lunedì 30 maggio 2011

Nasò

La narrazione si svolge nei capitoli da 4 (parte) a 7 di Numeri e comprende diversi argomenti connessi alla consacrazione del Santuario.

Il capitolo 4 tratta del censimento dei Leviti, avvenuto con la conta dei figli di Kehat, di Gherscion e di Merari, limitatamente ai maschi di età compresa tra i trenta ed i cinquanta anni, nonché dei compiti che a loro nominativamente furono assegnati per quanto riguarda i servizi, la custodia ed il trasporto degli oggetti del Tabernacolo. Appare notevole l’organizzazione che venne creata, con la quale si arrivò ad associare ciascuna persona al suo specifico compito, sicchè niente fu lasciato al caso o all’improvvisazione, né poteva essere altrimenti per un popolo nomade che doveva spostarsi rapidamente , senza perdere lungo il suo cammino né oggetti sacri, né animali, né masserizie, né provviste ed, ovviamente, neanche uomini o donne.
Tutto era organizzato, dallo schieramento all’ordine di marcia, come abbiamo visto nella parashà precedente, affinché questa massa di popolo in cammino, anche e soprattutto in presenza di improvvise minacce od imprevisti non avesse a scompaginarsi.
Era un popolo ma anche un esercito, che agiva secondo le regole e la disciplina, che aveva dovuto adottare per necessità, così come avevano fatto ed avrebbero fatto anche altri popoli, ben più numerosi ed agguerriti, che traversarono la mezzaluna fertile: dagli Ittiti, ai Medi, ai Babilonesi, agli Assiri, ai Persiani.
Furono lo stesso tipo di migrazioni delle invasioni barbariche che avrebbero riguardato, molti secoli più tardi, anche l’Italia alla caduta dell’impero Romano. Vandali, Goti, Visigoti, Unni erano popoli interi che si spostavano e che, sicuramente, avranno avuto anch’essi un’organizzazione ed una disciplina simile a quella qui narrata per il popolo ebraico.

Si parla quindi al capitolo 5 di argomenti, che, a prima vista, potrebbero apparire estemporanei perché parrebbero riguardare più regole particolari nell’ambito della convivenza sociale che non l’ambito dei servizi per il Tabernacolo e la consacrazione del Santuario. Infatti vengono impartite le istruzioni riguardanti l’allontanamento del lebbroso e più in generale dell’impuro dall’accampamento, per poi passare all’illustrazione delle modalità di riparazione quando sia stato commesso un furto ed infine il capitolo conclude con una lunga illustrazione della procedura cui avrebbe dovuto sottoporsi una donna sposata che fosse stata sospettata dal marito di essere stata infedele.
I tre argomenti in effetti toccano problematiche di carattere sociale, ma indubbiamente riguardano tutte e tre la “purità”, che, particolarmente in occasione della consacrazione del Santuario, doveva essere rispettata e non menomata per la mancata purificazione relativa a fatti già avvenuti. Con questa considerazione è individuata la radice logica per la quale la trattazione di questi argomenti avviene nella nostra parashà.

Il capitolo 6 tratta del nazireato e degli obblighi che il nazireo, sia esso uomo o donna, deve assumere per tutto il periodo di tempo nel quale la sua persona è dedicata al Signore. Per effetto del voto di nazireato egli non berrà né vino né sostanze inebrianti, non mangerà uva e lascerà crescere barba e capelli senza tagliarli, né raderli. Non dovrà contaminarsi entrando ove sia un morto, anche se si trattasse di suo padre, di sua madre, di suo fratello o di sua sorella. Trascorso il tempo della sua astinenza il nazireo porterà la sua chioma all’ingresso della tenda della radunanza e recherà le offerte per i sacrifici al Signore.

Al capitolo 7, finale della parashà, si narra che, dopo che Mosè ebbe terminato di erigere il Santuario ed ebbe proceduto alla sua consacrazione, i preposti alle tribù portarono i loro sacrifici davanti al Signore.
Parte delle offerte andarono ai Leviti, mentre per l’inaugurazione dell’altare i preposti recarono le loro offerte al Signore in giorni separati.
La presentazione delle offerte si protrasse quindi per dodici giorni, tanti quante erano le tribù, I doni consistevano in vassoi e bacinelle d’argento e ciotole d’oro, oggetti che furono tutti pesati in sicli d’argento del Santuario. La pesatura avveniva con bilance a due piatti, su uno dei quali si collocavano gli oggetti da pesare e sull’altro i pesi campione fino a raggiungere la posizione di equilibrio. I pesi campione erano il siclo del santuario, il cui peso era solitamente pari a 11,5 grammi, i suoi multipli e le sue frazioni. Questa unità di peso era adottata in tutta la mezzaluna fertile, con leggeri scostamenti di uno o due grammi in più o in meno, e nacque molto probabilmente in Mesopotamia.
La Torà fa riferimento ai sicli del Santuario in relazione a due diversi tipi di valutazione: la stima del valore e la pesatura.
Della stima di valore di un’offerta abbiamo parlato nella precedente parashà Bechuccothài, quando si disse che il valore di un’offerta era espresso in sicli d’argento del santuario, considerando che ogni siclo d’argento corrispondeva ad un contenuto di argento fino pari a 11,5 grammi.
Nel valutare il valore ad esempio di un vassoio d’argento si teneva conto non solamente del suo peso, ma anche, e fondamentalmente, del “titolo” e quindi di quale fosse la percentuale di argento nella lega con la quale era stato realizzato l’oggetto.
Nella nostra parashà, invece, non si parla di valutazione di valore, ma solamente di peso dell’oggetto presentato.
Insomma il siclo d’argento del Santuario era sia un’unità di peso, sia un’unità monetaria e poteva svolgere come tale le due differenti funzioni.

Oltre a questi oggetti furono presentate al Signore offerte di animali per l’olocausto, con la loro offerta farinacea, nonché offerte di chattat e per il sacrificio di shelamim.

Quando Mosè entrò nella tenda della radunanza per udire la parola del Signore, egli udiva la voce che si faceva sentire rivolta a lui al di sopra del coperchio che era sull’Arca della Testimonianza, tra i due cherubini; da lì il Signore gli parlava.

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