La Parashà si apre con la mitzvà della Parà Adumà, la Vacca Rossa. Questa mitzvà viene definita nel secondo versetto "statuto della Torà". Ricordiamo che “Chukim”, statuti, sono le mitzvot per le quali non è possibile una spiegazione razionale, non riuscendo a cogliere collegamenti con aspetti di utilità, di igiene, di opportunità, di moralità, ma per le quali ci si deve limitare a comprendere che il loro rispetto deve avvenire semplicemente perché così è comandato dal Signore.

“Di’ ai figli d’Israele che ti prendano una vacca rossa perfetta, che non abbia alcun difetto, e sulla quale non sia stato messo giogo. La darete al sacerdote El’azar; egli la faccia uscire fuori dall’accampamento e la si scanni in sua presenza. Il sacerdote El’azar prenda del suo sangue col dito, e spruzzi del sangue sette volte in direzione della facciata anteriore della tenda di convegno. Si abbruci la vacca davanti ai suoi occhi: la pelle, la carne, il sangue oltre alle feci. Il sacerdote prenda del legno di cedro, dell’issopo e della lana scarlatta e li getti dentro il fuoco che consuma la vacca. Il sacerdote si lavi le vesti, si lavi il corpo con acqua, e il sacerdote sarà impuro sino alla sera. Colui che abbrucia la vacca si lavi le vesti con acqua e si lavi il corpo con acqua e sia impuro sino alla sera. Un uomo raccolga la cenere della vacca e la deponga al di fuori dell’accampamento, in un luogo puro. Ciò sia per i figli d’Israele da osservare per fare dell’acqua purificatrice. E’ un chattath. Colui che raccoglie le ceneri della vacca, si lavi le vesti e sia impuro sino alla sera. Ciò sarà statuto per sempre per i figli d’Israele e per il forestiero che soggiorni in mezzo a loro".
Seguono le prescrizioni per il rituale di aspersione con l’acqua della purificazione che verrà eseguito per eliminare l’impurità da chiunque sia venuto a contatto con un morto, nonché per purificare gli oggetti che si trovavano in un ambiente chiuso dove era stato un morto.
Perché proprio la mitzvà della Vacca Rossa è stata scelta per rappresentare l’intera categoria degli statuti dei quali fanno parte, tra l'altro, mitzvot di più frequente applicazione, come quelle relative a carne e latte, la proibizione degli incroci, il radersi con una lama, ecc.? Perché la Torà si riferisce a questa mitzvà come allo statuto dell'intera Torà e non, più limitatamente, come allo statuto delle leggi dell'impurità?
Premesso che una completa spiegazione razionale non è possibile proprio a causa, come già detto, della natura stessa degli “”Chukim”, dobbiamo constatare anche come siano misteriose le norme di questa Mitzvà, che secondo i maestri del Talmud neanche il saggio re Salomone riuscì a comprenderle. Solamente Moshè ebbe questo merito, come è detto “a te rivelo la ragione della vacca [rossa]” (Bemidbàr Rabbà 19, 6).
Possiamo tentare di cogliere o intuire le ragioni del primato di questa norma. L’essere in vita è il requisito che consente ad una persona di avere rapporti con il sacro, che si concretizzano con l’ingresso al Santuario, con lo studio della Torà, le tefillot di lode rivolte al Signore, l’attuazione delle mitzvot. Con questi atti, compiuti da vivente, l’individuo si sforza di avvicinarsi al Signore, che è la fonte della Vita. La morte costituisce quindi un’interruzione di questo rapporto con il sacro: il cadavere è inerte, non può interagire e per questo motivo è sorgente di impurità ed il contatto con esso provoca impurità. In generale ogni contatto con la sfera della morte è legato all'impurità. Di contro un neonato è considerato la cosa più pura che ci sia, perché esso è la manifestazione più recente della creazione della vita. Ecco dunque la ragione del primato di questo statuto che quindi assume la dimensione non di un semplice statuto di purificazione ma di statuto della Torà.
Altro aspetto di difficile comprensione è la particolarità secondo cui , se è vero che il rituale purifica chi è impuro, è altrettanto vero che tutti coloro che hanno a che fare con la sua preparazione diventano impuri. A prima vista questa mitzvà sembrerebbe collidere con ogni logica razionale. Ma, anche per questa particolarità, si può tentare di avvicinarsi ad una spiegazione. Pensiamo ai Cohanìm coinvolti nella preparazione delle acque che venivano spruzzate sulla persona impura per purificarla, che diventavano a loro volta impuri per effetto di quelle stesse acque, con le quali loro purificavano gli impuri! I Cohanìm sono leaders spirituali-religiosi, che sono responsabili della purezza spirituale del popolo, delle cui impurità vengono a contatto, conoscendole ed, in un certo senso, facendosene carico, quasi novelli capri espiatori e quindi divenendo a propria volta impuri.
Un leader spirituale è uno che è disposto ad abbassarsi, a scendere al livello degli altri, pur sapendo che questo potrebbe avere un effetto negativo su di sè. Perché è così? Secondo il Midràsh c’è un nesso con la colpa commessa con il vitello d’oro. “Venga la madre (la vacca) ad espiare per il figlio (il vitello d’oro)”. Nello stesso modo, i leader sono considerati responsabili del benessere spirituale del popolo.
