lunedì 26 settembre 2011

Haazinu

(Deu.32)
Nei cinque libri della Torah ci sono solamente due cantiche: la prima è “Shirat hayam”, la cantica del mare (Es.14,30-15,18) la seconda è questa “Haazinu”, porgete orecchio.
La prima è una cantica che Mosè intona dopo aver assistito al prodigio delle acque che si erano dapprima aperte per far passare il suo popolo e poi richiuse sull’esercito egiziano che lo inseguiva. La seconda è al termine del viaggio, sulla linea di confine della terra promessa.
La prima nasce per iniziativa di Mosè che intende rivolgere al Signore un canto di ringraziamento e di lode per i prodigi che hanno condotto alla salvezza del Suo popolo. La seconda invece è una cantica che il Signore ha ordinato di scrivere e di insegnare ai figli d’Israele e di porla nelle loro bocche, sicché costituisca testimonianza contro di loro:

E ora scrivetevi questo cantico ed insegnatelo ai figli d’Israele e ponetelo nelle loro bocche onde questo cantico sia per Me testimonianza contro i figli d’israele”.

Testimonianza contro i figli d’Israele sarà quando essi dimenticheranno il patto con il Signore e ricadranno nell’abominio dell’idolatria. Si snoda quindi la cantica per quasi tutto il capitolo 32.

Porgete orecchio, o cieli, ed io parlerò ed oda la terra i detti della mia bocca”.

E’ un approccio maestoso perché se i cieli e tutta la terra sono esortati ad ascoltare è evidente che le parole che si stanno per pronunciare non sono certo parole da poco, saranno parole che richiederanno testimonianza, parole che renderanno pubblico il patto che il Signore ha inteso stabilire con il Suo popolo.

Quando io invocherò il nome del Signore, magnificate il nostro Dio. Iddio è perfetto nel Suo operare, poiché tutte le Sue azioni sono giustissime; è un Dio fedele senza iniquità, giusto e retto Egli è”.

Il Signore dunque dovrà essere magnificato dal Suo popolo perché in Lui risiedono la perfezione, la giustizia e la fedeltà. Se i figli d’Israele soffrono non sarà quindi colpa del Signore, ma colpa dei Suoi stessi figli.

Così ricompensate il Signore? O popolo stolto ed insensato; non è forse Egli tuo padre, che ti fece Suo? Egli ti ha fatto libero e ti ha costituito in nazione”.

Segue poi un passo che può dare adito ad diverse interpretazioni, potendo persino costituire, per quanto riguarda l’origine umana, l’anello di congiunzione tra la teoria creazionista e quella evoluzionista, teorie queste elaborate dall’essere umano in contrapposizione tra loro. Teorie che sono separate e compartimentate, perché l’essere umano ragiona per schemi, per “quanti” direbbero i fisici, ed ogni schema è un compartimento, una scatola chiusa, qualcosa che ha un principio ed una fine, qualcosa comunque di “finito” e perciò accessibile all’intelletto umano. Ma questi schemi sono semplificazioni che hanno sì il pregio di essere accessibili alla mente umana, ma che però non costituiscono l’esatta interpretazione di ciò che nella realtà avviene, che comunque è qualcosa di solitamente più complesso ed i cui singoli elementi la mente umana spesso non riesce a percepire, accontentandosi quindi della grossolanità di uno schema interpretativo.
Incontriamo la narrazione della creazione dell’uomo in Genesi 1,27 nel sesto giorno della creazione del mondo:

Dio creò l’uomo a Sua immagine; lo creò a immagine di Dio; creò maschio e femmina”.

E più avanti, in Genesi 2,7 si dice ancora:

Il Signore Dio formò l’uomo di polvere della terra, gli ispirò nelle narici il soffio vitale e l’uomo divenne essere vivente”.

In entrambi i passi di Genesi si dice quindi che ad essere creato fu “l’uomo”, non un essere intermedio, ma un essere vivente a immagine di Dio, già nella sua connotazione stabile e sostanzialmente corrispondente a quella finale che noi conosciamo. Questa è l’interpretazione “creazionistica”, che sostiene appunto che l’uomo fu creato sin dall’inizio con una configurazione fisica ed intellettiva e con una potenzialità sentimentale ed intuitiva, che era già sostanzialmente quella dell’uomo d’oggi.

