lunedì 26 dicembre 2011

Vaygash

(Gen.44,18-47,27)

Giuda, avvicinatosi a lui, disse a Giuseppe della situazione della sua famiglia e quindi che loro avevano un padre vecchio il quale aveva avuto dalla sua moglie più amata due figli, che uno di essi era morto, probabilmente sbranato da un leone e che era rimasto questo suo ultimogenito, Beniamino, cui era molto affezionato. Essi l'avevano portato con loro, riuscendo a superare la reticenza del padre, perché lui, il loro signore, l'aveva chiesto espressamente.
Giuda proseguì dicendo che egli si era fatto garante con il padre che Beniamino sarebbe tornato a casa sano e salvo.Detto tutto ciò Giuda si offrì a Giuseppe come schiavo in sostituzione del ragazzo.

Mentre Giuda parlava la commozione di Giuseppe andava sempre più aumentando finché, arrivati a questo punto, egli ordinò a tutti di uscire dalla sala dove si trovavano e, rimasto solo con i fratelli, si rivelò a loro dicendo:

"Io sono Giuseppe, mio padre è sempre vivo?"

E, accortosi che loro rimanevano fermi come storditi davanti a lui, disse loro di avvicinarsi e proseguì:

"Io sono vostro fratello Giuseppe che vendeste in Egitto. Però non addoloratevi, non vi dispiaccia di avermi venduto qui, perché Dio mi ha mandato avanti a voi perché rimaneste in vita."

E proseguì dicendo loro di andare dal padre e dirgli:

"Così dice tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha fatto padrone di tutto l'Egitto, vieni da me, non indugiare. Abiterai nel paese di Goscen, così sarai vicino a me, tu, i tuoi figli, i figli dei tuoi figli, il tuo bestiame ovino e bovino, e tutto ciò che possiedi. Là io ti manterrò, perché ci saranno ancora cinque anni di carestia, affinché non siate ridotti in miseria tu, la tua famiglia e tutto ciò che possiedi."

Si gettò al collo di suo fratello Beniamino e pianse e Beniamino pianse con lui. Baciò piangendo tutti i suoi fratelli, i quali poi cominciarono a parlare con lui. La notizia si seppe nella casa del Faraone ed egli ed i suoi servi ne furono contenti. Il Faraone disse allora a Giuseppe:

"Di' ai tuoi fratelli: Fate così, caricate le vostre bestie, e tornate nel paese di Canaan, prendete vostro padre e le vostre famiglie, e tornate da me; vi darò il meglio della terra d'Egitto e godrete ciò che offre di migliore."

Giuseppe fornì ai fratelli dei carri seondo le disposizioni del Faraone e diede loro provviste e vestiario. Per suo padre fece preparare dieci asini carichi delle cose migliori d'Egitto e dieci asine cariche di grano e di pane.

Partirono i fratelli ed arrivarono in terra di Cannan. E là giunti raccontarono al loro padre Giacobbe che Giuseppe era ancora vivo e che dominava in terra d'Egitto, ma Giacobbe non ci credeva e si convinse solo quando vide i carri che Giuseppe aveva mandato. Allora Israele disse:

"Mi basta che mio figlio Giuseppe sia ancora vivo e di andare a vederlo prima di morire!"

Israele si mise in viaggio verso l'Egitto e giunto a Beer Scheva offrì sacrifici al Signore. Di notte il Signore gli apparve in sogno e disse:

"Io sono Iddio, il Dio di tuo padre; non aver paura di andare in Egitto perché là ti farò diventare una grande nazione. Io verrò con te in Egitto ed Io ti farò tornare qui; e Giuseppe ti chiuderà gli occhi."

Partì Giacobbe da Beer Scheva, e con lui tutta la sua famiglia, i figli, le mogli, i figli dei figli, le figlie proprie e quelle dei suoi figli, tutta la sua discendenza. Portarono con sé i loro armenti e i beni che avevano acquistato in terra di Canaan e si trasferirono in Egitto. Giacobbe mandò Giuda davanti a sé da Giuseppe perché gli indicasse la via per Goscen dove poi arrivarono.

Giuseppe andò incontro a suo padre e a Goscen gli si gettò al collo e pianse. E Israele disse a Giuseppe:

"Ora posso proprio morire dopo che ti ho veduto, che sei ancora vivo."

Giuseppe disse allora ai suoi fratelli ed alla famiglia di suo padre che egli avrebbe informato il Faraone del loro arrivo e del fatto che essi erano pastori di greggi ed avevano portato con sé i loro averi ed il loro bestiame. Disse ancora Giuseppe che, quando il Faraone li avesse chiamati e avesse chiesto la loro occupazione, essi avrebbero dovuto rispondere:

"Noi tuoi servi siamo sempre stati pastori di greggi dalla nostra giovinezza fino ad ora, tanto noi quanto i nostri padri."

In questo modo, proseguì Giuseppe sarebbe stato loro consentito di risiedere in modo esclusivo nel paese di Goscen, giacché per gli Egiziani i pastori erano una classe inferiore, con la quale non desideravano avere contatti.

