(Num.16,1-18,32)
Il viaggio verso la terra promessa era stato travagliato in altre occasioni da malcontento, sfiducia e ribellioni, ma questa volta la contestazione, capeggiata dal levita Kòrach affiancato da Dathan e Aviram ed, inizialmente anche da On, si era espressa in modo argomentato, prendendo di mira l’autorità stessa di Mosè ed Aron, ed era sostenuta da duecentocinquanta rappresentanti autorevoli delle tribù.
Si noti per inciso che il fatto che Kòrach fosse un Levita è espresso dalle stesse radici del suo nome, che sono “qof-resh-chet”, le medesime di radersi i capelli (cnfr. Lev.21,5), che danno luogo ad una immagine di testa rasata, prerogativa appunto dei Leviti per i riti di purificazione.
La contestazione di Kòrach, insomma, si connota come quello che noi oggi chiameremmo un tentativo di colpo di stato e non come una sommossa popolare. Ci sono tutti gli elementi del colpo di stato e cioè un’organizzazione dei congiurati, un’ideologia dichiaratamente egualitaria, come è normale che sia quando si ritiene che ci sia un tiranno da eliminare, sostenuta da una plausibile interpretazione delle parole del Signore, e con la precisa individuazione dei soggetti da abbattere, in questo caso i due fratelli Mosè e Aron.
L’argomentazione a sostegno della contestazione era così espressa:
“Vi basti! Tutta la comunità sono tutti santi e in mezzo a loro è il Signore, e perché vi elevate al di sopra della congrega del Signore?”
A questa accusa a lui rivolta di voler esercitare il proprio potere personale sul popolo Mosè ribattè sdegnato, dicendo che l’indomani il Signore avrebbe fatto conoscere chi fosse il prescelto. Cercò inoltre Mosè di rammentare a Kòrach ed ai Leviti l’onore loro concesso dal Signore per averli designati al servizio del Tabernacolo. Mandò anche a chiamare Dathan e Aviram per avere con loro un colloquio che potesse distoglierli dal loro proponimento, ma da loro ebbe la risposta più aspra, perché essi dissero:
“Non verremo. Ti par poco di averci fatto salire da una terra stillante latte e miele per farci morire nel deserto, che vorresti ancora signoreggiare su di noi? Tu non ci hai portato in un paese stillante latte e miele per darci un possesso di campi e di vigne. Vorresti forse accecare gli occhi di questa gente? Noi non verremo.”
Ci troviamo quindi davanti a due diverse motivazioni della ribellione, infatti mentre le parole di Kòrach esprimono la contestazione della leadership rappresentata da Mosè ed Aron, la posizione di Dathan ed Aviram è invece di sfiducia nella riuscita dell’impresa di poter giungere alla terra promessa e di nostalgia per la terra d’Egitto. Le due posizioni sono entrambe in contrasto con la volontà del Signore e quindi entrambe saranno condannate ed i loro sostenitori saranno puniti con la morte.
Si potrebbe operare una distinzione tra queste due posizioni, e potrebbe, a prima vista, ritenersi molto più grave quella di Dathan ed Aviram rispetto a quella di Kòrach, potendo apparire la colpa dei primi due doppia rispetto a quella dell’ultimo. Si potrebbe dire infatti che Dathan ed Aviram non solamente hanno perso la fiducia nella conduzione da parte dei due fratelli, ma hanno perso anche, e soprattutto, la fiducia nella possibilità di giungere alla terra promessa dal Signore.
E’ da tener presente infatti che, mentre l’obiettivo del viaggio non avrebbe potuto venir meno perché era stato promesso dal Signore, i due fratelli condottieri, invece e in linea ipotetica, avrebbero potuto essere sostituiti, anche in considerazione dei comportamenti di entrambi in occasione dell’episodio del vitello d’oro. Ricordiamoci che Aron non si era opposto, come avrebbe dovuto, alla richiesta del popolo di fabbricare l’idolo e ricordiamoci anche che Mosè, quando ridiscese dalla montagna, ordinò che fossero uccisi tutti coloro che nell’occasione non si erano mantenuti fedeli al Signore, e che quel giorno morirono perciò tremila persone, mentre a suo fratello Aron non toccò per l'occasione pena maggiore di un rimbrotto.
Però Kòrach, nel contestare il primato di Mosè ed Aron, non fa nessun riferimento ad errori commessi dai due, ed avrebbe potuto farlo come abbiamo appena evidenziato, e la sua critica in questo caso avrebbe assunto i connotati di una critica al loro operato umano, alla loro inadeguatezza nell’eseguire il disegno divino. Kòrach invece mette in dubbio la legittimità del primato loro conferito, perché a suo dire, e diversamente da quanto stabilito fin qui dal Signore, poichè tutto il popolo è santo, non è legittimo che esistano posizioni di preminenza .
