martedì 12 luglio 2011

Pinchas

(Num.25,10-30,1)
Pinchas con atto violento e risoluto uccise Zimrì e la sua amante midianita, e l’impatto di questo gesto sul popolo fu talmente forte che venne a ristabilirsi la fedeltà del popolo al patto di alleanza con il Signore. L’ira del Signore, come abbiamo visto anche alla fine della precedente parashà, si placò e cessò la pestilenza inviata per punire il popolo d’Israele.
Pinchas, sacerdote figlio di El’azar figlio di Aron, per lo zelo dimostrato in questa circostanza ricevette dal Signore, per sé e per i suoi discendenti, la linea di supremo sacerdozio.
Pinchas è una figura severa, che con il suo gesto interrompe una prassi alla quale eravamo in un certo qual modo abituati. Durante il lungo viaggio verso la terra promessa molte furono le sommosse e le ribellioni del popolo d’Israele alle disposizioni impartite dal Signore. Ogni volta la punizione venne inflitta direttamente dal Signore ed ogni volta Mosè ebbe ad intercedere perché il popolo non fosse annientato e gli venisse concessa ancora una possibilità. Anche questa volta il popolo si disunì e numerosi furono gli atti di fornicazione dei figli d’Israele con donne moabite e midianite, molti si allontanarono dal culto del Signore per adorare il Baal Peor. Il Signore inviò una pestilenza che mietette ventiquattromila vittime e si placò questa volta non per l’intercessione di Mosè, ma per l’azione con la quale Pinchas, sacerdote di severi costumi, pose fine allo scandalo uccidendo la coppia di amanti.
L’atto di Pinchas può apparire a noi, persone che apparteniamo ad una società decadente, avvezza ad unioni, che rapidamente si formano ed ancora più rapidamente si disfano, eccessivo, sproporzionato, addirittura condannabile. Potremmo pensare che male mai avessero commesso i due amanti, che si presume fossero giovani e di bell’aspetto, se non quello di seguire la voce del cuore, che è quello che l’attuale senso comune dell’etica corrente ritiene si debba fare in barba a qualsiasi costrizione e imposizione.
La risposta che ha valore per il popolo d’Israele ed in base alla quale Pinchas ha agito la troviamo nella terza parte dello “Shemà”:
E parlò il Signore a Mosè dicendo: parla ai figli d’Israele, e dirai loro di fare, per loro e per tutte le loro generazioni Tzitzìt sulle ali estreme dei loro vestiti, e porranno sulla Tzitzìt all’estremità un filo azzurro. E sarà per voi come Tzitzìt, e guardando ricorderete tutte le mitzvòt del Signore, e le osserverete. E non vi perderete dietro il vostro cuore e dietro i vostri occhi, poiché vi prostituireste seguendoli. Affinché ricordiate ed osserviate tutte le mie mitzvòt e vi distinguiate per il vostro Signore. Io sono il vostro Signore, che vi ha tratti dalla terra d’Egitto per essere il vostro Signore. Io sono il vostro Signore”. (Num.15,37-41)
L’amore per il Signore e l’osservanza delle mitzvòt guidano quindi la vita dell’ebreo, dalla quale deve essere rimosso ogni altro interesse collidente ed in particolare il frutto delle passioni del cuore.
Ciò detto appare chiaro che l’atto compiuto da Pinchas fu una punizione impartita per una grave infrazione della Legge. Potrebbe ancora essere incolpato Pinchas di eccesso di zelo, nel senso che si sarebbe arrogato il diritto di infliggere la punizione, prerogativa questa solitamente esercitata dal Signore, direttamente o per Sua disposizione. Ma per questo aspetto il Signore non manifestò doglianza, anzi vi fu manifestazione di apprezzamento, tant’è che Pinchas e la sua discendenza ricevettero eterna gratificazione per l’atto da lui compiuto.
Il capitolo 26 tratta del censimento di tutti i maschi di età da vent’anni in su, idonei per il servizio militare. Questo censimento riguarda solamente le nuove generazioni, giacché, come già sappiamo, nessuno di coloro che uscirono dall’Egitto, Mosè compreso, potrà entrare nella terra promessa. Il censimento ha lo scopo di definire la consistenza numerica di ciascuna delle dodici tribù, consistenza in base alla quale verrà stabilità l’entità delle terre da assegnare.
