lunedì 4 luglio 2011

Balac

(Num.22-25)
Il popolo d’Israele, nella sua marcia verso la terra promessa, era giunto ormai a ridosso del regno di Moab.

Balac, re di Moab, che aveva seguito le tappe di questa marcia di avvicinamento, era al corrente delle pesanti sconfitte inflitte da Israele agli altri re della regione, che avevano inutilmente tentato di ostacolarlo. Ora che vedeva Israele ai confini del suo regno Balac era molto preoccupato e disse agli anziani di Midian, suo alleato: “Ora questa moltitudine divorerà tutti i nostri dintorni, come il bue divora l’erba del campo”. Balac era consapevole che le proprie forze erano insufficienti per affrontare e battere un popolo così numeroso ed organizzato e ritenne quindi che fosse necessario ricorrere ad un aiuto soprannaturale. Egli inviò un’ambasceria a Bil’am, che viveva in Mesopotamia ed era noto in tutta la regione per la sua capacità di esercitare poteri di profeta e di mago. Così Balac mandò a dire a Bil’am: “Ecco un popolo uscito dall’Egitto, ricopre la superficie del paese. Esso mi sta di fronte. Ora vieni, maledici per me questo popolo, poiché esso è più forte di me. Forse potrò batterlo e scacciarlo dal paese, giacché so che chi tu benedici è benedetto e chi tu maledici è maledetto”.

Per poter dare una risposta all’ambasceria Bil’am, pur non essendo ebreo, e pur esercitando le arti di mago e profeta, cosa che lo connotava come non credente nel Signore d’Israele, ritenne di dover comunicare proprio con il Signore d’Israele ed il Signore gli disse: “Non andare con loro. Non maledire quel popolo, poiché esso è benedetto”. Bil’am pertanto rispose alla richiesta degli ambasciatori di Balac dicendo: “Andate nel vostro paese, poiché il Signore ha rifiutato di lasciarmi venire con voi”.

Ma quando Balac inviò una seconda ambasceria, offrendo ancora maggiori onori a Bil’am , e chiedendo nuovamente di maledire il popolo d’Israele, allora il Signore disse a Bil’am: “Se questi uomini sono venuti ad invitarti, va’ pure con loro, ma dovrai fare solo ciò che Io ti dirò”.

A questo punto della narrazione abbiamo già alcuni quesiti, ai quali sentiamo di dover dare risposta prima di andare avanti:
Il primo quesito riguarda il perché Bil’am si sia rivolto al Signore degli Ebrei e non ad un’altra divinità, ad esempio quella nella quale lui era credente.
Le risposte possibili sono diverse ma quella che mi sembra più razionale è che Bil’am abbia preferito la strada più diretta. Era evidente, per tutti i successi conseguiti lungo il suo cammino, che il popolo ebraico fosse benedetto dal Signore e che la cosa più conveniente per modificare questa sua condizione non fosse certo quella di mettere in competizione tra loro divinità diverse, ma che fosse invece da esplorare presso il Signore d’Israele se la benedizione di cui quel popolo godeva potesse essere sospesa o cessare.
Il secondo quesito è come fosse possibile che Bil’am conoscesse il nome del Signore d’Israele e come sia stato possibile che il Signore gli abbia parlato. Ricordiamoci, a questo proposito, quante volte abbiamo letto che il Signore disse a Mosè di dire ad Aron. Quindi il Signore, che molto raramente ha parlato persino ad Aron, che pure era il suo Gran Sacerdote, ora, appena interpellato, parla a Bil’am, mago e profeta non ebreo.
Credo che la spiegazione non sia tanto quella a posteriori, secondo cui il Signore è intervenuto per dire a Bil’am cosa dovesse fare, perché questo rientrava nel generale disegno divino. No, io penso che la chiave della spiegazione sia a priori, è Bil’am che ha assunto l’iniziativa di chiedere al Signore se fosse possibile maledire il Suo popolo. Ma, se è così, significa che Bil’am, pur profeta e mago non ebreo, aveva la capacità di comunicare con il Signore.

