lunedì 6 giugno 2011

il significato del convertito per israele

Negli anni ’80 arrivò in Israele un forte flusso migratorio dall’allora Unione Sovietica. Gli emigranti si dichiaravano ebrei ed avevano con sé la documentazione per comprovarlo ed ottenere così l’ingresso nella terra promessa. Entrarono, ma molti di questi documenti si sarebbero rivelati ad un successivo e più attento esame insufficienti e forse addirittura non autentici. Entrarono, perché Israele aveva bisogno del loro apporto demografico, quanto a forza lavoro, a contributo professionale, a giovani da arruolare nelle forze armate.
Questo ingresso insufficientemente controllato fu criticato in seguito molto severamente in Israele. Si diceva che questa massa di gente, senza una vera appartenenza religiosa, che si ostinava a parlare solo russo, che nella notte disseminava le strade di Tel Aviv di bottiglie di birra, avrebbe compromesso la natura ebraica dello Stato. Molti ebrei ortodossi osservanti avrebbero voluto liberarsi di tutta questa gente che costituiva, ai loro occhi, dissacrazione ed impedimento alla realizzazione di uno Stato che essi desideravano ebraico e confessionale.
Molti giovani russi furono giudicati quindi non idonei per il riconoscimento della loro ebraicità, ma idonei per essere arruolati nella Tzahal e combattere per Israele. Molti di loro morirono combattendo e furono seppelliti non dentro un cimitero ebraico, ma fuori, accanto ad esso: la loro morte per Israele non era bastata a fare riconoscere la loro ebraicità.

Qualcuno potrebbe obiettare: ma queste sono cose che sono successe in Israele, perché è uno Stato dove il Gran Rabbinato ha influenza determinante ed è un Paese in stato di guerra permanente; da noi non succederebbero mai! Io penso, invece, che da noi succederebbero. L’ebraismo italiano è organizzato nell’unione delle comunità ebraiche italiane, riconosciuta dalla Repubblica anche ai fini dell’8 per mille. Di questa unione fanno parte esclusivamente comunità ortodosse, dalle quali, tanto per capirsi, anche uno tra i più noti rabbini riformati americani, che non fosse figlio di madre ebrea, avrebbe non solo difficoltà a farsi riconoscere come rabbino, ma anche come ebreo.

Ma, a proposito, che cos’è l’ebraismo riformato? Cerchiamo di comprendere almeno un flash del problema. C’è una meravigliosa opera di Chaim Nachman Bialik che si intitola “Halachah we-Aggadah”, norma e leggenda, aspetti che vanno a costituire i due volti di una medesima creatura, due aspetti, regole ed accadimenti, in movimento, che si intrecciano e si rincorrono, che non sono mai statici. Come si colloca la “tradizione” rispetto ad Halachah e Aggadah? La “tradizione” esprime l’essenza identitaria di una comunità e riguarda:
- Il rito delle tefillot ed dei canti dello Shabbat e delle Feste;
- le abitudini alimentari;
- le 613 mitzvot, le 39 melachot e relative toledot;
- le usanze, i motti, le credenze proprie di ogni comunità.
La componente ortodossa dell’ebraismo italiano è gelosa delle proprie tradizioni, che, in quanto identitarie, ritiene di dover conservare resistendo ad ogni tentazione che, sia pure sulla base di enunciazioni logiche, tendesse a dimostrare la necessità di un loro aggiornamento.
L’ebraismo riformato, con una visione forse più prossima a quella di Bialik, desidera, da un lato, custodire la memoria della tradizione ma, dall’altro, verificare quali regole possano essere adeguate al mutare degli accadimenti, nell’intento di rendere ottimale l’osservanza della vita ebraica.
A titolo esemplificativo per lo Shabbat una delle melachot prescrive di non guidare auto e non usare mezzi di trasporto. Questa prescrizione era applicabile senza particolari problemi quando le comunità vivevano nei ghetti, luoghi in cui le distanze erano comunque contenute. Oggi che i ghetti non esistono più e le comunità sono disperse in ambiti cittadini anche di grande dimensioni, questa prescrizione può tradursi in un ostacolo per alcuni insormontabile e condurre alla rinuncia a partecipare alle attività religiose del Tempio ed, in linea indotta, all’assuefazione ad un diradarsi delle interrelazioni nell’ambito delle comunità stesse.
Per questo argomento l’ebraismo riformato potrebbe proporre, ad esempio, questa formulazione diversa: “Guida l’auto o prendi i mezzi di trasporto solo per andare al Tempio, quando non ti è possibile raggiungerlo altrimenti.”
Altro esempio eclatante è quello delle chiavi di casa che, se messe in tasca danno luogo ad un trasporto, che quindi è vietato, mentre, se sono infilate alla cintura sono indossate, cosa che è consentita. Anche qui non v’è ombra di dubbio che le chiavi di casa non si possono buttare, né lasciare a qualcun altro e che quindi vanno portate con sé.
Senza dilungarmi oltre direi che al giorno d’oggi, in Italia, ed in particolare a Roma, capitale dell’ebraismo ortodosso, l’ebreo riformato ed a maggior ragione il convertito riformato non ha un significato per l’ambiente ortodosso, che, seppure dovesse guardare in questa direzione, non avrebbe sostanziale interesse a vedere, perché non ha intenzione di cambiare alcunché.
Ben diversa è la situazione negli altri Paesi dell’Europa occidentale, negli Stati Uniti, Canadà, Argentina, ecc. nei quali sono presenti in percentuale comparabile le branche riformata, ortodossa e conservative dell’ebraismo, con notevole beneficio, secondo me, per il confronto d’idee e la vitalità che ne scaturisce. Nello stesso Israele sono riconosciute dallo Stato, a fianco dell’ebraismo ortodosso, anche le componenti riformate e conservative.
Quante difficoltà al giorno d’oggi per far sì che gli occhi vedano e riconoscano sé stessi nell’altro!

