domenica 24 luglio 2011

Mas'è

(Num.33-36)
Siamo arrivati al termine del libro dei Numeri ed il capitolo 33 elenca tutte le tappe dei viaggi e delle soste del popolo ebraico da quando esso partì da Ra’meses, fino alle soglie della terra di Canaan. E’ per ordine del Signore che Mosè ha messo per iscritto l’elenco delle tappe di un itinerario, che per essere percorso ha richiesto quarant’anni di tempo: la vita di un’intera generazione.
Ci si può chiedere a cosa serva il lungo elenco di nomi delle località che hanno costituito le tappe, località di arrivo e di partenza del lungo viaggio. Sono paletti, sono le pietre miliari, che consentono di mantenere la concretezza del viaggio, che associano il racconto alla geografia del territorio, che faranno percepire, anche in futuro, quando i ricordi tenderanno a sfumare, che il viaggio non è stato un sogno, ma un’avvenimento reale, che le località toccate sono state località reali, che semmai capitasse di rivederle potranno richiamare alla mente l’epopea vissuta con una connotazione storica e non di leggenda.
Il capitolo 33 si conclude con le parole che il Signore disse a Mosè: “Quando avrete oltrepassato il Giordano e sarete entrati nella terra di Canaan, scaccerete dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro pietre effigiate, tutte le loro immagini di getto e tutti i loro luoghi consacrati. Dovrete scacciare gli abitanti di quella terra, e abitarla voi, perché a voi ho destinato quel paese qual possesso. Spartirete la terra a sorte fra le vostre famiglie. Alle famiglie più numerose dovrete assegnare un possesso maggiore, a quelle meno numerose darete un retaggio minore. Dove gli sarà venuta la sorte, ognuno avrà il possesso presso la propria tribù paterna. Se non avrete scacciato dinanzi a voi gli abitanti del paese, allora quelli che ne lascerete, saranno come spine nei vostri occhi e come pungoli nei vostri fianchi e vi angustieranno nel paese dove abitate. Ciò che io pensavo di fare a loro, farò a voi”.
Queste parole innanzi tutto ci dicono che la terra di Canaan è proprietà del Signore e che il suo possesso è assegnato al popolo d’Israele affinché la amministri, traendone sì il proprio sostentamento, ma, nel contempo, avendo cura, direi amore di essa, in quanto affidata dal Signore, per il mantenimento di quelle doti naturali di fertilità, irrigazione e bellezza possedute al momento dell’affidamento, doti che non dovranno essere depauperate, ma semmai si dovrà cercare di migliorare ancora.
Ma soprattutto queste parole ci dicono che il possesso è affidato in esclusiva al popolo d’Israele e che questo possesso dovrà realizzarsi scacciando tutti gli abitanti del paese, tenendo bene a mente che coloro di questi abitanti che dovessero ancora restare costituirebbero una continua insidia e turbativa all’esclusivo possesso del territorio.
Queste parole riferite ad avvenimenti che si collocano agli albori della storia d’Israele, trovano tuttavia una potente eco nell’attualità, dove il conflitto, ormai perdurante da sessant’anni, tra il moderno Stato d’Israele e le popolazioni arabe circostanti ha connotati politici, religiosi e territoriali.

Al capitolo 34 il Signore descrive i confini della terra di Canaan assegnata, dettagliandone le località lungo tutto il suo perimetro. Mosè allora comandò ai figli d’Israele: “Questo è il paese che darete in retaggio a sorte, che il Signore ha comandato di dare alle nove tribù e mezzo. Poiché la tribù dei figli di Ruben e le sue case paterne, la tribù dei figli di Gad con le case paterne, e metà della tribù di Manasse hanno preso il loro retaggio. Queste due tribù hanno preso il loro retaggio sulla riva orientale del Giordano di Gerico”.
Si chiude il capitolo 34 con l’indicazione, che il Signore fornisce a Mosè, dei nomi degli uomini che provvederanno all’assegnazione dei terreni. Gli incaricati furono: il sacerdote El’azar; Giosuè già designato a condurre la conquista della terra di Canaan; un capo per ogni tribù, ad esclusione delle due tribù di Ruben e Gad che avevano già avuto l’assegnazione dei terreni ad est del Giordano.

Il capitolo 35 tratta delle città da assegnare ai Leviti. Siccome i Leviti non dovevano avere alcuna parte di territorio insieme alle altre tribù, ogni tribù doveva assegnare a loro delle città per abitarvi e dei recinti per pascolo e per i loro viveri. Le città da dare ai Leviti erano in tutto quarantotto con i relativi recinti e ciascuna tribù avrebbe partecipato a questa assegnazione in misura proporzionale alla quantità dei terreni a lei assegnati.
Sei delle quarantotto città sarebbero state “città di rifugio”, città cioè dove chi avesse ucciso una persona per errore avrebbe potuto trovare rifugio, sottraendosi alla vendetta dei parenti dell’ucciso.
Lo stesso capitolo esprime che, in ogni caso, l’omicida sarebbe stato sottoposto a giudizio ed indica le regole generali che potevano condurre ad esprimere un verdetto riguardo alla premeditazione o alla involontarietà dell’uccisione.
L’uccisione premeditata, o ad essa assimilabile, conduceva alla morte dell’uccisore, mentre l’omicidio involontario prevedeva la sottrazione dell’uccisore alla vendetta dei parenti dell’ucciso ed il rilascio dell’uccisore, dopo l’emissione del giudizio di omicidio involontario, in una città di rifugio, ove egli avrebbe dovuto rimanere fino alla morte del Sommo Sacerdote, dopodiché sarebbe tornato libero.

Il capitolo 36, infine, torna ad occuparsi del caso delle figlie di Tselofchad, che già avevano ottenuto di essere censite ai fini dell’assegnazione delle terre. Qui viene trattato un altro aspetto riguardante le limitazioni da porre in essere, nel caso in cui le ragazze intendessero sposare uomini appartenenti ad altre tribù, cosa che avrebbe comportato come conseguenza che terreni assegnati ad una tribù potessero in questo modo transitare nella disponibilità di un’altra. Venne deciso che le ragazze avrebbero potuto sposare solamente uomini della loro stessa tribù, e così avvenne.

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