Ora, nella nostra parashà , al capitolo 32, versetto 10, si dice:

Lo trovò in un paese deserto, in un territorio desolato dove urlavano gli animali selvaggi ed Egli lo circondò di cure, lo istruì e lo protesse come la pupilla del Suo occhio, … ”.

Ed è qui, su questo passo, che le interpretazioni possono essere molteplici.
Poiché nella narrazione biblica non ci sono altri riferimenti a questo territorio popolato da animali selvaggi, una interpretazione allineata con la teoria creazionista potrebbe esprimere che questa citazione debba essere intesa non in senso reale, ma in senso metaforico, simbolico e che quindi il popolo, prima che fosse stabilito il patto dell’alleanza, dovesse ritenersi vivere in uno stato paragonabile al semiselvatico, come se avesse dovuto sopravvivere in un territorio popolato da belve feroci. Mi sembra che questa interpretazione, che potrebbe assumersi a sostegno della teoria creazionista, sia però un po’ troppo fantasiosa e quindi poco accettabile. Mi domando perché non fare un passo ulteriore e dire semplicemente che l’essere umano che viveva in un territorio desolato, ma popolato da animali selvaggi era anch’esso un essere selvaggio, poiché altrimenti non sarebbe stato in grado di sopravvivere nell’ambiente ostile in cui si trovava a dover vivere. Questo non vuol dire che fosse un animale, era già un essere umano e come tale in possesso di tutte le potenzialità proprie di un essere umano, sia quelle che noi oggi siamo abituati ad associare ad esso, in termini di fisicità, di razionalità, di sentimento e di intuizione, sia quelle per così dire “perdute”, come la forza, l’istinto, la percezione, intesa questa non tanto come livello elevato di comprensione, ma di sesto senso, che è quella dote che ancora gli animali hanno che è quella di avvertire in anticipo l’arrivo di una tempesta o di un terremoto, facoltà queste che erano necessarie alla sopravvivenza in un ambiente non amico, e che perciò erano in lui spiccatamente presenti. Solo quando avrà raggiunto una sufficiente capacità di controllo dell’ambiente in cui vive, l’essere umano potrà attenuare le facoltà di sopravvivenza e sviluppare le facoltà per così dire “gestionali” del mondo, tornando così al compito iniziale, come è espresso in Genesi 2,15:

Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse”.

Dove coltivare e custodire significa amare, sviluppare, preservare un bene che ci è stato affidato in uso: la Terra è del Signore e noi siamo i suoi amministratori, coloro ai quali la Terra è stata affidata e che dovranno rendere conto del proprio operato, al Signore ed alle generazioni che verranno, per ricevere lode se avranno bene operato o riprovazione se la loro opera sarà stata dannosa. E la Terra non sono solo zolle, … la Terra sono tutte le specie di piante e di animali, … la Terra sono tutti gli uomini che la popolano.
Oggi la teoria “evoluzionistica” di Charles Darwin, che così a lungo ha trovato il favore degli scienziati e che per tanto tempo ha messo in forse il “creazionismo” biblico, oggi questa teoria vacilla, è messa a sua volta in discussione alla luce di scoperte paleontologiche e scientifiche che parrebbero affermare la peculiarità della specie umana e la sua retrodatazione, al punto di non dare spazio ad epoche temporali in cui l’evoluzione della specie umana avrebbe potuto avvenire partendo da specie diverse e meno sviluppate o meno adatte al loro ambiente.
Ma allora perché non eliminare la compartimentazione delle due teorie e non ricucirle invece insieme per dipanare un’unica teoria che sia creazionista ed evolutiva insieme, certamente però nei limiti della peculiarità della specie che le attuali cognizioni paiono confermare.
E’ una teoria che conferisce all’evoluzionismo della specie umana il connotato di un percorso di metamorfosi condizionato dall’ambiente in cui l’uomo opera e dalle capacità che egli sviluppa guidato dalla ricerca di migliori vantaggi, tutto sommato è una teoria della civiltà.
Certo non sarà questa teoria allineata con quella di Darwin, perché non si pronuncerà sulla riconducibilità di specie diverse a comuni specie originarie, come rami principali di un albero dal quale dipartano numerosi i secondari. Sarà però sancito il principio del cammino compiuto dall’uomo, da uno stato iniziale assimilabile a quello di un animale selvatico, per poi passare a forme di associazione, inizialmente gruppi familiari, poi tribù e poi forme più complesse ed articolate di convivenza sociale.

