mercoledì 8 maggio 2013

i Dieci Comandamenti

(Es.20,1-20,17; Deu.5,6-5,18)

Si narra in Esodo, secondo libro della Torà, che il Signore pronunciò sul monte Chorev le parole della Legge: i Comandamenti del Patto che Egli intese stringere con i figli d'Israele. L'elenco dei Comandamenti, ricavato da questo pronunciamento, è quello qui di seguito riportato:

1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dèi al Mio cospetto. Non ti farai alcuna scultura né immagine.
3) Non pronunziare il nome del Signore Dio tuo invano.
4) Ricordati del giorno del Sabato per santificarlo.
5) Onora tuo padre e tua madre.
6) Non uccidere.
7) Non commettere adulterio.
8) Non rubare.
9) Non fare falsa testimonianza.
10) Non desiderare ciò che appartiene ad altri.

Si racconta poi nel quinto libro della Torà, il Deuteronomio, che Mosè radunò gli Israeliti per rammentare loro il patto stabilito dal Signore sul monte Chorev, e che ripetè quindi in questa occasione le dieci Parole, i dieci Comandamenti che il Signore aveva pronunciato quarant'anni prima lasciandoli atterriti.

L’enunciazione dei comandamenti, così come espressa nei due diversi libri della Torà, induce sia alcune incertezze interpretative, riguardanti il primo ed il secondo comandamento, sia alcune considerazioni in merito ad altri quattro comandamenti, cosa che assume particolare rilievo in quanto tali incertezze e considerazioni riguardano i cardini della Legge che le dieci Parole vanno a sostanziare.
Vediamo quindi di che si tratta, tentando di arrivare ai chiarimenti che fossero necessari.

A)PRIMO E SECONDO COMANDAMENTO: IO SONO IL SIGNORE DIO TUO - NON AVRAI ALTRI DEI AL MIO COSPETTO.NON TI FARAI ALCUNA SCULTURA NE' IMMAGINE.

Le incertezze si colgono dalla lettura della traduzione italiana, come riportata nella Bibbia Ebraica edita a cura di Rav Dario Disegni. Se confrontiamo infatti le traduzioni relative ai due passi biblici, osserviamo una lieve differenza alla quale non può però riconoscersi esclusiva valenza formale, quanto invece l’origine di due diverse interpretazioni. Infatti in Esodo nel primo capoverso, e quindi riferibili al primo comandamento, figurano unicamente le parole "Io sono il Signore Dio tuo" , mentre nel secondo sono le parole, riferibili al secondo comandamento, "Non avrai altri dèi al mio cospetto. Non ti farai alcuna scultura né immagine".

In Deuteronomio, invece, fanno parte del primo capoverso oltre le parole "Io sono il Signore tuo Dio", anche le parole "Non avrai altri dèi al mio cospetto", mentre al secondo capoverso sono le parole "Non ti farai alcuna scultura nè immagine".

Nel testo ebraico, ovviamente, non essendoci la forma del punto e a capo, non ci sono capoversi, ma una semplice sequenza di frasi e questo dà luogo, a seconda di come i gruppi di parole vengono associati, a diverse possibili interpretazioni. In questo caso il problema dell’esatta interpretazione è di particolare rilevanza, trattandosi dell’enunciazione dei cardini della legge che i comandamenti vanno a sostanziare.

In definitiva il dubbio che si profila riguarda la scritturazione dei primi due comandamenti e precisamente se, invece di quelli enunciati in Esodo, non debbano invece intendersi i due comandamenti rispettivamente espressi come segue:

1) Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altri dèi al mio cospetto.
2) Non ti farai alcuna scultura né immagine.

Questa versione, adottata anche in altre fonti non ebraiche, conferisce rilevanza autonoma alla prescrizione contraria a sculture ed immagini e costituisce una sicura incentivazione alla concezione iconoclastica.

A mio parere quest’ultima scritturazione proposta per i primi due Comandamenti non è condivisibile e ciò perché dovrebbe obiettivamente intendersi che il divieto di fare sculture e immagini sia stato espresso non di per sé, ma nel fondato timore che queste potessero divenire oggetto di culto e adorazione, come del resto avvenne con il vitello d'oro. Inoltre il solo comandamento di riconoscere il Signore come proprio Dio non esclude di per sé il riconoscimento di altri dèi e perciò è impartito il secondo comandamento, sicché avremmo:

1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dèi al mio cospetto. Non ti farai alcuna scultura né immagine.

Ora se il divieto di sculture e immagini è impartito allo scopo di evitare che queste divengano oggetto di culto e adorazione, ecco allora che il divieto appare derivato dalla prima parte "Non avrai altri dèi al mio cospetto".

