domenica 8 gennaio 2012

Shemot

(Es.1,1-6,1)

Le persone di Giacobbe e dei suoi figli che si stabilirono in Egitto erano inizialmente in numero di settanta. Essi crebbero e si moltiplicarono di numero nel tempo, divennero potenti ed il paese fu pieno di loro.

Era ormai trascorso molto tempo dalla morte di Giuseppe quando ascese al trono d'Egitto un nuovo Faraone che si dimostrò preoccupato per la forte presenza del popolo d'Israele nel suo paese e decise perciò di assoggettarlo a schiavitù. Furono affidati agli ebrei gravosi lavori per la costruzione di nuove città ed ogni sorta di duri lavori di campagna e tutti questi lavori si dovevano eseguire sotto la severa sorveglianza di preposti ai lavori che angariavano il popolo d'Israele. Ma quanto più gli ebrei venivano oppressi, tanto più continuava ad aumentare il loro numero, sicché il Faraone prese una decisione risolutiva. Decise il Faraone che tutti i nuovi nati maschi degli ebrei venissero uccisi e che rimanessero in vita solamente le femmine.

Un uomo delle tribù di Levi di nome Amram sposò una ragazza della sua stessa tribù, di nome Jochèved, e dalla loro unione nacque per prima una bambina di nome Miriam e successivamente un maschio. Il bambino fu tenuto nascosto per tre mesi e poi, poiché aumentava il rischio della sua scoperta, fu abbandonato in una cassetta di papiro lasciata galleggiare sulle acque del fiume. Miriam rimase in distanza ad osservare quello che sarebbe successo.

Ora la figlia del Faraone aveva l'abitudine di bagnarsi nelle acque del fiume mentre le sue ancelle la seguivano lungo la riva. Ella vide la cassettina che galleggiava e la fece prendere. La aprì e quando vide un bambino che piangeva si intenerì e pensò:

"Questo è certamente un bambino degli Ebrei."

Miriam si era nel frattempo avvicinata al luogo dove la principessa e le sue ancelle stavano intorno al bambino e disse alla principessa:

"Vuoi che vada a chiamare una balia fra le Ebree per allattare il bambino?"

La figlia del Faraone acconsentì e Miriam corse a chiamare sua madre. Fu così che la figlia del Faraone affidò senza saperlo il bambino alla sua stessa madre affinchè lo allattasse. Quando il bambino fu grandicello fu ricondotto alla figlia del Faraone, che lo considerò come proprio figlio e gli pose nome Mosè perché l'aveva salvato dall'acqua.

Mosè crebbe e in qualche modo venne a sapere delle sue origini. Si recò a vedere i suoi fratelli ebrei e vide i duri lavori cui erano sottoposti. Un giorno vide un sorvegliante egiziano che batteva duramente uno dei suoi fratelli ebrei e, visto che intorno non c'era nessuno, lo affrontò, lo percosse a morte e lo nascose nella sabbia. Il giorno dopo si recò nuovamente presso i suoi fratelli e vide due Ebrei che litigavano tra loro e cercò di fare da paciere, ma uno dei due gli disse:

"Chi ti ha delegato capo e giudice su di noi? Penseresti forse di uccidermi come hai ucciso quell'Egiziano?"

Il fatto dunque si era risaputo e quando arrivò all'orecchio del Faraone, questi cercò di mandare a morte Mosè. Ma Mosè fuggì nella terra di Midian e qui giunto sostò presso un pozzo, dove aiutò le sette figlie di Ithrò, sacerdote di Midian, ad abbeverare il proprio gregge. Le ragazze tornarono a casa ed il padre chiese loro come mai avessero fatto così presto. Raccontarono al padre dell'Egiziano che le aveva aiutate ad abbeverare il gregge e le aveva anche difese dalla violenza dei pastori. Ithrò offrì ospitalità a Mosè, che accettò, e gli diede in moglie la figlia Tziporah. Mosè ebbe un figlio da Tziporah che chiamò Ghershom.

Dopo lungo tempo da questi fatti morì il Faraone d'Egitto e l'implorazione dei figli d'Israele giunse al Signore, che ricordò il patto stipulato con Abramo,Isacco e Giacobbe.