La Parashà è densa di altri avvenimenti. Il popolo giunto nel deserto di Tsin nel capomese, si fermò a Cadesh. Qui morì Miriam, quasi in punta di piedi, perché la notizia della sua morte non occupa neanche mezza riga nella narrazione e non da luogo ad alcun commento.Il popolo era stanco ed era assetato, perché nel deserto non aveva trovato acqua. Ed il Signore disse a Mosè: “Prendi la verga e raduna la congrega, tu e tuo fratello Aron, e parlate alla rupe davanti ai loro occhi, che dia la sua acqua. Farai uscire per loro dell’acqua dalla rupe e farai bere la congrega ed il loro bestiame”. Mosè eseguì quanto il Signore aveva comandato, ma non fedelmente, perché Mosè non parlò alla roccia, come gli era stato comandato, ma la battè con la verga e l’acqua sgorgò.
Il Signore disse a Mosè e ad Aron: “Siccome non avete avuto fiducia in Me sì da santificarmi agli occhi dei figli d’Israele, perciò voi non condurrete questa congrega alla terra che ho deciso di dare loro”.
Mosè da Cadesh mandò ambasciatori al re di Edom, chiedendo il consenso all’attraversamento del paese da parte del suo popolo, ma ottenne un severo rifiuto. Il popolo allora si spostò e giunse al monte Hor. Qui morì Aron, e la sua morte avvenne seguendo un rituale, che espresse l’investitura sacerdotale a suo figlio El’azar.
E qui il popolo d’Israele venne attaccato dal re cananeo di Arad, che però, grazie all’aiuto del Signore, venne pesantemente sconfitto.
Partito dal monte Hor verso la via del Mar Rosso, per aggirare il paese di Edom, il popolo divenne nuovamente impaziente e disse: “Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per morire nel deserto? Poiché non c’è pane né acqua, e noi siamo stanchi del pane leggerissimo”. Il Signore mandò contro il popolo i serpenti serafim, i quali morsicavano il popolo e morì molta gente in Israele. Il popolo venne da Mosè e disse: “Abbiamo peccato poiché abbiamo parlato contro il Signore e contro te. Prega il Signore affinché tolga da noi il serpente”. Mosè pregò per il popolo: Il Signore disse a Mosè: “Fatti un saraf e ponilo su una pertica. Chi sarà stato morsicato lo guarderà e guarirà”. Mosè fece un saraf di rame e lo pose sulla pertica. Avveniva che se il serpente aveva morsicato una persona, questa guardava il serpente di rame e risanava.
Rashì fornisce questa spiegazione per la punizione dei serpenti. Il popolo si lamenta della manna, che è l’unico cibo che ha, ma che ha la prerogativa di assumere il sapore di ogni cibo che venga desiderato; quando viene inflitta la punizione ed il popolo viene aggredito dai serpenti, su di esso ricade la stessa maledizione del serpente del Eden, e quindi qualsiasi cosa verrà mangiata avrà un solo sapore, quello della polvere.
In effetti gli elementi di questo passo della parashà hanno molti punti di contatto, sia pure in opposizione, con quelli dell'Eden. Nell’ Eden ci troviamo di fronte alla possibilità di mangiare ogni tipo di frutto, tranne quello dell'Albero della conoscenza del bene e del male. Nel deserto abbiamo invece un solo cibo che rende inutile ogni altro cibo. In entrambi i casi è il Signore che procura il cibo. Vale a dire chela nostra unica occupazione è quindi lo studio della Torà, ed i Maestri dicono che la Torà non è stata data altro che a coloro che mangiavano la manna. C'è poi la presenza del serpente. Esso è considerato simbolo dello “yetzer harà”, l'istinto del male, in particolare per il suo modo subdolo di presentarsi, quando ci vuole convincere di essere nel giusto anche se trasgrediamo la Torà. Nell'Eden avevamo una sola mitzvà. La proibizione di mangiare dall'Albero della conoscenza del bene e del male. È interessante notare come l'Eden ed il Deserto siano legati da un rapporto inverso. L'Eden è un giardino, il deserto è un luogo arido. Nel Deserto abbiamo tante mitzvot ed un solo cibo, nell'Eden tanto cibo ed una sola mitzvà. Il solo cibo del deserto prende il sapore di tutti i cibi, la sola mitzvà dell'Eden racchiude il senso di tutte le mitzvot.
Per effetto della trasgressione del precetto dell'Eden, una nuova presenza, prima sconosciuta, appare nel mondo: la morte. E con la morte, di pari passo, l’impurità. Ciò che riabilita l'uomo dopo il contatto con la morte diventa il “tikun”, la riparazione della trasgressione dell’unica mitzvà che ha in se tutta la Torà. Questo “tikun” deve essere fatto per mezzo di un “chok”, una mitzvà la cui motivazione non è razionalizzabile. Questo è il “chok” dell'intera Torà, racchiusa nella prima mitzvà dell’Eden.
Il popolo riprese la marcia e, giunti ai limiti dei territori degli Emorrei, furono mandati ambasciatori al loro re Sichon per chiedere di poter attraversare il paese. Ma questi si oppose e dette battaglia. Gli Emorrei furono sconfitti ed il loro paese venne occupato dal popolo d’Israele. Stessa sorte toccò ad Og, re di Bascian, che pure era sceso in battaglia contro Israele.