(De.1,1-3,22)
Alle soglie della terra promessa e secondo quanto il Signore gli aveva comandato, Mosè parlò al popolo, riepilogando le vicende che avevano vissute insieme lungo tutto il percorso dell’esodo, a partire dall’uscita dall’Egitto.
Rammentò in particolare la decisione della nomina dei giudici e quanto ad essi egli ebbe allora a raccomandare:
“Ascoltate le questioni che sorgeranno fra i vostri fratelli e giudicate con giustizia fra un individuo ed il proprio fratello o uno straniero. Non abbiate riguardi nel giudicare, porgete ascolto al piccolo come al grande, non abbiate paura degli uomini poiché la giustizia appartiene a Dio. La cosa che vi sembrerà al di sopra delle vostre possibilità la sottoporrete a me ed io la ascolterò.”
Parole sono queste. Parole che oggi lette d’un fiato sembrano così ovvie da non meritare un attimo di riflessione. Ma questo nella nostra epoca non significa che stiamo vivendo in un mondo dove regna sovrana la giustizia, significa invece che siamo ormai talmente avvezzi ad esercitare, o a convivere con l'ingiustizia, da arrivare ad innescare un meccanismo automatico di salvaguardia, che nega che nel nostro agire si sia mai verificata alcuna ingiustizia. Eppure ingiustizia è la nostra supponenza, ingiustizia è il privilegio del nostro egoismo, ingiustizia è il non ascolto dell’altro, ingiustizia è il disprezzo dell’altro, ingiustizia è il non amore.
Ingiusti perché aridi, ciechi, sordi. Oppure ingiusti perché intimoriti, plagiati, perché abbiamo rinunciato ad essere padroni del nostro pensiero e delle nostre azioni. Perché abbiamo perduto il senso della nostra responsabilità, quella responsabilità, che ha fatto di noi degli esseri umani e non delle belve.
Potremmo essere ingiusti anche per simulazione, per recita, per impersonare una figura che stimiamo forte a confronto con la debolezza e l’insignificanza che riteniamo sia la nostra reale connotazione.
A ben vedere la radice dell’ingiustizia è sempre nel peccato unico, fondamentale, matrice di tutti i peccati: l’idolatria. Perché abbiamo rimosso il Signore dal suo piedistallo ed al suo posto abbiamo innalzato egoismo e indifferenza, passioni e disprezzo, simulazione ed irresponsabilità. La giustizia, disse Mosè, appartiene al Signore ed a Lui renderemo conto, non agli uomini.
Proseguendo nella narrazione Mosè ricordò anche la mancanza di fiducia che il popolo ebbe a manifestare, al ritorno degli esploratori ed ascoltando il loro resoconto sulla terra che il Signore aveva promessa al Suo popolo. Questa perduta fiducia fu causa della punizione divina, che portò al protrarsi della peregrinazione nel deserto per altri quarant’anni ed all’esclusione di un’intera generazione dall’accesso a quella terra stillante latte e miele, così a lungo cercata e la cui immagine parve allora svanire dissolvendosi come l’illusione di un miraggio. Fu mancanza di fiducia, fu scoramento, fu fiacchezza. Come poteva un popolo così svuotato e demotivato conquistare un paese, senza credere né nelle proprie forze, né nel sostegno che il Signore avrebbe dato a queste forze? Che la mancanza di fiducia nel Signore non avrebbe consentito la conquista della terra promessa appare evidente quando si consideri che la storia del genere umano, non solo quella del popolo ebraico, è costellata di guerre sante, dove la presenza di Dio al proprio fianco è d’obbligo e genera il fanatismo che centuplica le forze e che conduce alla vittoria. Perfino i regimi che hanno perseguito la morte e non la vita, la distruzione e non l’edificazione, anche questi regimi hanno sostenuto di avere Dio al proprio fianco: i soldati delle armate naziste recavano sulle fibbie dei loro cinturoni la scritta “Gott mit uns”, Dio è con noi.
Questo popolo invece, il popolo del Signore, aveva perso la fede, la fiducia nel proprio Dio. E ad essi peraltro il Signore non aveva lesinato di mostrare prodigi, a partire dall’essere scampati in Egitto dalla strage dei primogeniti, che dimostrassero loro l’alleanza che Egli aveva inteso di stabilire.
