lunedì 28 novembre 2011

Vayetzè

(Gen.28,10-32,3)

Giacobbe era in viaggio verso Charan ed al calare della sera si fermò per pernottare in quello stesso luogo in cui era giunto.
Prese delle pietre, le pose sotto il capo e si coricò. In sogno gli apparve una scala, poggiata a terra e la cui cima arrivava al cielo.
Gli Angeli del Signore salivano e scendevano lungo la scala ed il Signore dall'alto diceva:

"Io sono il Signore Dio di Abramo tuo padre, e Dio di Isacco; la terra sulla quale stai coricato la darò a te e alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere della terra e ti estenderai a occidente, a oriente, a settentrione e a mezzogiorno e in te e nella tua discendenza si benediranno tutte le nazioni della terra. Io sono con te ti proteggerò ovunque andrai e ti farò tornare in questo paese; non ti abbandonerò ma adempirò a quel che ti ho detto."

Giacobbe stava andando a cercare moglie nella terra di Labano, fratello di sua madre, ma era solo ed a mani vuote, non aveva doni né per Labano, né per la futura moglie. Aveva ben presente Giacobbe che la sua partenza precipitosa era stata essenzialmente una fuga per sfuggire all'ira del fratello Esaù.

Avrebbe potuto temere Giacobbe che il Signore lo avesse abbandonato come potevano far supporre i fatti accadutigli e cioè la necessità di fuggire e l’aver dovuto lasciare i genitori, la sua casa e la sua terra nella disponibilità di suo fratello Esaù. Il sogno è quindi provvidenziale per Giacobbe: il Signore dissipa ogni timore e lo rassicura dicendogli che a lui ed alla sua discendenza Egli darà la terra dove si trova e che si estenderà in tutte le direzioni e che allora potranno essere benedette tutte le nazioni della terra.

Molto si è discusso da parte dei saggi e dei rabbini sul significato della scala e degli Angeli che su di essa salgono e scendono. Personalmente condivido l’interpretazione che la scala rappresenti simbolicamente il percorso ideale delle comunicazioni che intercorrono tra l’essere umano ed il Signore e che gli Angeli siano i messaggeri che portano al Signore le comunicazioni che l’essere umano esprime e riportano a lui le comunicazioni del Signore.

Perché gli Angeli? Perché non un altro tipo di immagine per esprimere questo flusso di comunicazioni, ad esempio avrebbe potuto essere un corso d’acqua che sale ed un altro che scende, quasi un anello con un flusso continuo che avrebbe reso il concetto di una comunicazione che fluisce senza interruzioni. Per rispondere a questa domanda occorre tener conto che le comunicazioni umane sono sempre frammentarie, noi discutiamo sempre trattando un determinato argomento o un numero limitato di argomenti perché è la limitatezza della nostra mente umana che non ci consente la trattazione di argomenti o concetti indefiniti o illimitati, che farebbero parte di un tutto continuo, dove tutti gli argomenti si fondono e si impastano in un modo indistinto. La comunicazione indefinita ed illimitata si sostanzia nella contemplazione mistica, che però non è certo il più frequente sistema comunicativo adoperato dall’essere umano nel suo dialogo con Dio. Ed allora l’immagine della sequenza di angeli che sale e che scende rende con efficacia il concetto di un dialogo che per essere comunemente accessibile alla mente umana non può che essere frammentario e costituito da frammenti limitati e perciò comprensibili.

Giacobbe risvegliatosi dal sonno disse:

In questo luogo c’è proprio il Signore, ed io non lo sapevo.

ed aggiunse:

Quanto è venerando questo luogo! Indubbiamente è la casa di Dio, è la porta del cielo.

Giacobbe prese la pietra sulla quale aveva messo la testa e la pose come monumento, versò sopra dell’olio e chiamò quel luogo Beth-El , la casa di Dio.

Giunse quindi Giacobbe in prossimità di Charan e si fermò a un pozzo dove erano alcuni pastori che abbeveravano le greggi. Gli indicarono Rachele, figlia di Labano, che stava arrivando al pozzo con il suo gregge. Giacobbe scoperchiò per lei il pozzo e fece abbeverare il bestiame di Labano. Baciò Rachele e le disse che le era parente, figlio di Rebecca. Rachele corse subito via e giunta a casa e raccontò tutto al padre Labano.

Giacobbe stette un mese ospite in casa di Labano, che ebbe così modo di apprezzarne le qualità lavorative. Trascorso il mese Labano parlò a Giacobbe e gli disse che riteneva giusto ricompensarlo per i servizi che egli svolgeva e gli chiese quale compenso egli volesse.

Giacobbe, che amava Rachele, disse prontamente a Labano:

Ti servirò sette anni per Rachele, la tua figlia minore.

