(Num.30,2-32,42)
Mosè parlò ai capi delle tribù per comunicare loro il comando del Signore secondo cui ciascuna persona del popolo d’Israele avrebbe dovuto rispettare voti e giuramenti fatti, impegnandosi per l’attuazione di quanto pronunciato dalle proprie labbra, e consentendo così di non profanare la parola data. E’ da tener presente che questo precetto non costituisce un precetto positivo, espresso cioè dal dover fare quello che si è promesso, è bensì un precetto negativo, quello cioè di “non profanare la parola” data al Signore. La parola ha nell’ebraismo un valore sacrale, perché è con la parola che il Signore ha creato il mondo e con la parola ha comunicato a Mosè ed è la parola che éleva l’uomo al di sopra degli animali. Ma i Saggi, che si posero il problema se un voto o un giuramento potessero mai essere sciolti, arrivarono ad interpretare la frase “non profanare la parola” come abbreviazione di un’espressione più estesa: “Tu non profanare la parola, ma gli altri possono profanala per te”.
Su questa interpretazione si fonda, come spiega Maimonide nel suo Sefer haMitzvòt, il precetto positivo dell’annullamento dei voti, che può essere pronunciato, dopo discussione e valutazione della richiesta, da parte del Tribunale. Il Tribunale, evidentemente, procede allo scioglimento qualora ravvisi che l’espressione del voto non sia stata in linea con gli insegnamenti della Torà. Per questa stessa interpretazione si comprende quanto viene detto nella parashà a proposito di voti e giuramenti fatti dalle donne.
Il capitolo 30 prosegue, infatti, trattando in maniera estesa, dal versetto 4 fino al conclusivo versetto 17, dei voti fatti dalle donne e degli effetti sulla loro validità dei divieti espressi dal padre o dal marito. La regola assegnava al padre o al marito la potestà di vietare un voto o un giuramento fatto dalla donna, ma egli poteva esercitare questa potestà una volta sola e nel momento in cui veniva a conoscenza del voto o del giuramento. Ma se l’uomo, nel venire a conoscenza del voto o del giuramento della donna, aveva taciuto, egli perdeva per sempre la prerogativa di poter esprimere il proprio divieto riguardo al quel voto.
L’esercizio di questa potestà al giorno d’oggi la ritroviamo solamente nella figura del padre verso i figli minori, e consiste nell’esercizio della cosiddetta “patria potestà”, mentre per quello che riguarda il marito direi che i tempi sono sostanzialmente cambiati, almeno in tutto il nostro mondo occidentale. I voti della donna per i quali il marito poteva trovarsi a voler esprimere il divieto erano evidentemente quelli che riteneva andassero a ledere i suoi interessi, diritti, o prerogative. Qui si tratta di voti che non sono evidentemente solo quelli, ad esempio, di non voler cucinare il pollo per un certo periodo di tempo, ma può trattarsi di un voto di castità, che andava a colpire quello che l’uomo riteneva un suo diritto e ne intaccava la dignità. Il trovarsi davanti a voti femminili di questo tipo sono ipotesi non lontane dalla realtà, quando si ricordi, ad esempio, che il voto di “nazireato” poteva essere pronunciato sia da parte di uomini, sia da parte di donne.
Il capitolo 31 si apre con l’assegnazione, da parte del Signore, dell’ultimo compito a Mosè: “Vendica i figli d’Israele sui Midianiti, dopo verrai raccolto al tuo popolo”. Vennero avanti, allora, mille uomini armati per ogni tribù, con loro era Pinchas, sacerdote figlio di El’azar, ed egli aveva in mano gli oggetti sacri e le trombe per impartire gli ordini. In esito all’attacco rimasero uccisi i cinque re di Midian ed anche il mago Bil’am, che si era rifugiato presso di loro. Tutti i midianiti furono distrutti e furono bruciate le loro città e le loro fortezze. Le donne, i bambini, insieme al bestiame furono catturati e portati davanti a Mosè, El’azar ed il popolo tutto nella pianura di Moab.