Rammentò quindi Mosè la fase finale di avvicinamento alla terra promessa e gli attraversamenti dei territori dove erano insediati altri popoli. Attraversamenti richiesti generalmente con parole di pace, come furono quelle rivolte al re di Cheshbon:
“Lasciami passare attraverso la tua terra, soltanto sulla strada io camminerò, non devierò né a destra né a sinistra; tu mi venderai per denaro il cibo ed io mangerò; acqua mi darai per denaro ed io berrò; soltanto lasciami passare a piedi, come fecero per me i figli di Esaù che abitano in Se’ir, ed i Moabiti che stanno in ‘Ar, fino a che io passi il Giordano, dirigendomi verso la terra che il Signore Dio nostro dà a noi.”
Era un atteggiamento estremamente rispettoso della proprietà e della sovranità altrui, che trovava le sue radici nei comportamenti dei popoli di pastori, come fino a quel momento era il popolo ebraico, nei riguardi dei territori dei popoli agricoltori, nei quali è d’obbligo non produrre danni e quindi camminare esclusivamente sulle strade, senza esbordare verso i campi coltivati.
Anche questo è un insegnamento purtroppo va perdendosi nel nostro paese, dove ogni giorno dobbiamo constatare che la cosa comune è un concetto generalmente non percepito e la cosa dell’altro non è rispettata e, se non vigilata, è esposta al danneggiamento.
Infine la narrazione si riferisce all’assegnazione alle tribù di Ruben, Gad e parte di quella di Manasse dei territori ad est del Giordano ed a ciò che Mosè comandò loro:
“Il Signore vostro Dio vi ha dato in possesso questa terra, voi passerete armati all’avanguardia dei vostri fratelli figli d’Israele, tutti uomini valorosi. Le vostre donne ed i vostri figli ed il vostro bestiame soltanto (io so che avete gran numero di bestiame) rimarranno nelle città che io ho assegnato a voi, fino a che il Signore vostro Dio concederà quiete ai vostri fratelli come a voi ed anche essi possederanno il territorio che il Signore vostro Dio è per dare a loro al di là del Giordano. Allora tornerete ognuno alla proprietà che io vi ho assegnato.”
Il comportamento solidale di queste due tribù e mezza verso le altre tribù del popolo d’Israele sostanzia la prova che il popolo ormai costituisce una nazione e che la solidarietà nazionale ha assorbito e superato gli interessi delle singole tribù. Questo popolo litigioso e contestatore dimostra che nei momenti nodali della sua storia sa ritrovare la sua unità e la coscienza di costituire una nazione.
Haftarà di Devarim
(Is.1,1-1,27)
Nella settimana che segue la lettura della parashà di Devarim cade il 9 di Av, Tish’àh be-Av,che è giorno di lutto e di digiuno per Israele. Infatti la tradizione vuole che in questo stesso giorno siano avvenute sia la distruzione del primo Tempio nel 586 a.e.v. ad opera dei Babilonesi, sia la distruzione del secondo Tempio nel 70 e.v. ad opera dei Romani. Per questo motivo viene letta una Haftarà che contiene rimproveri e minacce.
“La vostra terra è una desolazione, le vostre città sono incendiate, quanto al vostro paese, stranieri ne godono il prodotto sotto i vostri occhi: esso è una desolazione, come luogo sconvolto da stranieri.”
“Che me ne faccio Io dei vostri molti sacrifici? Dice il Signore. Sono sazio di olocausti di montoni e di adipe di animali ingrassati; non desidero oltre sangue di tori, di agnelli e di capri.”
“Non continuate a recarmi offerte vane, incenso che Mi è in abbominio, a indire riunioni festive nel capomese e nel sabato.”
“Su, venite a Me e discutiamo, dice il Signore. Anche se i vostri peccati sono come stoffa tinta di scarlatto, potranno divenire bianchi come la neve, anche se sono rossi come porpora, potranno divenire come lana. Se acconsentirete ed ascolterete, godrete dei buoni prodotti del paese. Ma se ricuserete e disubbidirete, sarete divorati dalla spada. Sì, perché è la bocca del Signore che ha parlato.”
“Come mai si è trasformata in una prostituta la città prima onesta? Era piena di giustizia, il diritto vi aveva stabile dimora, ed ora omicidi.”
“Ricostituirò i tuoi giudici come prima, i tuoi consiglieri come da principio, e dopo di ciò tu sarai chiamata città della giustizia, metropoli onesta. Sion sarà redenta con il diritto, e i suoi abitanti con la giustizia.”
Nessun commento:
Posta un commento