Prima di lavarcene le mani, dicendo che si tratta di un racconto fantastico del quale occorre tenere in conto solo il significato, facciamo dei passi intermedi per arrivare a comprendere quale sia il livello massimo comprensibile della plausibilità razionale del racconto.
Il dialogo di Bil’am con il Signore avviene in sogno.
Nel Tanak molti personaggi sognano ed altri interpretano i sogni. I personaggi che sognano non sono solamente ebrei: infatti anche il Faraone sogna, Nabucodonosor sogna. Il sogno avviene solitamente in una fase del sonno in cui il controllo sulla nostra anima è attenuato e l’anima ha la possibilità di mettere in atto le proprie facoltà percettive e comunicative.
E’ una fase molto delicata questa che vede l’anima allontanarsi dal corpo per poi ritornarvi al risveglio. La preghiera del risveglio mattinale recitata dagli ebrei dice: “Modè anì, riconosco davanti a te, sovrano, vivente ed eterno, che mi hai reso la mia anima misericordiosamente. Grande è la tua fiducia”.
Sappiamo anche che esistono altre modalità, oltre quella naturale del sonno, delle quali i sensitivi possono servirsi per raggiungere lo stato in cui l’anima si allontana dal corpo, aumentando la propria sensibilità e le proprie percezioni. Pensiamo molto semplicemente ai racconti di molte persone sottoposte ad interventi chirurgici in anestesia totale; essi parlano di questo distacco dell’anima dal corpo e delle sensazioni di lieta lucidità e completezza che accompagnano questa esperienza. I sensitivi hanno anche capacità di raggiungere uno stato di trance in autoipnosi, e realizzano esperienze di allontanamento dell’anima, che rendono possibile vivere percezioni altrimenti inarrivabili.

Una persona mi raccontò una volta il meccanismo ipnotico per ottenere questo allontanamento dell’anima. Egli era comodamente seduto su una poltrona e cominciò a rilassarsi , fino a raggiungere uno stato in cui non c’erano più pensieri nella sua mente. Raggiunto questo punto di vuoto, si ritrovò sulla sponda di un lago, all’ombra di frasche dense e ombrose, e vedeva davanti a sé lo specchio delle acque immobili e mute. Aveva nelle mani una canna da pesca con un amo luminoso e brillante sospeso alla lenza. Fissava l’amo e cominciò a farlo oscillare in modo sempre più ampio verso lo specchio delle acque del lago. Il punto più vicino sfiorava quasi la sua persona ed il punto più lontano si proiettava lontano sullo specchio delle acque del lago. Il suo sguardo seguiva l’amo nelle sue oscillazioni, senza abbandonarlo mai, fino al punto di massima estensione. Cominciò a percepire, nel punto di maggior distanza, l’attimo in cui l’amo rimaneva immobile prima di tornare indietro, e vide in quell’attimo il punto dello specchio dell’acqua in cui l’amo si sarebbe immerso se l’avesse lasciato libero. Si concentrò allora nell’oscillazione seguente, con lo sguardo attaccato all’amo che si allontanava rapidamente e nello stesso istante in cui esso raggiungeva l’estremo più lontano, liberò la lenza e l’amo colpì lo specchio d’acqua e passò sotto la sua superficie e la sua anima insieme ad esso.
Un attimo prima di colpire lo specchio d’acqua la sua anima provò il terrore del pensiero che forse non avrebbe più saputo tornare indietro. Un attimo dopo essa provò la gioia di trovarsi in un altro mondo, reale come quello che aveva lasciato, ma assolutamente diverso nelle sensazioni, nei pensieri nei sentimenti. L’unico punto fermo della sua anima rimaneva la sua identità, uguale a quella che aveva sempre avuta.
Quella persona concluse il suo racconto dicendomi: “L’importante perché la propria anima non si perda è rimanere saldamente attaccati all’amo al quale ci eravamo aggrappati”.