Mosè si adirò: “Avete lasciato in vita tutte le femmine? Erano ben esse che, per consiglio di Bil’am, sedussero i figli d’Israele a diventare infedeli al Signore nell’affare di Pe’or per cui scoppiò la mortalità nella congrega del Signore. Ed ora uccidete ogni maschio tra i bambini, e ogni donna atta a coabitazione con uomo uccidetela. Ogni bimba tra le femmine che non conobbero coabitazione con maschi, tenete in vita per voi. E voi accampate fuori dall’accampamento per sette giorni. Ognuno che abbia ucciso una persona o toccato un caduto, fatevi aspergere il terzo ed il settimo giorno, voi ed i vostri prigionieri. Ogni abito, ogni oggetto fatto di pelle, ogni oggetto fatto di pelo di capra e ogni oggetto di legno farete aspergere”. El’azar aggiunse quindi le istruzioni per la purificazione degli oggetti di metallo, che avrebbero dovuto essere aspersi con l’acqua della purificazione e poi essere passati per il fuoco.
Il Signore diede quindi a Mosè le istruzioni per la divisione del bottino e per l’individuazione del tributo. Il bottino, ivi compresi i prigionieri, sarebbe stato diviso in due parti uguali, da assegnarsi una ai combattenti, l’altra al popolo tutto.
Dalla parte assegnata ai combattenti avrebbe dovuto prelevarsi il tributo destinato al Signore, nella misura di uno su cinquecento, sia per le persone, sia per il bestiame grosso, sia per gli asini, sia per il bestiame minuto. Questo tributo avrebbe dovuto essere consegnato ad El’azar. Il tributo da prelevare dalla parte di bottino assegnata al popolo era invece fissato nella misura di uno su cinquanta di tutto il bestiame e doveva essere dato ai Leviti, che avevano la cura del Tabernacolo del Signore.
I comandanti ed i capi dell’esercito si recarono quindi da Mosè per portare gli oggetti e monili d’oro che ognuno di loro aveva preso come preda nel conflitto con i midianiti ed espressero che intendevano offrire tali oggetti al Signore in sacrificio di espiazione.
Al capitolo 32 si narra delle tribù di Gad e di Ruben che avevano molto bestiame e che, giunti ormai prossimi al Giordano, giudicarono quelle terre adatte per loro e pertanto chiesero a Mosè: “Se abbiamo trovato grazia ai tuoi occhi, sia dato questo paese qual retaggio ai tuoi servi. Non farci oltrepassare il Giordano”. E Mosè così rispose: “Devono i vostri fratelli entrare in guerra e voi rimanere qui? Perché volete suscitare l’opposizione dei figli d’Israele al passare nel paese che il Signore ha dato loro?” Mosè inoltre rammentò l’ira del Signore, che aveva colpito il popolo con quarant’anni di peregrinazione nel deserto e l’esclusione dell’intera generazione uscita dall’Egitto dalla terra promessa, tutto ciò per non avere amato questa terra dopo la prima esplorazione.
Ma Ruben e Gad chiarirono che essi avrebbero preso sì le terre ad est del Giordano, ma che avrebbero anche partecipato, come tutte le altre tribù, alla conquista della terra promessa. Dopo questo accordo Mosè diede ai figli di Gad, a quelli di Ruben e alla metà della tribù di Manasse, figlio di Giuseppe, il regno di Sichon, re degli Emorei, e il regno di ‘Og, re di Bascian, il paese diviso in città con i confini tutt’attorno.
Teniamo a mente questa distinzione: le terre dal Giordano al mare sono assegnate dal Signore; le terre ad est del Giordano sono assegnate da Mosè.
Haftarà di Mattot
(secondo i riti spagnolo e tedesco)
“E la parola del Signore si volse a me dicendo: Che cosa vedi tu, Geremia? Ed io risposi: Io vedo un bastone di mandorlo. (Il mandorlo è simbolo di rapidità perché fiorisce presto). Ed il Signore mi disse: Hai visto bene: infatti Io sto per affrettarmi ad eseguire quel che ho detto.
E la parola del Signore si rivolse a me una seconda volta, dicendo: Che cosa vedi tu? Ed io risposi:
Vedo una caldaia bollente, la cui parte anteriore è dal lato di settentrione. E il Signore mi disse: Da settentrione avrà inizio il male, che si abbatterà su tutti gli abitanti del paese.”
(Geremia,1,1-2,3)
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