lunedì 23 maggio 2011

Bemidbar

Bemidbar: nel deserto. Questo è il titolo della parashà che apre il quarto libro della Torà, al quale da anche il nome. Numeri è il titolo in italiano, allineato con Aritmoi, titolo della versione greca dei settanta, che meglio esprime l’attività di contare, cioè il censimento dei maschi di età maggiore di venti anni di ciascuna tribù, ed il censimento dei Leviti, di cui appunto qui si parla.

A proposito di questo censimento ricordiamo che nella parashà Ki Thissà (Esodo 30, 11-16), il Signore disse a Mosè: “Quando farai il censimento dei figli d’Israele, cioè di quelli che sono da passare in rassegna, ciascuno di loro pagherà al Signore il riscatto della propria persona quando ne verrà fatta l’enumerazione, … . Questo dovranno dare tutti quelli compresi nell’enumerazione: un mezzo siclo calcolando il siclo sacro che è di venti gherà, mezzo siclo sarà il contributo da pagarsi al Signore. Chiunque farà parte delle persone censite dall’età di vent’anni in poi, darà il contributo al Signore. … . Riceverai dai figli d’Israele la somma di questo riscatto, e l’impiegherai a servizio della tenda della radunanza; …”

Inoltre, nella stessa parashà (Esodo 32, 26-29), in occasione dell’episodio del vitello d’oro, si dice che Mosè chiese gridando che venissero presso di lui coloro che avevano mantenuto fedeltà al Signore e che a tale richiesta tutti i figli di Levi si aggrupparono intorno a lui. E allora Mosè disse ai Leviti: “Consacratevi da quest’oggi al Signore, poiché ciascuno di voi se ne rese degno, con la punizione inflitta anche al proprio figlio o fratello, e tale attaccamento al Signore merita oggi la benedizione divina”.

Ed è appunto ora, nella parashà Bemidbar, che si opera questo censimento, determinando per ogni tribù, meno che per la tribù di Levi, la consistenza dei maschi maggiori di vent’anni, e ricavando poi il numero totale dei censiti per l’intero popolo. Per la tribù di Levi si procederà, separatamente, a contare i maschi da trenta a cinquant’anni.

Il censimento ha un molteplice scopo:
- raccogliere il riscatto dovuto da tutti i primogeniti maschi di età superiore a vent’anni da destinarsi a finanziare il funzionamento del Tabernacolo e più in generale del Tempio;
- determinare, separatamente dalle altre tribù, il numero dei Leviti, che, in sostituzione dei primogeniti delle altre tribù, avrebbero da allora in poi espresso la loro appartenenza al Signore prestando servizio presso la Tenda della Radunanza ed il Tabernacolo;
- determinare l’eccedenza del numero complessivo dei primogeniti rispetto al numero dei Leviti ed individuare chi dovesse, conseguentemente, offrire il riscatto stabilito in cinque sicli a testa del peso in uso nel Santuario.

E’ questa una parashà di attuazione di decisioni già assunte in Esodo, ma non per questo è priva di un messaggio proprio. Al contrario è una parashà di ordine, di disciplina, è la parashà dove un insieme di persone si trasforma in un popolo ed un popolo si trasforma in esercito, dove ad ognuno è assegnato un compito da svolgere ed una posizione di marcia. Numeri, ordine e posizioni sono elementi sui quali l’ermeneutica ebraica spazia alla ricerca di significati, collegamenti, commenti, previsioni. Resta il significato più prossimo e palese che ci dice che un popolo non può raggiungere un obiettivo collettivo importante se non mettendo a punto un’organizzazione, che abbia lo scopo di coordinare ed ottimizzare le azioni delle singole unità secondo le direttive che saranno impartite da chi ne avrà assunto la direzione ed il comando. La marcia nel deserto verso la terra promessa è un’impresa epica, c’era un popolo spesso recalcitrante e contestatore ed occorreva, per arrivare alla meta, agire con fermezza e durezza, ed anche, quando occorresse, soffocare nel sangue i tentativi di rivolta.

Mosè, ispirato dal Signore, è stato per il popolo ebraico l’equivalente di quello che nella Repubblica Romana prendeva il nome di “dictator”, il capo unico risoluto ed unico nelle decisioni, che agisce per conseguire uno scopo in circostanze eccezionali, e che a far ciò è stato delegato. Il “dictator” romano, però, poteva durare in carica al massimo sei mesi, mentre Mosè è stato in carica per quarant’anni.

Ma questa vicenda nel deserto è veramente tanto lontana? Si perde veramente nella notte del tempo di più di 3.300 anni addietro? C’è qualcosa che può aiutarmi a comprendere quello che è avvenuto ed a partecipare emotivamente a questi avvenimenti?
Certo che è possibile! Devo calare però la mia persona nella narrazione e farla diventare la mia storia.

Io ero in terra d’Egitto, il mio mondo era come la terra d’Egitto per me. Il mio lavoro era come se fabbricassi e cuocessi mattoni per il Faraone e lì ho mangiato il pane dell’afflizione. Un giorno il Signore mi ha detto di lasciare tutto ed avviarmi alla ricerca della mia terra promessa, le terra della mia libertà, la terra dove le mie opere avrebbero potuto essere benedette perché dedicate al Signore. Il cammino è stato lungo, quarant’anni, tutta una vita, un cammino lungo e seminato di ostacoli, canti di sirene che hanno tentato di farmi deviare, alcuni facilmente riconoscibili, altri più insidiosi perché connotati di innocenza. Ho ricordato allora la voce del Signore che dice: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro che si facciano delle frange agli angoli delle loro vesti per le loro generazioni e mettano sulla frangia dell’angolo un filo di lana azzurra. Esse saranno per voi delle frange, le quali, quando voi le vedrete, ricorderete tutti i precetti del Signore e li eseguirete, e non devierete seguendo il vostro cuore e i vostri occhi, seguendoli voi diverreste infedeli. Affinché vi ricordiate ed eseguiate tutti i Miei precetti e siate santi al vostro Dio. Io, il Signore Dio vostro, che vi fece uscire dalla terra d’Egitto per esservi Iddio, Io, il Signore, sono Dio vostro”.

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