domenica 16 giugno 2013

Balak

(Num.22,2-25,9)

Il popolo d’Israele, nella sua marcia verso la terra promessa, era giunto ormai a ridosso del regno di Moab e Balak, re di Moab, che aveva seguito con apprensione le tappe di questa marcia di avvicinamento, era al corrente delle pesanti sconfitte inflitte da Israele agli altri re della regione, che avevano inutilmente tentato di ostacolarlo. Ora che egli vedeva Israele ai confini del suo regno, Balak era molto preoccupato e disse agli anziani di Midian, suo alleato:

Ora questa moltitudine divorerà tutti i nostri dintorni, come il bue divora l’erba del campo.

Balak, ormai consapevole del fatto che le proprie forze erano insufficienti per affrontare e battere un popolo così numeroso ed organizzato, ritenne che fosse a quel punto necessario ricorrere ad un aiuto soprannaturale. Egli inviò un’ambasceria a Bil’am, che viveva in Mesopotamia ed era noto in tutta la regione per la sua capacità di esercitare poteri di profeta e di mago. Così Balak mandò a dire a Bil’am:

Ecco un popolo uscito dall’Egitto, ricopre la superficie del paese. Esso mi sta di fronte. Ora vieni, maledici per me questo popolo, poiché esso è più forte di me. Forse potrò batterlo e scacciarlo dal paese, giacché so che chi tu benedici è benedetto e chi tu maledici è maledetto.

Per poter dare una risposta a questa richiesta di aiuto Bil’am, pur non essendo ebreo, e pur esercitando le arti di mago e profeta, cosa che lo connotava come non credente nel Signore d’Israele, ritenne di dover comunicare proprio con il Signore d’Israele ed il Signore gli disse:

Non andare con loro. Non maledire quel popolo, poiché esso è benedetto.

Bil’am pertanto rispose alla richiesta degli ambasciatori di Balac dicendo:

Andate nel vostro paese, poiché il Signore ha rifiutato di lasciarmi venire con voi.

Ma quando Balak inviò una seconda ambasceria, offrendo ancora maggiori onori a Bil’am , e chiedendo nuovamente di maledire il popolo d’Israele, allora il Signore disse a Bil’am:

Se questi uomini sono venuti ad invitarti, va’ pure con loro, ma dovrai fare solo ciò che Io ti dirò.

Ed è a questo punto della narrazione che ci si presentano già alcune domande, alle quali sentiamo di dover dare risposta prima di andare avanti. Il primo quesito riguarda il perché Bil’am si sia rivolto al Signore degli Ebrei e non ad un’altra divinità, ad esempio quella nella quale lui era credente. Le risposte possibili sono diverse ma quella che mi sembra più razionale è che Bil’am abbia preferito la strada più diretta. Era evidente, per tutti i successi conseguiti lungo il suo cammino, che il popolo ebraico fosse benedetto dal Signore e che la cosa più conveniente per modificare questa sua condizione non fosse certo quella di mettere in competizione tra loro divinità diverse, ma che fosse invece da esplorare presso il Signore d’Israele se la benedizione di cui quel popolo godeva potesse essere sospesa o cessare.

Il secondo quesito è come fosse mai possibile che Bil’am conoscesse il nome del Signore d’Israele e come sia stato poi possibile che il Signore gli abbia parlato. Ricordiamoci, a questo proposito, quante volte abbiamo letto che il Signore disse a Mosè di dire ad Aron. Quindi il Signore, che molto raramente ha parlato persino ad Aron, che pure era il suo Gran Sacerdote, ora, appena interpellato, parla a Bil’am, mago e profeta non ebreo. Credo che la spiegazione non sia tanto quella a posteriori, secondo cui il Signore sia intervenuto, di fatto prendendo Lui l'iniziativa, per dire a Bil’am cosa dovesse fare, perché questo rientrava nel generale disegno divino. No, io penso che la chiave della spiegazione sia a priori, che cioè sia stato Bil’am ad avere assunto l’iniziativa di chiedere al Signore se fosse possibile maledire il Suo popolo. Ma, se è così, significa che Bil’am, pur profeta e mago non ebreo, aveva la capacità di comunicare con il Signore.