Il censimento, oltre che numerico, è anche, a ben vedere, un censimento onomastico e molti dei nomi citati in questo capitolo trovano corrispondenza nell’onomastica ebraica contemporanea.
Al capitolo 27 è l’episodio delle figlie di Tselofchad: Machlà, No’à, Choglà, Milchà, Tirtsà.
Tselofchad si ritiene fosse il vecchio ebreo colto a raccogliere legna di sabato e quindi messo a morte. Le ragazze presentatesi a Mosè fecero presente che, poiché nella loro famiglia non c’erano componenti maschi, questa non sarebbe risultata nel censimento e loro non avrebbero avuto nessun terreno al momento dell’assegnazione.
A questo punto il Signore accolse la richiesta delle ragazze disponendo che: “Quando un uomo muore e non ha figlio, voi passerete il suo retaggio alla sua figlia. E se non ha figlia, darete la sua eredità ai suoi fratelli. Se no ha fratelli, passerete l’eredità ai fratelli del padre. E se il padre non aveva fratelli, darete la sua eredità al parente carnale più prossimo della sua famiglia, e questi la possederà”.
Dopo di ciò il Signore disse a Mosè: “Sali su questo monte ‘Avarim e guarda la terra ch’Io ho dato ai figli d’Israele. E dopo averla veduta verrai raccolto alla tua gente anche tu, come è stato raccolto Aron tuo fratello. Poiché vi siete opposti al mio comando presso le acque della ribellione di Cadesh, nel deserto di Tsin, quando l’assemblea si ribellò, anziché santificarmi con l’acqua ai loro occhi. Questa è l’acqua di ribellione di Cadesh, nel deserto di Tsin”.
Mosè, che tante volte intercesse presso il Signore per placarne l’ira contro il Suo popolo, in questa occasione non chiese indulgenza per sé e dev’essere stata veramente dura per lui arrivare a vedere dall’alto la terra promessa e sapere di non potervi entrare. Mosè non chiese per sé perché era consapevole della gloria del ruolo rivestito per aver condotto il suo popolo per tutto quel viaggio, durante il quale il popolo assunse la consapevolezza della propria identità, abbandonando la terra di schiavitù per ricevere la legge del Signore e superare gli ostacoli ed i contrasti frapposti al raggiungimento della meta.
Mosè non chiese per sé ma, ancora una volta, chiese per il popolo, chiese che venisse designata la sua nuova guida: “Destini il Signore, Dio degli spiriti di ogni vivente, un uomo della congrega, il quale esca davanti a loro ed entri davanti a loro, li faccia uscire ed entrare affinché la congrega del Signore non sia come un gregge che non ha pastore”.
Il Signore designò Giosuè e impartì le istruzioni per la sua presentazione e consacrazione. A Giosuè, uomo giovane e forte, animato da spirito battagliero e risoluto sarebbe spettato il compito della conquista della terra promessa.
A questo punto, siamo al capitolo 28, il Signore parlò a Mosè per istruirlo sui sacrifici da presentare al Tempio quotidianamente, su quelli da presentare il Sabato ed in tutte le altre feste dell’anno ebraico. Prosegue la descrizione dei sacrifici anche al capitolo 29, in un crescendo di vittime immolate, la cui consistenza raggiunge negli otto giorni di Succòth quella di un vero e proprio esercito fra tori, montoni ed agnelli.
Tutti questi sacrifici di animali ci indurrebbero a connotarli come una manifestazione di barbarie, difficilmente giustificabile ai nostri occhi, anche per la loro entità, se visti esclusivamente come offerte al Signore. Dobbiamo però ricordarci che queste offerte avevano anche la funzione di provvedere al sostentamento dei Sacerdoti e dei Leviti addetti al funzionamento del Santuario, quindi di un elevato numero di persone e che a tale numero le offerte erano di fatto commisurate.
Questa considerazione ci rende più facilmente comprensibile la ratio di utilità di questi sacrifici così dettagliatamente chiesti e descritti dal Signore.

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