Ma a tutte queste possibili disquisizioni pose termine il giudizio del Signore, per cui la terra si aprì ed inghiottì Kòrach, Dathan edAviram insieme alle loro famiglie. Un fuoco inoltre divorò i duecentocinquanta notabili che avevano sostenuto la rivolta.
Il popolo non comprese e non accettò la punizione, che il Signore aveva impartito, e ne dette la colpa a Mosè ed Aron. L’ira del Signore si accese nuovamente e si abbattè sul popolo e quando cessò, per l’espiazione compiuta da Aron, si contarono quattordicimilasettecento morti oltre quelli per i fatti di Kòrach.
A questo punto, allo scopo di far conoscere chi fosse prescelto per le funzioni sacerdotali, il Signore disse a Mosè di porre nella tenda della radunanza davanti alla Testimonianza dodici verghe, una per ogni tribù, e quella che fosse fiorita avrebbe indicato la scelta operata dal Signore. Così fu fatto ed il giorno dopo era fiorita la verga di Aron.
Qui finalmente il Signore, che generalmente parla solo a Mosè, parlò direttamente ad Aron ed a lui dette le istruzioni per il servizio di sacerdozio al Santuario, che egli avrebbe dovuto prestare con i suoi figli, e con l’aiuto dei Leviti, assegnati al servizio della tenda della radunanza. Vennero definite inoltre le spettanze sulle offerte presentate dal popolo in sacrificio, tenendo presente che i Leviti non avevano proprietà terriere e vivevano quindi dei proventi loro assegnati dai sacrifici.
Per quanto riguarda poi il sacrificio di spettanza dei Leviti, il Signore disse a Mosè di parlare così ai Leviti:
“Quando prenderete dai figli d’Israele la decima che Io ho dato a voi da loro in retaggio, preleverete da quella il tributo al Signore: decima dalla decima. Il vostro tributo vi sarà calcolato come il grano dall’aia e come il vino dal torchio. In tal modo offrirete anche voi un tributo al Signore da ogni vostra decima, che prenderete dai figli d’Israele e da essa darete un’offerta del Signore al sacerdote Aron.”
(I Sam.11,14-12,22)
Haftarà di Kòrach
Anche questa è una storia di contestazione, una contestazione avvenuta secoli dopo quella di Kòrach e che ora riguarda Samuele, giudice e profeta. E’una contestazione questa che non parte da una élite, come era avvenuto per quella di Kòrach, ma ha matrice più ampiamente popolare. Israele era circondato da popoli ostili con i quali era ripetutamente in conflitto. Siamo al tempo dei Giudici, che furono magistrati con ampi poteri civili e militari, ai quali in tempo di guerra era affidato il compito di guidare il popolo d’Israele nei conflitti sostenuti con gli altri popoli.
In queste guerre con i popoli vicini Israele aveva subito ripetute sconfitte sicché presso il popolo aveva preso corpo il convincimento che ciò fosse da attribuirsi al fatto che gli altri popoli erano guidati, diversamente da Israele, da dei re. Il popolo chiese allora a gran voce al vecchio Samuele di proclamare re Saul.
Dopo un vano tentativo di dissuadere il popolo da questo proponimento, rammentando loro che Israele aveva già un re e che questi era il Signore e che quindi nominare un uomo a ricoprire questo ruolo costituiva grave peccato, alla fine Samuele cedette ed unse Saul re d’Israele.
E disse Samuele al popolo:
“Ma il Signore D-o vostro è il vostro re! Comunque ora avete il re che avete scelto dopo di averlo chiesto; vedete, D-o vi ha dato un re.”
“Vedete, siamo oggi nella stagione della mietitura del frumento; io invocherò il Signore perché mandi tuoni e pioggia, cosicché voi, ciò vedendo,riconosciate che avete commesso una gran colpa davanti al Signore richiedendo per voi un re.”
E quando ciò avvenne ed il popolo impaurito riconobbe di aver peccato e gli chiese di intercedere presso il Signore, allora Samuele disse:
“Non temete, voi avete bensì commesso questa grave colpa, ma ora non deviate dalla strada del Signore, e servitelo con tutto il vostro cuore.”
Deviare, prosegue Samuele, li avrebbe condotti a servire altri dèi ed a perdere la propria salvezza.
“Invece il Signore non abbandona il Suo popolo in grazia del Suo grande nome, dacché il Signore ha voluto fare di voi il Suo popolo.”
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