Eppure il Tanakh attribuisce onori allo straniero che vive insieme al popolo ebraico e stabilisce la piena parità del convertito con l’ebreo di nascita al punto tale da esprimere il monito dell’ostracismo per chi non rispetti tale parità.

Eppure il viaggio di quarant’anni nel deserto verso la terra promessa vide molti egiziani compierlo insieme al popolo ebraico cui si erano uniti.

Eppure la stirpe di Davide esce dalle viscere di donne convertite.

Donne straniere che furono giganti per il popolo ebraico al quale si unirono, donne determinate al conseguimento del loro obiettivo, forti ed, all’occorrenza, pronte anche ad usare persino l’inganno nei confronti dell’uomo, del maschio, così spesso ottuso perché troppo sicuro di sé, affinchè il disegno del Signore potesse realizzarsi.

In Genesi 38 si narra che Giuda, lasciati i suoi fratelli, si unì ad una donna cananea dalla quale ebbe tre figli maschi. In seguito Giuda prese anche per il suo primogenito Er una moglie cananea di nome Tamar. Ma Er morì ed a Tamar, rimasta vedova senza figli, Giuda promise che sarebbe andata in moglie ad un altro suo figlio secondo il precetto del levirato. Però anche il secondogenito morì ed a quel punto Giuda promise a Tamar il matrimonio con il suo terzo figlio, non appena questi fosse stato adulto. Ma, pur essendo trascorso il tempo necessario, Giuda esitava a mantenere la promessa fatta a Tamar per timore che anche il suo terzo ed ultimo figlio potesse morire.
A questo punto del racconto biblico emerge la personalità di questa donna, che fino ad allora era stata strumento del volere maschile, e che ora ribalta la sua posizione facendo del maschio lo strumento per l’affermazione dei propri diritti. Tamar si traveste da prostituta e si fa ingravidare da Giuda ricevendone un pegno, che le servirà ad attestare davanti a lui il proprio diritto.
Da questa unione di Giuda con Tamar nasceranno Pèrets e Zèrach e ad essi seguirà tutta la dinastia fino al Re David.

La Meghillat di Ruth vede protagonista la giovane moabita, cui spetterà il compito di riscattare la stirpe di Elimèlech dalla perdita della fiducia nella terra promessa dal Signore, per averla essa abbandonata emigrando nella terra di Moab. Dopo la morte di Elimèlech e dei suoi due figli maschi, Ruth accompagnerà la suocera Noemi nel suo viaggio di ritorno in Eretz Israel e qui sarà sposa a Boaz e dalla loro unione nascerà Oved, che generò Isciài e Isciài generò David.

Il significato del convertito per Israele nei testi biblici costituisce quindi linfa vitale per il popolo eletto e strumento per la realizzazione dell’era messianica, giacché il Mashìach verrà dalla stirpe di David.

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