Prima di lavarcene le mani, dicendo che si tratta di un racconto fantastico del quale occorre tenere in conto solo il significato, facciamo dei passi intermedi per arrivare a comprendere quale sia il livello massimo di plausibilità razionale del racconto. Il dialogo di Bil’am con il Signore avviene in sogno.
Nel Tanak molti personaggi sognano ed altri interpretano i sogni. I personaggi che sognano non sono solamente ebrei: infatti anche il Faraone sogna, anche Nabucodonosor sogna. Il sogno avviene solitamente in una fase del sonno in cui il controllo sulla nostra anima è attenuato e l’anima ha così la possibilità di mettere in atto le proprie facoltà percettive e comunicative. E’ una fase molto delicata questa che vede l’anima allontanarsi dal corpo per poi ritornarvi al risveglio. La preghiera del risveglio mattinale recitata dagli ebrei dice:

Modè anì, riconosco davanti a te, sovrano, vivente ed eterno, che mi hai reso la mia anima misericordiosamente. Grande è la tua fiducia.

Sappiamo anche che esistono altre modalità, oltre quella naturale del sonno, delle quali i sensitivi possono servirsi per raggiungere lo stato in cui l’anima si allontana dal corpo, aumentando così la propria sensibilità e le proprie percezioni. Pensiamo molto semplicemente ai racconti di quelle persone che, sottoposte ad interventi chirurgici in anestesia totale, hanno vissuto durante l'intervento stati di criticità assimilabili a morte apparente; esse parlano di questo distacco dell’anima dal corpo e delle sensazioni di lieta lucidità e completezza che accompagnano questa esperienza. I sensitivi hanno anche capacità di raggiungere uno stato di trance in autoipnosi, e realizzano esperienze di allontanamento dell’anima, che rendono possibile vivere percezioni altrimenti inarrivabili. Ed allora ecco che, con queste premesse, diventa plausibile il fatto che Bil’am abbia posseduto le capacità necessarie ad interloquire con il Signore d’Israele.

Ma subito dopo la figura di Bil’am subisce nella narrazione un pesante ridimensionamento. Egli infatti, dopo aver ricevuto le parole del Signore, si alzò la mattina, sellò la sua asina e andò con i principi di Moab, senza pronunciarsi su quanto avrebbe fatto e se ciò che avrebbe fatto sarebbe stato conforme o meno a quello che il Signore gli aveva detto. Per ostacolare i proponimenti di Bil’am, che sembravano orientati per la pronuncia della maledizione del popolo d’Israele, il Signore inviò un proprio emissario per fermarlo. Tre volte si presentò l’angelo con la spada sguainata sulla strada percorsa da Bil’am e per tre volte Bil’am non lo vide, mentre lo vide la sua asina, cha scartò bruscamente fuori dal sentiero salvandogli così la vita. Per tre volte Bil’am bastonò la sua asina, rimproverandola per gli scarti improvvisi che aveva compiuto, finché il Signore aprì la bocca dell’asina che disse:

Non sono io la tua asina sulla quale hai cavalcato da quando esisti fino ad oggi? Ho io mai usato di farti così?

A quel punto il Signore aprì gli occhi a Bil’am che finalmente vide l’inviato del Signore, il quale gli disse:

Perché hai battuto la tua asina già tre volte? Ecco io ero uscito per esserti di ostacolo, perché la tua vita è contraria a me. L’asina mi vide e mi scansò già tre volte. Ove non m’avesse scansato, avrei ucciso te e lasciato in vita lei.

L’episodio induce ad una riflessione sulla figura di Bil’am. Il profeta, il mago, conoscitore di uomini e di Dei, che ha la capacità di dialogare con il Signore, si rivela come colui che non appena si allontana dalle istruzioni che il Signore gli ha dato, non vede più e la facoltà di vedere tocca ora alla sua asina, con un significato che da un lato evidenzia le carenze dell’uomo, per quanto dotato egli sia di poteri e facoltà degni di nota, ma dall’altro rende onore all’asina, proprio all’animale tanto utile ma tanto poco apprezzato, all’istinto animale che percepisce ciò che l’occhio umano non vede.

