martedì 25 ottobre 2011

Nòach

(Gen.6,9-11,32)

Questa parashà contiene due episodi per così dire “meravigliosi” della narrazione biblica: il diluvio universale e la torre di Babele.

La storia del diluvio universale appartiene anche a culture diverse dall’ebraica e molti studiosi sono inclini ad ipotizzare che effettivamente possa essere avvenuto in tempi remoti un cataclisma naturale di portata straordinaria e tale da aver severamente minacciato l’esistenza umana.
Anche al giorno d’oggi si verificano purtroppo calamità naturali con inondazioni, piogge torrenziali, maremoti, quelli che abbiamo imparato a chiamare tzunami, che evidenziano la fragilità e l’impotenza degli esseri viventi di fronte alla forza incontrastabile che le acque possono arrivare ad assumere.
Questa consapevolezza di impotenza può avere alimentato la diffusione ed il consolidamento del mito del diluvio universale.
Peraltro la narrazione biblica è una narrazione morale e quindi prospetta il diluvio come la catastrofe che viene scatenata per punire i mali del mondo. Dio infatti disse a Noè:

Ho decretato la fine di tutte le creature, perché per esse la terra è piena di violenza; ed Io le distruggerò con la terra stessa

E’ interessante evidenziare che non è solo per l’essere umano che si decreta la fine, ma per tutte le creature e più avanti si dirà:

Perì ogni creatura che si muoveva sulla terra; i volatili, gli animali domestici e selvatici, i rettili striscianti sulla terra; e tutte le persone

Tutti quindi accomunati dalla violenza della quale avevano riempito la terra. E la riprova che tutti siano colpevoli sta nel fatto che tutti saranno sostituiti perché nell’arca troveranno rifugio, non solo Noè ed i suoi familiari, ma anche gli esemplari animali di tutte le specie:

“… di animali selvatici e domestici, tutte le specie di rettili striscianti sulla terra, tutte le varie specie di volatili, tutti gli uccelli, tutti gli animali forniti di ali;”

Non ci sono i pesci nell’arca e quindi i pesci esistenti al momento del diluvio sembrerebbero proprio destinati a sopravvivere.

Il diluvio, questo gigantesco mikveh purifica tutto e da esso emergono i sopravvissuti mondati da colpe per ricominciare una nuova vita.

L’arcobaleno, qeshet, creato dal Signore, come un ponte scintillante di luce tra Lui e la terra è il segno tangibile del patto che Egli ha stretto con la terra:

“Pongo nelle nuvole il mio arco che sarà il segno del patto tra me e le terra. Quando farò addensare le nubi sopra la terra, si vedrà l’arcobaleno nelle nubi; ed Io ricorderò il mio patto tra Me, voi ed ogni essere vivente, ogni creatura, né più le acque produrranno un diluvio per distruggere tutte le creature. L’arcobaleno sarà nelle nuvole, ed Io lo vedrò per ricordare il patto perpetuo esistente tra Dio e tutti gli esseri viventi, fra tutte le creature esistenti sulla terra.”

Dio disse a Noè:

“Questo è il segno del patto che fermo fra Me e tutte le creature esistenti sulla terra.”

Per quello che riguarda la torre di Babele, al capitolo 10 si dice della discendenza di Noè ed in particolare dei figli di Jèfeth:

“… si diramarono nelle loro terre le nazioni d’oltremare aventi ciascuna la propria lingua, diverse per famiglie nelle varie nazioni.”

E più avanti:

“Questi sono i figli di Cham per famiglie e linguaggi, nei loro paesi, nelle rispettive nazioni.”

E ancora:

“Questi sono i figli di Scem per famiglie e linguaggi, nei loro paesi, nelle rispettive nazioni.”

Esisteva quindi, secondo il capitolo 10, una pluralità di linguaggi ma questo viene contraddetto al successivo capitolo 11 dover si dice:

“In tutta la terra si parlava una lingua unica e si usavano le stesse espressioni.”

Gli esperti bibliofili dicono che la contraddizione va intesa come apparente, che la successione dei capitoli è stata fissata dopo molto tempo da quando furono scritti e che il loro ordine di successione può interpretarsi in senso inverso.
Oppure può intendersi che la narrazione della torre di Babele ci spiega nella sua sequenza come si sia arrivati al pluralismo linguistico.

Gli uomini, arrivati nella pianura di Scin’ar, si dicono:

“Orsù fabbrichiamoci dei mattoni e facciamoli cuocere.”

E dopo:

“Orsù fabbrichiamoci una città e una torre la cui cima arrivi fino al cielo; ci faremo un nome e non accadrà che ci sparpagliamo sulla faccia di tutta la terra.”

A questo punto il Signore scese a vedere cosa stavano facendo e disse:

“Sono un popolo solo, parlano tutti la stesa lingua e hanno cominciato a fare questo! Niente impedirà loro di fare tutto ciò che proporranno. Orsù scendiamo e confondiamo la loro lingua, si ché uno non comprenda quel che dice l’altro.”

Il Signore li disperse su tutta la faccia della terra ed essi cessarono di fabbricare la città, alla quale fu dato il nome di Bavel (Babele), perché la il Signore confuse la lingua di tutta la terra.

Ci chiediamo quale sia stata la colpa dei costruttori di Babele, sempre che la molteplicità delle lingue e la dispersione siano da intendersi come provvedimenti punitivi.
Una corrente di pensiero infatti non attribuisce a questi due elementi i connotati di punizione impartita dal Signore ai costruttori, bensì quelli di una scelta operata dal Signore per conseguire la molteplicità della popolazione del mondo.
Volendo invece cogliere nelle parole del Signore la volontà punitiva è necessario individuare la colpa.
La colpa non è fare i mattoni, la colpa non è neanche costruire la città, anche se qui si comincia a vedere un’intenzione di accorpamento che in un certo senso contravviene al dettato del Signore, che invece comanda l’espansione:

“Prolificate e moltiplicatevi ed empite la terra.”

Neanche la costruzione della torre è di per sé la colpa, giacché la costruzione della torre potrebbe mirare a conseguire un avvicinamento al Signore, cosa di per sé naturale ed anzi lodevole da parte di una creatura nei confronti del suo creatore.

Se invece la torre ha lo scopo di dominare dall’alto la terra e chi è rimasto in basso, alimentando la propria autorità e la propria potenza sicché essi possano dire:

“ … ci faremo un nome e non accadrà che ci sparpaglino sulla faccia di tutta la terra. “

In questo caso la torre rivela l’ambizione non già di avvicinarsi al Signore, ma di competere con Lui e la costruzione diventa così la colpa dei suoi costruttori, idolatria ancora una volta, perché espressione del culto non verso il Signore, ma verso la potenza umana.
Per questo motivo i costruttori sono stati confusi e dispersi.

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