Siamo nei capitoli da 21 a 24 del Levitico che trattano, i primi due, delle prescrizioni particolari, che i Cohanim devono osservare per l’avvicinamento al Sacro e quindi per la loro Qedushah; gli altri due delle feste - Moadim -, che si celebrano nell’anno ebraico. L’ultimo capitolo, il 24, narra anche della lapidazione di un uomo, figlio di matrimonio misto, che nel corso di una rissa pronunciò e maledisse il nome divino.
1. Cohanim
Le prescrizioni particolari dettate per i Cohanim riguardano l’obbligo di evitare l’impurità dei cadaveri, alcune restrizioni coniugali e l’esclusione dai riti sacrificali per chi si trovi in stato di impurità o sia affetto da imperfezione fisica.
Queste prescrizioni hanno una triplice valenza: nei confronti del Signore, nei confronti di sé stessi, nei confronti del popolo.
Nei confronti del Signore perché, così come per i sacrifici si presentano al Signore le offerte di migliore qualità, siano esse prodotti agricoli o offerte animali, parimenti i Cohanim che al Signore si avvicinano devono distinguersi quanto a purità ed integrità rispetto al loro popolo. Ricordiamo al proposito l’episodio in Genesi 4 dove è scritto che “Caino portò dei frutti …”, mentre Abele portò “dei primogeniti del suo gregge e delle loro parti più grasse”. Il Signore gradì Abele e il suo presente, mentre non gradì Caino.
Nei confronti di sé stessi perché i Cohanim, nell’accostarsi al Signore, devono avere la consapevolezza della necessità di possedere questi requisiti di purità ed integrità essendo di ciò responsabili.
Nei confronti del loro popolo, al quale devono essere di esempio e di incoraggiamento per superare le difficoltà che possono incontrarsi sulla via della santità e dell’integrità. Come potrebbero altrimenti pretendersi sacrificio e dedizione se chi lo pretende non mostra, lui per primo, di agire secondo queste linee direttrici?
E’ questo un tema attuale quando si pensi che ai nostri giorni i comportamenti delle persone poste alla guida delle nazioni vanno a connotare ed incidono sul prestigio e la credibilità delle nazioni stesse. Questi capi che potranno essere dissoluti, corrotti, sanguinari oppure integri, corretti, equilibrati opereranno certamente con modalità profondamente diverse, così come profondamente diverse saranno le sfere di influenza dove collocheranno i loro paesi. Di tutto ciò essi saranno responsabili.
2.Moadim
Il Signore comunica a Mosè quali siano le ricorrenze da celebrare, oltre al Sabato, già di per sé a Lui destinato.
Nell’anno ebraico, a partire da Pesach , si susseguono le Feste che ricordano le tappe del cammino del popolo ebraico dalla sua liberazione, al dono della Torà, celebrato dalla festa di Shavuot e poi Rosh haShanà, anniversario della creazione dell’uomo, che è il giorno in cui il Signore ci giudica per iscriverci nel libro della vita o in quello della morte, seguita da Kippur, giorno di espiazione e di perdono. Seguono infine Succot e Sheminì Azeret: la prima è la festa delle capanne o festa della gioia dell’uomo riconciliato con il Signore e gioia dell’abbondanza del raccolto; la seconda, che chiude il ciclo delle feste autunnali, fa assumere alla gioia celebrata a Succot un carattere più intimo stabilendo rapporto esclusivo tra l’essere umano ed il Signore.
Queste tappe scandite dai Moadim dovranno essere le tappe secondo cui si svolgerà la nostra esistenza personale, che vedrà quindi susseguirsi la liberazione dalla schiavitù, che è la vita non illuminata dalla parola del Signore, seguita dalla ricezione consapevole del dono della Torà e poi dal bilancio che faremo della nostra esistenza e dal giudizio che a questa esistenza daremo, cui seguirà l’espiazione e il perdono, intimo lavacro purificatore.
A questo punto potremo celebrare la gioia per tutto ciò che abbiamo ricevuto dal Signore e lo faremo sia collettivamente a Succot, sia intimamente a Sheminì Azeret.
3.Una sola legge
La narrazione dell’episodio della lapidazione dell’uomo figlio di matrimonio misto può risultare fuorviante ove ci si fermi alla lettura della sola prima parte.. Si narra infatti che un uomo, figlio di madre ebrea e di padre egiziano, durante una rissa pronunciò e maledisse il nome divino e perciò venne giudicato e condannato a morte per lapidazione. Se la narrazione finisse qui si potrebbe trarne la morale che i matrimoni misti siano da evitare perché i figli frutto di tali unioni offendono il Signore.
Ma non è così perché il racconto prosegue con le seguenti parole del Signore:
“Chiunque maledica il suo Dio, porterà le conseguenze del suo peccato, e chi bestemmia il nome del Signore sia fatto morire, tutta la congrega lo lapiderà: sia il forestiero sia l’indigeno quando abbia bestemmiato il nome divino verrà fatto morire.”
Ed ecco che dunque il senso della narrazione è completamente cambiato: il figlio dell’egiziano non viene posto su un gradino più basso, al contrario viene affermata la completa parità dei suoi diritti e doveri rispetto a quelli degli ebrei.
Israele manterrà sempre questo giudizio positivo nei riguardi degli egiziani perché, se è vero che fu schiavo in terra d’Egitto, è anche vero che la terra d’Egitto lo salvò dalla morte per fame, quando chiese rifugio per sfuggire alla grave carestia che imperversava in terra di Canaan.
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