Giuseppe informò quindi il Faraone dell'arrivo di suo padre, dei suoi fratelli e della loro gente. Poi presentò cinque dei suoi fratelli al Faraone il quale chiese quale fosse la loro occupazione. Essi risposero come Giuseppe aveva detto ed il Faraone acconsentì acché essi si stabilissero nella terra di Goscen ed anzi disse a Giuseppe che essi badassero anche al bestiame di sua proprietà. Giuseppe fece quindi venire suo padre Giacobbe e lo presentò al Faraone che lo intrattenne brevemente. Giacobbe i suoi figli e tutta la loro gente ebbero quindi il possesso di una terra in Goscen, nella terra di Raamses.

La carestia imperversava in terra d'Egitto come in terra di Canaan e la popolazione aveva ormai finito il denaro per acquistare i viveri da Giuseppe. Iniziò allora Giuseppe a dare viveri in cambio di bestiame. Ma l'anno successivo la popolazione non aveva più bestiame da dare in cambio dei viveri e cominciarono allora ad offrire sé stessi e le loro terre. Fu così che Giuseppe acquistò tutte le terre d'Egitto e tutte divennero proprietà del Faraone e le popolazioni, private delle loro terre, venivano trasferite da una città all'altra. Solo i sacerdoti mantennero la loro terra, perché essi ricevevano dal Faraone un determinato assegno con il quale vivere.

Così disse Giuseppe al popolo quando dette la semente in cambio delle terre acquistate:

"Ecco, io ho acquistato oggi voi e le vostre terre al Faraone; eccovi la semente seminate la terra. Dei raccolti darete un quinto al Faraone, e le altre quattro pari serviranno per seminare i campi, per il mantenimento vostro, di chi avete in casa e dei vostri bambini."

Il popolo acclamò Giuseppe perché lo aveva salvato dalla fame, e dichiarò ubbidienza al Faraone. Da allora restò stabilito che la quinta parte dei prodotti del suolo fossero proprietà del Faraone.

La gente d'Israele rimase nella terra d'Egitto, nel paese di Goscen, vi si stabilì, prolificò ed aumentò grandemente di numero.

Tutte queste vicende riguardanti la grande carestia hanno una straordinaria analogia con quelle che al giorno d'oggi affliggono il nostro paese e gli stati della comunità europea di cui appunto l'Italia è parte. La carestia trasposta al giorno d'oggi è la grave e generalizzata crisi economica che coinvolge tutti i paesi proggrediti.

L'Egitto in un mondo in cui le attività economiche primarie erano l'agricoltura e la pastorizia aveva certamente una ricca e forte economia agricola grazie alla fertile fascia dei terreni a cavallo del Nilo. Se però a questa potente potenzialità economica non si fosse unita l'accorta amministrazione di Giuseppe, l'Egitto non avrebbe superato la grave carestia. L'azione fondamentale di Giuseppe fu quella che lui compì nei sette anni di vacche grasse che precedettero la carestia. Fu il risparmio che Giuseppe volle. E il risparmio, l'ammasso delle granaglie salvò l'Egitto dalla morte per fame insieme ai paesi che da lui dipendevano.

Nell'attualità le economie degli stati della comunità europea presentano situazioni debitorie di varia consistenza, che per alcuni, generalmente situati nella fascia geografica settentrionale, appaiono controllabili e rientrabili ccon opportuni aggiustamenti gestionali, mentre per altri, generalmente appartenenti alla fascia meridionale, tra i quali è l'Italia, vi sono difficoltà e forse anche l'impossibilità di controllo e rientro della situazione debitoria sulla sola base delle risorse economiche correnti. Ecco allora che gli stati più deboli per uscire dalla situazione debitoria si trovano tre possibili strade da poter percorrere: aumentare le tasse; aumentare la produzione; indebitarsi con il leader economico della comunità. Supponiamo che le prime due strade non siano in grado di produrre risultati significativi in tempi accettabilmente brevi, non rimane allora che la terza strada: trovare qualcuno che paghi i loro debiti, che acquisti cioé i loro titoli di stato con i quali essi pagano gli interessi della massa di titoli in scadenza.

Non rimane quindi per gli stati fortemente indebitati che trovare un Giuseppe che possa fornire le derrate occorrenti per un prezzo pattuito, che gli paghi cioé i debiti e che dica quali siano le condizioni. Ed a questo punto, qui da noi, siamo nella fase dell'alzata degli scudi da parte degli indebitati, delle recriminazioni per la lesa autonomia dello stato, per l'ingerenza negli affari interni della nazione, come se qualcuno avesse l'obligo di regalare qualcosa e dovesse anche scusarsi per questo.

Giuseppe aveva accumulato abbondanti scorte che amministrò negli anni di carestia vendendole a chi gliene faceva richiesta dapprima per denaro, poi in cambio del bestiame ed infine in cambio della proprietà dei terreni degli acquirenti e della loro stessa libertà, divenendo quindi sia le terre sia le persone proprietà del Faraone. E il popolo accettava le condizioni che Giusepppe poneva per fornire loro le derrate di cui necessitavano e ne lodava l'opera perché li aveva sottratti alla fame.

Forse se al giorno d'oggi si riuscisse ad applicare il metodo Giuseppe, fissando regole comuni di sostegno e cooperazione, l'Europa potrebbe avviarsi ad essere una nazione.

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