(Nu.8,1-12,16)
“Quando accendi”. Siamo nei capitoli da 8 a 12 di Bemidbar, il libro dei Numeri. In questa parashà c’è una trattazione ricca di molti argomenti che spaziano dal rituale alla narrativa storica d’insieme, e di dettaglio.
Si comincia con la prescrizione riguardante le luci della menorah, che devono illuminarne la parte anteriore verso chi guarda.
Segue la descrizione dei riti di purificazione dei Leviti, uomini in età da 25 a 50 anni addetti al servizio del santuario. La preparazione prevede la rasatura di tutto il corpo, la presentazione di offerte, la dimenazione davanti al Signore. Ne traiamo di questa dedicazione dei leviti una immagine efebica, del tutto opposta a quella dei nazirei, anch’essi dedicati al Signore ma di maschio aspetto selvatico perché irsuti di barba e capelli incolti, vigendo per questi ultimi il divieto di taglio e rasatura per tutto il tempo della dedicazione. Dunque i leviti accantonano la propria sessualità nel compiere il servizio al santuario, mentre i nazirei mantengono la sessualità con la quale però lottano per domarla e mantenere viva la propria dedica al Signore. A quest’ultimo proposito ci si richiama alla mente la figura di Sansone, nazireo, dedicato al Signore da sua madre, ed in eterna lotta con le sue pulsioni sessuali dalle quali sarà liberato solo dalla morte. A questo proposito segnalo il libro di David Grossman Il miele e il leone, edito da Rizzoli, dove Sansone è rappresentato con intensa umanizzazione.
Si istituisce infine Pesah shenì, una seconda occasione di celebrare Pesah per chi non abbia potuto farlo nella prima celebrazione.
Dopo questi aspetti rituali si passa alla narrazione degli spostamenti del popolo verso il deserto di Paran. Abbiamo visto stabiliti, già nelle precedenti parashot, il posizionamento del tabernacolo e delle tribù nell’accampamento, nonché quale fosse la sequenza prevista per la messa in marcia del popolo. Ora si stabiliscono i segnali che due trombe d’argento dovranno emettere per impartire gli ordini stabiliti di movimentazione.
Mosè volle provvedersi di una guida esperta per il viaggio, un conoscitore del deserto che essi avrebbero dovuto attraversare, e si rivolse per questo a Chovav, figlio del midianita Re’uel suo suocero, dicendo: “Noi partiamo verso il luogo del quale il Signore disse - Quello Io darò a voi - , vieni con noi e ti faremo del bene, giacché il Signore ha promesso del bene ad Israele”. Ma Chovav rispose: “ Io non andrò; ma al mio paese ed al mio luogo di nascita andrò”, E Mosè disse: “Deh! Non abbandonarci giacché tu hai conosciuto il nostro accamparci nel deserto, e ci sei stato quale guida. Se verrai con noi, tutto il bene di cui il Signore ci beneficherà, lo faremo anche a te”. Che senso ha questo dialogo, perché Chovav prima rifiuta e poi accetta?
Il nome di Chovav ha le medesime radici di chovev, dare e avere amore. La prima offerta di Mosè è “noi ti faremo del bene”, è un compenso che viene promesso dal popolo per la sua prestazione, ma Chovav rifiuta perché non è quello il compenso che egli desidera. La seconda offerta di Mosè è ben diversa “tutto il bene di cui il Signore ci beneficherà, lo faremo a te” e l’offerta qui è il bene del Signore e questo non può che essere in primo luogo l’amore.
Il viaggio ha inizio e strada facendo cominciarono a manifestarsi difficoltà crescenti, fino all’aperta contestazione. Insofferenza alla disciplina, stanchezza, fame resero sempre più frequente la necessità di interloquire, incoraggiando ed esortando il popolo a proseguire verso la meta prefissata.
Per svolgere questa opera Mosè istituisce un’assemblea di settanta anziani con il compito di svolgere per lui quest’opera di persuasione e stimolo nei confronti del popolo.
C’è poi l’episodio di Eldad e Medad, che pur scelti a far parte dell’assemblea, stavano “profetizzando” nell’accampamento per loro conto. Mosè, richiesto da Giosuè per l’adozione di un provvedimento punitivo, si mostrò invece indulgente e condiscendente dicendo “Magari tutti del popolo del Signore fossero profeti!”
La parashà chiude con la contestazione di Mosè da parte di Miriam ed Aronne. I motivi della contestazione sono:
- l’avere Mosè preso con sé una donna kushit , di pelle scura, cosa che l’avrebbe portato a trascurare i suoi doveri coniugali;
- il ritenersi Mosè l’unico abilitato a ricevere la parola del Signore.
A questo punto il Signore chiarì ai tre che Egli avrebbe rivolto la parola solo a Mosè, mentre agli altri due Egli avrebbe potuto apparire solamente in sogno o in visione.
Miriam per punizione venne colpita da lebbra e solo per l’intercessione del fratello Mosè potè rientrare guarita nell’accampamento dopo sette giorni, e riprendere la marcia con il popolo.
Haftarà di Behaalotechà
“E l’inviato di D-o che parlava con me ritornò, e mi svegliò come uno che si desta dal suo sonno. E mi disse: ‘Che cosa vedi tu?’. E io risposi: ‘Ho visto, ed ecco un candelabro tutto d’oro con una sfera sulla sua cima, e sopra di questa sette suoi lumi e sette canali, uno per ciascuno dei lumi che vi sono sopra, e presso di essa due ulivi, uno a destra ed uno a sinistra della sfera.’ Ed io dissi all’inviato divino che parlava con me: ‘Che cosa sono questi o mio Signore?’ E l’inviato divino che parlava con me mi disse: ‘Non sai che cosa sono essi?’ Ed io risposi: ‘No, mio Signore.’ Ed egli mi disse: ‘Questo è quello che dice il Signore a Zerubavel. Non con la prodezza e non con la forza, ma con il mio spirito, ha detto il Signore Tsevaoth. Chi sei tu grande monte, davanti a Zerubavel? Diventerai pianura. Egli farà uscire la pietra fondamentale e si udranno acclamazioni: Favore, favore ad essa!”
(Zac.4,1-4,7)
Il candelabro, con i suoi sette lumi, esprime la luce divina che si spanderà sul Tempio e sulla terra. I due ulivi sono Zerubavel e Yehoshùa, che furono, il primo, colui che ricondusse in Israele i primi ritornati dall’esilio babilonese e, il secondo, il sommo sacerdote, anch’egli rientrato da Babilonia. Non la maestria e non la forza, ma la fiducia nel Signore consentiranno a Zerubavel la ricostruzione del Tempio, che tutti acclameranno.
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