Mosè pascolava il gregge di Ithrò e guidando le pecore attraversò il deserto ed arrivò alle propaggini del monte Sinài. Qui gli apparve una fiamma in mezzo ad un roveto ed egli vide che il roveto ardeva ma non si consumava e volle avvicinarsi per comprenderne la ragione. "Mosè, Mosè" gridò una voce e lui rispose "Eccomi". Allora il Signore disse:

"Non avvicinarti oltre, togliti le scarpe dai piedi perché il terreno sul quale stai è suolo sacro."

E proseguì il Signore, dicendo:

"Io sono Iddio di tuo padre, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe."

Mosè nascose la faccia perché aveva timore di guardare il Signore. Ed il Signore gli disse di avere ascoltato il grido del Suo popolo e di avere deciso di trarlo fuori dall'Egitto e di farlo salire ad una terra fertile e spaziosa, un paese stillante latte e miele. Perciò, continuò il Signore, Mosè si sarebbe recato dal Faraone come Suo delegato, per chiedere la liberazione del Suo popolo dall'Egitto.
Disse Mosè di avere timore di recarsi dal Faraone per fare questa richiesta ed il Signore lo rassicurò dicendogli che sarebbe stato con lui. E ancora Mosè disse al Signore:

"Ecco quando mi presenterò ai figli d'Israele e annunzierò loro: - Il Signore dei padri vostri mi manda a voi. Se essi mi chiederanno qual'è il nome di Lui, cosa dovrò rispondere?"

E il Signore rispose:

"Io sono quello che sono."

e aggiunse:

"Io sono mi manda a voi."

Inoltre così disse il Signore a Mosè:

"Annunzia ai figli d'Israele che è il Signore dei vostri padri, Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe che m'invia a voi. Questo è il mio nome in perpetuo, questo il modo di designarmi attraverso le generazioni."

E proseguì dicendogli di raccogliere gli anziani d'Israele ed annunziare loro la rivelazione ricevuta dal Signore di trarli fuori dalla terra d'Egitto e farli salire alla terra di Canaan. Essi gli avrebbero dato ascolto ed insieme sarebbero andati dal Faraone ad esprimergli questa richiesta:

"Il Signore Dio degli Ebrei si è rivelato a noi e quindi permettici che ci dirigiamo verso il deserto per un cammino di tre giorni, per offrire sacrifici al Signore Dio nostro."

Il Faraone non avrebbe accettato questa richiesta ed avrebbe lasciato partire il popolo d'Israele solo dopo che il Signore l'avesse duramente percosso con fatti prodigiosi. Al momento di lasciare la terra d'Egitto, il popolo d'Israele avrebbe ricevuti doni d'oro e d'argento come compenso per i duri anni di schiavitù patiti.
Ma i dubbi di Mosè proseguirono: il Signore gli aveva appena detto che gli anziani lo avrebbero ascoltato, ma lui disse che essi potevano non credere che il Signore gli fosse apparso. E allora il Signore affidò a Mosè un bastone che poteva trasformarsi in serpente per poi riprendere il suo stato. Ancora il Signore dette a Mosè la facoltà di dare e togliere la lebbra. Così ti crederanno, disse, e se ancora non ti credessero potrai prendere dell'acqua dal Nilo e versarla sull'asciutto per vederla trasformarsi in sangue.

Ma le obiezioni di Mosè non finirono qui. Eccepì Mosè di non essere un buon parlatore, anzi di essere balbuziente ed arrivò al punto di chiedere al Signore che incaricasse qualcun altro al suo posto. A questo punto il Signore si sdegnò con Mosè per il rifiuto del grande onore che gli veniva offerto. Ma il Signore disse a Mosè che suo fratello Aron avrebbe parlato per lui, che lui avrebbe dovuto suggerire le parole da dire. Aron sarà dunque l'esecutore vocale e Mosè l'ispiratore della parola divina.

Mosè salutò Ithrò e, presi con sé moglie e figli, si avviò verso l'Egitto. Durante il viaggio il Signore disse nuovamente a Mosè dei prodigi dei quali era incaricato e che avrebbe eseguito alla presenza del Faraone. Disse anche dell'ostinazione del Faraone, che avrebbe ceduto solamente quando fosse avvenuta la morte del suo figlio primogenito.

Durante una sosta del viaggio Mosè stette molto male e fu vicino a morire. Sua moglie Tziporah pensò che la causa di questo male fosse da attribuire alla mancata circoncisione del loro secondogenito e perciò prese una selce e lo circoncise. Il male abbandonò Mosè ed essi ripresero il viaggio. Si incontrò quindi Mosè con Aron ed insieme entrarono in Egitto e radunarono gli anziani. Aron, alla presenza del popolo, disse della rivelazione che il Signore aveva fatto a Mosè e fece prodigi. Il popolo comprese che il Signore si era ricordato dei figli d'Israele.