E’ da notare infine che il divieto di fare sculture e immagini resta associabile al divieto di avere altri dèi, anche nel caso di sculture ed immagini fatte per rappresentare non già altri dèi, ma il Signore. Anche in questo caso infatti il rischio sarebbe sempre quello di arrivare a venerare la scultura o l’immagine come se essa stessa divenisse la sostanza del Signore, cosa che ne farebbe un idolo e dunque, un dio distinta dal Signore.

B) SESTO E NONO COMANDAMENTO: NON UCCIDERE - NON FARE FALSA TESTIMONIANZA.

Ho voluto raggruppare questi due comandamenti perché intendo evidenziare che, contrariamente a quanto si potrebbe ritenere a prima vista, la loro infrazione è molto più frequente di quanto non si pensi.

C’è infatti una specie di omicidio che si commette non già uccidendo fisicamente l’altro, ma uccidendolo civilmente, uccidendo la sua immagine, la sua dignità, la sua rispettabilità, servendosi per raggiungere questo scopo abietto della falsa testimonianza o della maldicenza. Questo è un delitto estremamente frequente, commesso sia per favorire noi stessi o altre persone che desideriamo vengano privilegiate a scapito ed a danno di altri, sia a volte per semplice leggerezza, non avendo valutato appieno le conseguenze delle nostre parole. E’ questa la forma di delitto più infame, anche perché a volte è compiuto all’insaputa del danneggiato, il quale può arrivare a scoprire il complotto in modo casuale, perché lo apprende con sorpresa da altre persone. La maldicenza va quindi ad assumere i connotati della congiura, della falsità e della vigliaccheria.

L’ebraismo condanna la maldicenza e la diffamazione definendole “Lashòn haRà” e il Talmud afferma che le male lingue abituali non sono tollerate alla presenza del Signore e che “Lashòn haRà” è una delle cause della malattia “tzaraath”. In Numeri 12 si narra che Miriam per avere messo in discussione il primato del fratello Mosè nella guida del popolo d’Israele venne colpita da “tzaraath”, la malattia della lebbra, e che dovette rimanere fuori dall’accampamento per tutto il periodo della malattia e che durante questo tempo tutto Israele fu costretto ad aspettarla.

C) SETTIMO COMANDAMENTO: NON COMMETTERE ADULTERIO.

Un'altra considerazione merita di essere fatta a proposito del settimo Comandamento, per il quale altre fonti propongono la dizione "Non commettere atti impuri", come riportato, ad esempio, nel Decalogo in uso per la catechesi cattolica, dove peraltro occupa il sesto posto nel seguente elenco:

Ascolta Israele! Io sono il Signore Dio tuo:
1) Non avrai altro Dio all'infuori di me.
2) Non nominare il nome di Dio invano.
3) Ricordati di santificare le feste.
4) Onora il padre e la madre.
5) Non uccidere.
6) Non commettere atti impuri.
7) Non rubare.
8) Non dire falsa testimonianza.
9) Non desiderare la donna d'altri.
10) Non desiderare la roba d'altri.

Il Comandamento, che nell'elenco soprariportato da settimo è diventato sesto, non risulta in nessuno dei due passi biblici e fornisce una visione non coerente con la finalità sociale che si intravede nei Comandamenti dal quinto al decimo. Pertanto resta, a mio parere, confermatala validità della dizione:
7) Non commettere adulterio.

D) DECIMO COMANDAMENTO: NON DESIDERARE CIO' CHE APPARTIENE AD ALTRI.

Segnalo infine l'atipicità del decimo Comandamento, conclusivo della sequenza dei cinque comandamenti negativi, che prescrivono cioè le cose da non fare, perché quello che si prescrive di non commettere in questo caso non è un'azione ma un pensiero, un desiderio, che, a mio parere, finché rimane tale può costituire un'ossessione per chi lo prova, ma non produce danno ad altri.

10) Non desiderare ciò che appartiene ad altri.

Con questa dizione si comprendono sia la donna, sia i servi, sia i beni materiali che gli altri possiedono.

Ritengo che questo Comandamento, proprio perché condanna il pensiero, sia il più severo e che proprio per questo ci sia da chiedersi la ragione di questa anomalia. E' un Comandamento verso sé stessi e non verso gli altri e trova giustificazione nella scelta che deve compiersi mirata alla disciplina del controllo e della repressione del desiderio, con la finalità di condurci a dare valore non tanto a ciò che vorremmo avere, quanto a ciò che già possediamo.

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