(Es.20,1-20,17; Deu.5,6-5,18)
In Esodo si narra che il Signore pronunciò sul monte Chorev le parole della Legge, i Comandamenti del Patto che volle stringere con i figli d'Israele.
Questo, sinteticamente, è l'elenco dei Comandamenti:
1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dèi al Mio cospetto.
3) Non pronunziare il nome del Signore Dio tuo invano.
4) Ricordati del giorno del Sabato per santificarlo.
5) Onora tuo padre e tua madre.
6) Non uccidere.
7) Non commettere adulterio.
8) Non rubare.
9) Non fare falsa testimonianza.
10) Non desiderare ciò che appartiene ad altri.
In Deuteronomio il racconto biblico dice che Mosè radunò il popolo d'Israele e, rammentando loro il patto stabilito dal Signore sul monte Chorev, ripetè quindi le dieci Parole, i dieci Comandamenti che il Signore aveva pronunciato quarant'anni prima ed essi ascoltarono atterriti.
Se ci soffermiamo sui primi due Comandamenti e confrontiamo le traduzioni dei due passi biblici secondo la Bibbia Ebraica a cura di Rav Dario Disegni, osserviamo una lieve differenza formale, che però può dar luogo a dubbi interpretativi.
Infatti in Esodo nel primo capoverso figurano unicamente le parole "Io sono il Signore Dio tuo" e nel secondo sono le parole "Non avrai altri dèi al mio cospetto. Non ti farai alcuna scultura né immagine".
In Deuteronomio invece fanno parte del primo capoverso sia le parole "Io sono il Signore tuo Dio", sia le parole "Non avrai altri dèi al mio cospetto", mentre al secondo capoverso sono le parole "Non ti farai alcuna scultura nè immagine".
Il testo ebraico non ci aiuta a questo proposito perché, non essendoci la forma del punto e a capo non ci sono capoversi, ed esso è quindi costituito da una semplice sequenza di frasi.
In sostanza il dubbio che si profila riguarda la scritturazione dei primi due comandamenti e precisamente se, invece di quella sopra riportata non debba invece intendersi:
1) Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altri dèi al mio cospetto.
2) Non ti farai alcuna scultura nè immagine.
Questa versione, adottata in altre fonti, conferisce rilievo autonomo alla prescrizione contraria a sculture ed immagini e costituisce una incentivazione della concezione iconoclastica.
A mio parere questa scritturazione non è pienamente condivisibile giacché ritengo che il divieto di sculture e immagini sia stato espresso non di per sé, ma nel fondato timore che queste potessero divenire oggetto di culto e adorazione, come del resto avvenne con il vitello d'oro. Inoltre il solo comandamento di riconoscere il Signore come proprio Dio non esclude di per sè il riconoscimento di altri dèi e perciò è impartito il secondo comandamento, sicché avremmo:
1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dèi al mio cospetto. Non ti farai alcuna scultura né immagine.
Ora se il divieto di sculture e immagini è impartito allo scopo di evitare che diventino oggetto di culto e adorazione, ecco che questo divieto è assorbito dalla prima parte "Non avrai altri dèi al mio cospetto" e in definitiva la scritturazione sintetica dei primi due Comandamenti diviene:
1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dèi al mio cospetto.
conforme quindi alla formulazione riportata inizialmente.
Un'altra considerazione merita di essere fatta a proposito del settimo Comandamento, per il quale altre fonti propongono la dizione "Non commettere atti impuri", come riportato, ad esempio, in Wikipedia che cita in proposito il Decalogo in uso per la catechesi cattolica e cioè:
Ascolta Israele! Io sono il Signore Dio tuo:
1) Non avrai altro Dio all'infuori di me.
2) Non nominare il nome di Dio invano.
3) Ricordati di santificare le feste.
4) Onora il padre e la madre.
5) Non uccidere.
6) Non commettere atti impuri.
7) Non rubare.
8) Non dire falsa testimonianza.
9) Non desiderare la donna d'altri.
10) Non desiderare la roba d'altri.
Il Comandamento, che nell'elenco soprariportato da settimo è diventato sesto, non risulta in nessuno dei due passi biblici e mi pare fornisca una visione non coerente con la finalità sociale che si intravede nei Comandamenti dal quinto al decimo. Pertanto resta, a mio parere, confermatala validità della dizione:
7) Non commettere adulterio.
Segnalo infine l'atipicità del decimo Comandamento, conclusivo della sequenza dei cinque comandamenti negativi, che prescrivono cioè le cose da non fare, perché quello che si prescrive di non commettere in questo caso non è un'azione ma un pensiero, un desiderio, che, a mio parere, finché rimane tale può costituire un'ossessione per chi lo prova, ma non produce danno ad altri.
10) Non desiderare ciò che appartiene ad altri.
Con questa dizione si comprendono sia la donna, sia i servi, sia i beni materiali che gli altri possiedono.
Questo Comandamento, che condanna il pensiero e non un’azione, è perciò, a mio parere, il più severo e c’è da chiedersi la ragione di questa particolarità. E' un Comandamento verso sé stessi e non verso gli altri e trova giustificazione nella scelta che deve compiersi mirata alla disciplina del controllo e della repressione del desiderio, che ci conduca a dare valore a ciò che abbiamo e non a ciò che vorremmo avere.
La terza parte dello Shemà (Nu.15,37-41) recita:
“E parlò Adonai a Moshè, dicendo: parla ai figli d’Israele, e dirai loro di fare, per loro e per tutte le loro generazioni Tzitziòt sulle ali estreme dei loro vestiti, e porranno sulla Tzitzìt all’estremità un filo azzurro. E sarà per voi come Tzitzìt, e guardando ricorderete tutte le mitzvòt del Signore, e le osserverete. E non vi perderete dietro il vostro cuore e dietro i vostri occhi, perché vi prostituireste seguendoli. Affinché ricordiate ed osserviate tutti le mie mitzvòt e di distinguiate per il vostro Signore. Io, Adonai vostro Signore, che vi ho tratti dalla terra d’Egitto per essere vostro Signore. Io, Adonai, vostro Signore.”
Ecco allora la chiave che ci fa comprendere la ragione di questa severità. Avere desideri è una normale condizione umana, ma perdersi dietro ad essi al punto di farne un’ossessione o di essere indotti a compiere azioni conseguenti che ledono diritti altrui, è deprecabile soprattutto perché, ciò facendo, eleggiamo a idolo l’oggetto dei nostri desideri e deviamo quindi dalla linea direttrice che il Signore ha tracciato per noi.
L’idolatria quindi si conferma ancora una volta come il peccato principale, quello al quale sono in sostanza riconducibili tutti gli altri. L’idolatria, che non è solamente l’adorazione di una stele o di una statua, così come non è solamente argomento di culto religioso. L’idolatria ci insidia tutti i giorni, tutte le volte che cediamo al nostro egoismo, tutte le volte che ci mostriamo sordi alle parole dell’altro. Ecco perché è stato posto questo freno, che non vuol conseguire l’annullamento dei propri desideri, perché questi fanno parte della nostra natura umana, ma la loro moderazione, il loro controllo, affinché non assumano il sopravvento sui princìpi secondo cui intendiamo regolare la nostra vita.
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