Si recarono quindi Mosè ed Aron al cospetto del Faraone e gli dissero:

"Così comanda il Signore Dio d'Israele: - Lascia partire il Mio popolo, affinché in Mio onore celebrino una festa nel deserto."

Il Faraone si mostrò risentito e chiese chi fosse mai questo Dio al quale gli si chiedeva di ubbidire, precisando che egli non avrebbe consentita la partenza di Israele. Quando poi Mosè ed Aron precisarono che si trattava di una durata di tre giorni in cui sarebbero stati offerti sacrifici al dio d'Israele, il Faraone chiese loro perché mai volessero distogliere gli ebrei dal loro lavoro e li congedò.

Quello stesso giorno il Faraone ordinò agli ispettori egiziani ed ai sorveglianti ebrei di non fornire più la paglia al popolo per la preparazione dei mattoni, così come era avvenuto fino ad allora, e che la paglia fosse procurata dagli stessi lavoranti, fermo restando il quantitativo di mattoni da produrre. In tal modo disse il Faraone il popolo d'Israele non avrebbe avuto più tempo ed energie per seguire parole ingannatrici.

Constatato come le condizioni del popolo d'Israele fossero sensibilmente peggiorate dopo l'incontro con il Faraone che il Signore aveva comandato, Mosè a Lui si rivolse dicendo:

"O Signore perché hai fatto del male a questo popolo? Perché mi hai inviato? Dal momento che mi sono presentato al Faraone per parlargli in Tuo nome, si produsse del male a questo popolo, né Tu recasti alcuna salvezza."

E il Signore così rispose a Mosè:

"Ora tu vedrai ciò che Io sto per fare al Faraone, il quale, costretto da mano potente, dovrà lasciarvi partire e a viva forza vi caccerà dal suo paese."

Il contenuto di questa narrazione sembra senza tempo e senza luogo. In questo caso infatti è l'Egitto il paese che ha ospitato il popolo ebraico, che l'ha accolto, l'ha sfamato, gli ha dato la possibilità di prosperare e di espandersi. Un certo giorno questo paese è attraversato come da un vento di bufera improvviso per cui si scatena una persecuzione violenta e spietata, il popolo ospitato per il paese ospitante è come se non fosse più composto da persone: sono schiavi, strumenti di lavoro, hanno perso i loro connotati di esseri umani. Tutto questo, ci dice la nostra narrazione, è opera, si badi bene, non di tutto il popolo ospitante, che anzi darà doni al popolo ebraico quando lascerà il paese. Tutto questo è opera del Faraone, della casta governante, dei loro interessi politici, economici, di potere. La persecuzione non è consistita solamente nella schiavitù, la persecuzione è stata sanguinaria perchè prevedeva l'uccisione di tutti i nati maschi.

Di queste persecuzioni, di queste stragi è piena la storia del popolo ebraico nella diaspora. L'espulsione dalla Spagna iniziata nel 1492 presenta qualche carattere di diversità, perchè la Spagna nella quale erano numerose e floride per economia e cultura le comunità ebraiche era una Spagna musulmana. Poi avvenne la "reconquista" e con la sconfitta dellultimo califfato di Cordova la Spagna divenne totalmente cattolica e si materializzò un rigetto della popolazione araba e di quella ebraica, che con l'araba aveva ben convissuto. La diaspora conseguente all'espulsione spagnola interessò geograficamente molti paesi, non solamente europei. L'attuale distribuzione dei siddurim sefarditi nelle aree europee e mediterranee fornisce un'idea per grandi linee di quali siano stati i flussi migratori ebraici dalla Spagna. Una linea di flusso importante fu quella verso l'impero ottomano e ciò spiega la presenza di siddurim sefarditi ad esempio in alcuni paesi balcanici.

Catastrofica per ferocia e dimensioni fu la persecuzione ad opera della Germania nazista, con conseguenze ancora oggi vive nei sopravvissuti e nei loro parenti.
Ci furono poi i pogrom ricorrenti dall'epoca delle crociate fino ai nostri giorni che hanno interessato l'Europa centrale e orientale. Fino ad arrivare ai sommovimenti dei paesi arabi a partire dalla formazione dello Stato d'Israele del 1948 e fino ai nostri giorni.

Nessun commento:

Posta un commento