, ed un'altra che pure prevede la morte per chi compia sacrifici ad altra divinità che non sia il Signore. Sono norme queste di tutela non sociale ma religiosa, delicate per la loro applicazione, che facilmente potrebbe scivolare verso l'arbitrarietà qualora si tendesse di fatto a sbarazzarsi di qualcuno sulla base di prove fumose e non sostanziali.

Si prescrive poi di non ingannare e mettere in difficoltà lo straniero e di non opprimere la vedova e l'orfano. Si dice inoltre che non devono chiedersi interessi per i prestiti fatti a qualcuno del proprio popolo.

Ci sono poi, a proposito della presunta vendicatività del popolo ebraico, due norme che smentiscono questa presunzione e che riguardano gli animali appartenenti al proprio nemico: la prima prevede che se l'animale è smarrito e noi lo troviamo dobbiamo ricondurlo al suo proprietario; l'altra che, se si vede l'asino del nemico soccombente per l'eccessivo peso, si deve intervenire e prestare aiuto.

Gli statuti dettano norme per l'anno sabbatico, per cui per sei anni la terra sarà coltivata e al settimo anno sarà lasciata riposare. Così pure per sei giorni sarà consentito lavorare e al settimo giorno ci sarà il riposo per tutti, per la famiglia, per gli schiavi, per lo straniero, per gli animali.

Le norme assegnate si concludono con quelle relative alle feste di pellegrinaggio: la festa degli azzimi (Pesah), quella della mietitura (Shavuoth) e la festa del raccolto (Sukkoth). Nelle tre feste verranno offerti sacrifici al Signore.

Il Signore dice che il popolo debba sapere che Mosè li guiderà fino alla terra promessa, che Egli gradualmente libererà dalle popolazioni ivi dimoranti, per darla al Suo popolo, dal Mar Rosso al Mediterraneo e dal deserto fino all'Eufrate.

Poi il Signore disse a Mosè: - Sali verso il Signore con Ahron, Nadav, Avihù e settanta anziani d'Israele. E vi prostrerete da lontano.

Mosè avanzò da solo verso il Signore e gli altri non lo seguirono e non salirono con lui. Mosè ridiscese dal monte e trasmise al popolo tutte le parole del Signore e tutti gli statuti. E il popolo gridò: - Tutto quanto ha detto il Signore, noi lo eseguiremo.

Mosè scrisse tutte le Parole del Signore e il mattino dopo eresse un altare ai piedi del monte ed innalzò dodici monumenti, uno per ogni tribù, poi disse ai giovani d'Israele di offrire olocausti al Signore. Mosè prese metà del sangue e lo mise in alcuni bacili mentre con l'altra metà spruzzò l'altare. Lesse Mosè le Parole del Signore e il popolo disse: - Tutto ciò che ha pronunziato il Signore, eseguiremo e obbediremo.

Mosè asperse il popolo con il sangue contenuto nei bacili e disse: - Questo è il sangue dell'alleanza che il Signore conclude con voi riguardante tutte queste parole scritte nel libro del patto.

Mosè con Ahron e Nadav e Abihù, accompagnati dai settanta anziani d'Israele salirono sul monte e contemplarono la Divinità d'Israele, ebbero la visione del Signore e non morirono e poi mangiarono e bevvero. E il Signore disse a Mosè: - Sali verso di Me sul monte e rimani là e Io ti darò le tavole di pietra, la legge e i precetti che Io ho scritto per istruirli.

Mosè salì sul monte e il monte fu avviluppato da una fitta nebbia. Per sei giorni la nube della maestà divina avvolse il monte e al settimo giorno il Signore chiamò Mosè. La maestà divina appariva ai figli d'Israele come un fuoco che divorava la sommità del monte. Mosè entrò nella nube e lì rimase per quaranta giorni e quaranta notti.


Haftarà di Mishpatim
(estratto da Ger.34,8-22; 33,25-26; 35,1-11)

“Quando Io trassi i vostri padri dalla terra d’Egitto, dalla casa degli schiavi, stabilii con loro un patto dicendo: In capo a sette anni dovrete mandare libero lo schiavo ebreo che era stato venduto a ciascuno di voi: ti servirà sei anni e poi lo manderai libero.

… voi oggi siete tornati a comportarvi rettamente dinanzi a Me, col proclamare emancipazione ciascuno al suo compagno, … . Ma poi siete tornati a profanare il Mio nome, avete ripreso ciascuno lo schiavo e la schiava che avevate mandati liberi … siccome voi non Mi avete dato retta proclamando emancipazione ciascuno al suo fratello e al suo compagno: ecco Io proclamo emancipazione alla spada, alla pestilenza, alla fame … .

I prìncipi di Giuda, i prìncipi di Gerusalemme, i ministri, i sacerdoti e tutta la popolazione del paese, … li consegnerò in mano dei loro nemici e di quelli che attentano alla loro vita, e i loro cadaveri saranno cibo agli uccelli che volano verso il cielo e agli animali della terra e Zedekiah re di Giuda e i suoi prìncipi darò in mano dei loro nemici e di quelli che attentano alla loro vita, in mano dell’esercito del re di Babilonia …”

“Noi non beviamo vino, perché nostro padre Jonadav figlio di Rechav ci ha dato questo ordine: ‘Non bevete vino mai, né voi né i vostri figli; e non costruite delle case, non seminate alcuna specie di seme, non piantate vigne e non possedetene, ma abitate in tende durante i vostri giorni, affinché viviate a lungo nella terra dove abitate.’

… . Ma quando Nabucodonosor entrò contro il nostro paese abbiamo detto: Entriamo a Gerusalemme per sfuggire all’esercito dei Caldei e all’esercito di Aram, e abbiamo preso residenza in Gerusalemme.”


(Zedekia è catturato dai Babilonesi, i suoi figli sono uccisi davanti a lui e poi egli viene accecato.)

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