Stavolta Bil’am mostrò di aver compreso le parole del Signore e quando, giunto a Moab, si trovò davanti a Balak gli disse:

Eccomi venuto da te. Ma ora, potrei io dire la minima cosa? Ciò che il Signore mi porrà in bocca quello solo io dirò.

Ed egli terrà fede a quanto il Signore gli aveva detto. Per tre volte Balak tenterà di fargli pronunciare la maledizione per il popolo d’Israele e per tre volte la bocca di Bil’am pronuncerà invece la benedizione del popolo del Signore:

Ma tovù ohalécha Yaakòv, mishkenotécha Israél! Come sono belle le tue tende, Yaakòv, le tue residenze, Israel.

La benedizione di Bil’am viene recitata ogni volta che si entra al Bet Hakenésset in ricordo della distinzione operata dal Signore per il popolo d’Israele tra tutti i popoli della terra.

Balak, sconcertato ed irritato per il fallimento delle aspettative che egli aveva riposto nella venuta di Bil’am, scaccia il mago dalle proprie terre e questi, andandosene, pronuncia la sua ultima profezia a Balak. Verrà un astro da Giacobbe che sottometterà Moab, Edom e Se’ir. Parla quindi della dominazione dell’Assiria, che renderà dura la vita dei popoli sottoposti. La narrazione ci dice anche di un consiglio che Bil’am avrebbe dato a Balak senza però precisare di che si tratti. I Rabbini spiegano che si tratta di un consiglio segreto con il quale Bil’am persuase Balak di corrompere Israele mandando le donne a sedurlo.

Infatti, frutto o meno che fosse del consiglio di Bil’am, il popolo cominciò a fornicare con le figlie di Moab, ed a celebrare ed adorare i loro idoli. Il Signore ordinò allora a Mosè che fossero impiccati pubblicamente tutti i capi del popolo. Mentre venivano giustiziati coloro che avevano seguito il Ba’al di Pe’or, uno dei figli d’Israele presentò una Midianita, della quale era invaghito, ai suoi fratelli ed agli occhi di Mosè e di tutta l’Assemblea.
Pinchas, figlio di El’azar, figlio del sacerdote Aron, si alzò, imbracciò una lancia e trafisse d’un colpo insieme l’uomo e la donna Midianita. Questa esecuzione fu l’ultimo atto della strage dei figli d’Israele, che in tutto causò ventiquattromila morti.


Haftarà di Balak
(Michà 5,4-6,8)

Siamo nell’VIII secolo avanti all’E.V. e il profeta Michà annuncia l’invasione di Israele da parte dell’Assiria, ma, al tempo stesso, anche la salvezza e la liberazione dall’invasore, che verrà inseguito fin nei suoi territori ed annientato.

Quando verrà quel giorno non serviranno armi e cavalli, non servirà avere città fortificate, non serviranno stregonerie e indovini, né idoli e steli, perché il Signore distruggerà tutte queste cose e eserciterà la vendetta con ira e furore contro coloro che non avranno voluto ascoltare.

Ascoltate il Signore, dice il profeta, ascoltate quello che dice:

Popolo Mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho procurato affanno? Fa’ le tue dichiarazioni contro di Me. Perché Io ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, ti ho redento dalla casa degli schiavi e ho mandato davanti a te Mosè, Aron e Miriam. Popolo mio ricorda qual era l’intenzione di Balak re di Moab contro di te e che cosa gli ha risposto Bil’am, figlio di Be’or, quel che è accaduto da Shittim a Ghilgal, affinché tu riconosca i benefici che ti ha arrecato il Signore.

Il popolo allora, udite queste parole, chiede con che cosa debba presentarsi al Signore per fare sacrifici ed espiare le proprie colpe, se debba offrire vitelli, migliaia di montoni, e miriadi di otri di olio d’oliva, o se invece debba presentare in sacrificio i suoi stessi primogeniti.

E la risposta del Signore è:

Uomo, il Signore ti ha detto che cosa è bene, e che cosa Egli richiede da te se non che tu operi con giustizia, ami la bontà e proceda umilmente con il tuo D-o.

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