Ma l’essere umano, prosegue la cantica, che il Signore aveva protetto ed istruito divenne recalcitrante ed offese il Signore tornando ancora all’abominio dell’idolatria.

Il Signore vide e si sdegnò per l’ira che gli provocavano i Suoi figli e le Sue figlie. E disse: - Nasconderò loro la Mia faccia e vedrò come andranno a finire, perché essi sono una generazione perversa, figli senza fede”.

Fame, febbre, pestilenza affliggeranno il popolo infedele e poi ancora:

Li disperderò, farò cessare il loro ricordo dall’umanità, se io non temessi gli insulti del nemico che traviserebbe la causa delle loro disgrazie dicendo: - La nostra mano ha vinto e non è stato il Signore che ha fatto tutto questo”.

Accorata è la parola del Signore che rammenta i prodigi compiuti per far prevalere il Suo popolo e che deve però constatare come in cambio, a fronte di queste imprese meravigliose, il popolo dimostri oblio e distacco ed intraprenda le strade dell’abominio.
Pur tuttavia il Signore terrà fede al patto di alleanza e sarà disposto, quando il Suo popolo sarà sull’orlo della disperazione, ad invitarlo a guardare ancora verso di Lui:

Poiché il Signore giudicherà il Suo popolo e si commuoverà per i Suoi servi, quando vedrà che è venuto meno il loro vigore e non vi è più differenza tra schiavo e libero. Allora Egli dirà: -Dove sono i loro dèi? Dove la difesa in cui confidavano? …
Or dunque guardate, soltanto Io sono il Signore e non vi è altro Dio con Me, Io faccio morire ma faccio rivivere, Io ho ferito ma Io guarirò e non esiste chi possa salvare dalla mia mano
”.

La cantica si conclude con una ferma presa di posizione del Signore a fianco del Suo popolo e contro i suoi nemici:

Celebrate, o nazioni, il popolo del Signore, poiché Egli vendicherà il sangue dei Suoi servi, rivolgerà la Sua vendetta contro i Suoi nemici, ed il Suo popolo purificherà il paese”.

E’ un rapporto di amore e di ira quello di questo Dio verso il Suo popolo. L’amore non si interrompe mai, anche se si sono manifestati episodi di ira e punizioni terribili, punizioni che hanno visto aprirsi la terra, punizioni che hanno visto incenerire anche chi senza volere non aveva eseguito fedelmente i precetti del Signore. E comunque il Signore è fedele al patto di alleanza stabilito con i patriarchi.
E’ la storia dell’uomo, la storia per cui la specie umana continua nel suo complesso a vivere la fase ascendente della sua esistenza su questo mondo, nonostante le catastrofi,siano esse naturali o provocate per ignoranza o per malvagità, che ne costellano il percorso.

La parashah si conclude con queste parole che il Signore dice a Mosè, ormai prossimo alla morte:

Sali su questo monte Avarim detto anche monte Nevò che si trova in terra di Moav di fronte a Gerico e osserva la terra di Canaan che Io do in possesso ai figli d’Israele. Morirai sul monte sul quale ti accingi a salire e ti congiungerai al tuo popolo, come morì Aron, tuo fratello in Or Ha-har e si congiunse al suo popolo. Poiché vi rendeste colpevoli nei Miei confronti in mezzo ai figli d’Israele riguardo alle acque della disputa di Cadesh nel deserto di Tsin, perché voi non mi santificaste in mezzo ai figli d’Israele. Tu dunque vedrai da lontano il paese, ma non entrerai nella terra che Io sto per dare ai figli d’Israele”.

Nessun commento:

Posta un commento