E così avvenne. Giacobbe servì Labano per sette anni e poi gli chiese che gli desse in moglie Rachele. Labano organizzò allora un pranzo, cui partecipò tutta la gente del luogo. A sera però Labano prese Lea, la sua figlia maggiore, e la condusse alla tenda di Giacobbe il quale si unì a lei. Al mattino Giacobbe si accorse dell’inganno e indignato si recò da Labano per chiedere conto di quanto gli era stato fatto. Ma Labano gli replicò:

Non si fa così nel nostro paese, di dar marito alla minore prima che alla maggiore. Finisci la settimana di questa, e ti daremo anche l’altra, per il servizio che mi presterai per altri sette anni.

E così fu che dopo sette giorni di festeggiamenti per il matrimonio con Lea, Labano dette in moglie a Giacobbe anche Rachele. Lea aveva una serva di nome Zilpà e Rachele una schiava di nome Bilhà. Dall’unione con Lea nacquero quattro figli: Ruben, Simeone, Levi e Giuda. Rachele, vedendo che non riusciva a rimanere incinta, chiese a Giacobbe di unirsi alla sua ancella Bilhà, sicchè per suo tramite ella potesse avere figli. E da Bilhà nacquero: Dan e Naftalì. Lea, vedendo che i suoi parti si erano interrotti, prese anch’essa la sua ancella Zilpà e la dette in moglie a Giacobbe. Da Zilpà nacquero: Gad ed Asher. E ancora nuovamente rimase incinta Lea e generò: Issachar, Zevulon e una figlia Dina. Infine anche Rachele partorì nuovamente e generò Giuseppe.

Da Giacobbe dunque nascono i capostipiti delle tribù d’Israele e questi capostipiti nascono non nella terra di Canaan, ma al di fuori di essa, stando a significare che se è vero che la terra di Canaan è la terra promessa verso la quale tutto il popolo d’Israele anela a tornare, è anche vero che le azioni fondamentali e fondanti possono realizzarsi anche al di fuori di essa.
Ed infatti il popolo d’Israele vivrà nella sua storia più volte la sua diaspora. Lasciò Ur dei Caldei per recarsi nella terra di Canaan; andò quindi in Egitto per sfuggire alla carestia; fu deportato a Babilonia quando avvenne la distruzione del primo tempio; venne disperso nelle provincie dell’impero quando i romani distrussero il secondo tempio e rasero al suolo Gerusalemme; fu espulso dalla Spagna nell’anno della scoperta dell’America e venne in Italia, nei Paesi Bassi, nel nord Africa, nell’impero ottomano e oltre; fu perseguitato e sterminato nei paesi dell’Europa centrale e si trasferì negli Stati Uniti, nel sud America e ancora nello Stato d’Israele, prodigiosamente ricostituitosi dopo due millenni per essere la casa del popolo ebraico.

Trascorsi anche gli ulteriori sette anni pattuiti, Giacobbe si recò da Labano e gli chiese di poter andar via e tornare alla sua terra. Labano propose a Giacobbe di rimanere ancora a lavorare per lui e gli chiese quale compenso volesse per questo. E Giacobbe rispose:

Non mi dar niente; se mi concederai questo, pascolerò ancora il tuo gregge e lo curerò. Passerò oggi in rassegna tutto il tuo gregge, separando da esso i singoli capi punteggiati e macchiati e quelli bruni fra le pecore, nonché quelli macchiati e punteggiati fra le capre. Quelli che nasceranno tali da ora in poi, costituiranno la mia mercede.

Labano gli disse di essere d’accordo e che così avrebbero fatto. Ma subito dopo, il giorno stesso, fece separare dai suoi greggi tutti gli animali che avevano quelle particolarità che Giacobbe gli aveva detto e li consegnò ai suoi figli. Giacobbe pascolava intanto la rimanente parte delle greggi di Labano.

Giacobbe preparò dei rami d’albero con delle scorticature che ne mettevano a nudo il bianco e quindi collocò questi bastoni lungo i sentieri che conducevano agli abbeveratoi. Le pecore, che erano in calore e che andando ad abbeverarsi vedevano i rami striati, partorivano animali striati, punteggiati o macchiati. Poneva Giacobbe questi bastoni a primavera quando gli animali erano robusti, mentre non li poneva in autunno quando le pecore erano deboli e in questo modo i nuovi nati striati erano quelli robusti e spettavano a Giacobbe, mentre quelli senza macchie o striature ma deboli toccavano a Labano.

Con il passare del tempo Giacobbe continuava ad arricchirsi e Labano ed i suoi figli iniziarono a manifestargli la loro ostilità. Il Signore allora disse a Giacobbe:

Torna alla terra dei tuoi padri e alla tua patria e Io sarò con te.

Allora Giacobbe mise i figli e le mogli sui cammelli, portò via tutto il suo bestiame, tutti i beni che aveva acquistato, il bestiame che aveva messo insieme in Paddam-Aram per tornare da suo padre Isacco in terra di Canaan. Rachele al momento di partire rubò gli idoli di suo padre.
Giacobbe non informò l’arameo Labano della sua partenza, ma fuggì, passò l’Eufrate e si diresse verso Ghil’ad, ad est del Giordano.