Ed allora ecco che, con queste premesse, diventa plausibile il fatto che Bil’am abbia posseduto le capacità necessarie ad interloquire con il Signore d’Israele.
Ma subito dopo la figura di Bil’am riceve nella narrazione un pesante ridimensionamento. Egli infatti, dopo aver ricevuto le parole del Signore, si alzò la mattina, sellò la sua asina e andò con i principi di Moav, senza precisare loro che egli avrebbe fatto solo quello che il Signore gli avrebbe detto. Per ostacolare i proponimenti di Bil’am, che parevano orientati per la pronuncia della maledizione del popolo d’Israele, il Signore inviò un proprio emissario per fermarlo. Tre volte si presentò l’emissario con la spada sguainata sulla strada percorsa da Bil’am e per tre volte Bil’am non lo vide, mentre lo vide la sua asina, cha scartò bruscamente fuori dal sentiero e gli salvò la vita.
Per tre volte Bil’am bastonò la sua asina, rimproverandola per gli scarti che aveva compiuto, finché il signore aprì la bocca dell’asina che disse: “Non sono io la tua asina sulla quale hai cavalcato da quando esisti fino ad oggi? Ho io mai usato di farti così?”. A quel punto il Signore aprì gli occhi a Bil’am che vide l’inviato del Signore, il quale gli disse: “Perché hai battuto la tua asina già tre volte?Ecco io ero uscito per esserti di ostacolo, perché la tua vita è contraria a me, L’asina mi vide e mi scansò già tre volte. Ove non m’avesse scansato, avrei ucciso te e lasciato in vita lei”.

L’episodio induce ad una riflessione sulla figura di Bil’am. Il profeta, il mago, conoscitore di uomini e di Dei, che ha la capacità di dialogare con il Signore, si rivela come colui che non appena si allontana dalle istruzioni che il Signore gli ha dato, non vede più e la facoltà di vedere tocca ora alla sua asina, con un significato che da un lato evidenzia le carenze dell’uomo, per quanto dotato egli sia di poteri e facoltà degni di nota, ma dall’altro rende onore all’asina, proprio all’animale tanto utile ma tanto poco apprezzato.

Stavolta Bil’am mostrò di aver compreso le parole del Signore e quando, giunto a Moav, si trovò davanti a Balac gli disse: “Eccomi venuto da te. Ma ora, potrei io dire la minima cosa? Ciò che il Signore mi porrà in bocca quello solo io dirò”.
Ed egli terrà fede a quanto il Signore gli aveva detto. Per tre volte Balac tenterà di fargli pronunciare la maledizione per il popolo d’Israele e per tre volte la bocca di Bil’am pronuncerà invece la benedizione del popolo del Signore.
“Ma tovù ohalécha Yaakòv, mishkenotécha Israél! Come sono belle le tue tende, Yaakòv, le tue residenze, Israel”. La benedizione di Bil’am viene recitata ogni volta che si entra al bet hakenésset in ricordo della distinzione operata dal Signore per il popolo d’Israele tra tutti i popoli della terra.
Balac, sconcertato ed irritato per il fallimento delle aspettative che egli aveva riposto nella venuta di Bil’am, scaccia il mago dalle proprie terre e questi, andandosene, pronuncia la sua ultima profezia a Balac. Verrà un astro da Giacobbe che sottometterà Moav, Edom e Se’ir. Parla quindi della dominazione dell’Assiria, che renderà dura la vita dei popoli sottoposti.

La narrazione ci dice anche di un consiglio che Bil’am avrebbe dato a Balac senza però precisare di che si tratti. I Rabbini spiegano che si tratta di un consiglio segreto col quale Bil’am persuase Balac di corrompere Israele mandando le donne a sedurlo.
Infatti, frutto o meno che fosse del consiglio di Bil’am, il popolo cominciò a fornicare con le figlie di Moav, ed a celebrare ed adorare i loro idoli. Il Signore ordinò allora a Mosè che fossero impiccati pubblicamente tutti i capi del popolo. Mentre venivano giustiziati coloro che avevano seguito il Ba’al di Pe’or, uno dei figli d’Israele presentò una Midianita ai suoi fratelli ed agli occhi di Mosè e di tutta l’Assemblea.
Pinechas, figlio di El’azar, figlio del sacerdote Aron, si alzò e prese una lancia e trafisse d’un colpo insieme l’uomo e la Midianita.
Con questo cessò la strage dei figli d’Israele, che causò ventiquattromila morti.

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