Labano lo inseguì per sette giorni e lo raggiunse al monte Ghil’ad. Il Signore apparve quella notte in sogno a Labano e gli disse:

Fai attenzione a non parlare a Giacobbe né in bene né in male.

Labano allora parlò a Giacobbe chiedendogli perché mai l’avesse ingannato e fosse fuggito portando via le sue figliole e rubando i suoi idoli. Giacobbe rispose dicendo che era fuggito per paura che lui, Labano, non gli facesse portar via le sue due figlie. Per quanto riguardava il furto degli idoli Giacobbe, che era effettivamente all’oscuro della vicenda, disse che se fosse stato trovato il ladro, questi sarebbe stato messo a morte. Labano entrò nella tenda di Giacobbe e in quelle della figlia Lea e delle due ancelle Bilhà e Zilpà ma non trovò i suoi idoli. Entrò infine nella tenda di Rachele, che aveva prontamente nascosti gli idoli nella sella del cammello sulla quale era seduta, ed anche qui non trovò niente.

Giacobbe si lamentò con Labano di tutto questo suo frugare, che tradiva una mancanza di fiducia che egli riteneva di non meritare dopo che l’aveva servito fedelmente per vent’anni. Stipularono allora un patto Labano e Giacobbe stabilendo una linea di confine che reciprocamente non avrebbero dovuto oltrepassare con intenzioni aggressive.

Si lasciarono e Giacobbe riprese il suo viaggio ed incontrò dei messaggeri di Dio e quando li vide disse:

Questo è un campo di Dio.

E chiamò quel luogo Machanàim , che significa “campo duplice” cioè di Angeli e di uomini.

La figura di Giacobbe si presta a critiche per diversi motivi riguardanti i suoi comportamenti. Già l’immagine della sua nascita la dice lunga: egli si serve del fratello afferrandogli saldamente il tallone come fosse una maniglia cui appigliarsi per facilitare la sua venuta alla luce. Truffa quindi il fratello Esaù sottraendogli i diritti di primogenitura per un piatto di lenticchie. Truffa il padre spacciandosi per suo fratello e ne carpisce la benedizione. Fugge e si trattiene dallo zio Labano per circa vent’anni, si accoppia qui con due mogli e due loro ancelle generando figli con ognuna di esse. Truffa infine Labano con l’allevamento del bestiame e si arricchisce alle sue spalle.

Eppure il Signore lo predilige ed a lui ed alla sua discendenza promette la terra di Canaan.
Ma come può il Signore dare la Sua preferenza ad una persona che ricorre all’inganno abitualmente? Come si conciliano i comportamenti di Giacobbe con i dettami morali che saranno poi codificati nei precetti impartiti dal Signore al popolo d’Israele?

La risposta a queste domande va ricercata non sulla base di un principio generale, quello di non mentire, che è inoppugnabile, bensì sulla particolarità delle figure di Giacobbe e dei personaggi con lui coinvolti nello svolgimento dei fatti nonché sulla valutazione dell’esistenza di possibili alternative.

Si intuisce che il rapporto con Esaù, dotato di grande forza e di temperamento selvatico, non può essere gestito sullo stesso piano da Giacobbe, che ha invece corporatura gracile ed è di temperamento mite. In fin dei conti in questa fase non c’è inganno da parte di Giacobbe perché lui dice chiaramente al fratello i termini del baratto: la primogenitura per un piatto di lenticchie. Tutt’al più potrebbe imputarsi a Giacobbe la consapevolezza di una non corretta valutazione da parte del fratello dell’entità di ciò a cui rinunciava. Ma questa è una carenza di Esaù più che una colpa di Giacobbe.

Quanto all’inganno nei confronti del padre, sicuramente mai questi gli avrebbe impartito la benedizione del primogenito se l’avesse riconosciuto. Il racconto però avrebbe potuto prevedere un’altra modalità di svolgimento dei fatti, che è quella alla quale spesso la Torà ricorre, e cioè che il Signore avesse parlato ad Isacco, chiedendogli di benedire Giacobbe. Ma se a questa alternativa non si è fatto ricorso significa che l’inganno attuato ai danni del padre non inficia la predilezione del Signore verso Giacobbe.

Anche l’inganno ai danni di Labano non ha influenza sulla fiducia del Signore verso Giacobbe. Il Signore ammonisce anzi Labano dal guardarsi dal compiere azioni di rappresaglia nei confronti di Giacobbe.

Insomma al Signore e al narratore biblico Giacobbe piace. Perché?
E’ probabile che Giacobbe rappresenti la figura ideale per l’uomo medio evoluto, che ha capito le potenzialità della ragione e della tattica nei confronti della forza bruta; è l’uomo che avuto quattro donne ed un stuolo di figli, è l’uomo infine che arricchisce grazie al suo ingegno. E tutto questo in terra straniera!

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