giovedì 18 luglio 2013

Vaethchannan

(Deut.3,22-7,11)

Mosè prosegue la sua narrazione al popolo rammentando quando egli, alle soglie della terra promessa, chiese al Signore di consentirgli di oltrepassare il Giordano per vedere la buona terra che era al di là, i bei monti ed il Libano. Ma il Signore non dette il Suo consenso e si adirò, “per colpa vostra” disse Mosè rivolto al popolo, ma sapeva invece che la causa del diniego era da attribuire alla propria disubbidienza, verificatasi quando egli non eseguì il comandamento del Signore, che gli aveva detto di far sgorgare l’acqua parlando alla roccia e non battendola con il bastone, come invece egli fece. Se avesse parlato alla roccia, avrebbe potuto dire che il prodigio che egli comandava era volontà del Signore e non opera sua e che il Signore, per suo tramite, si serviva della parola, così come era avvenuto per la creazione, quando ogni giorno Egli aveva fatto precedere la parola all’atto creativo. Dunque il Signore confermò a Mosè che egli non avrebbe passato il Giordano e che invece alla testa del popolo nella conquista della terra promessa sarebbe stato Giosuè.

Mosè esortò gli Israeliti a rispettare gli statuti e le leggi che egli insegnava, affinché essi potessero pervenire a possedere il paese che il Signore intendeva dar loro: “Non aggiungete niente a quanto io vi comando e non togliete nulla osservando i precetti del Signore vostro Dio, che io vi comando”.

Rammentò Mosè ad Israele il giorno in cui il popolo si presentò al Signore, davanti al monte Chorev: “Egli vi espose il Suo patto che vi comandò di eseguire: dieci comandamenti che Egli scrisse su due tavole di pietra. In quel medesimo tempo il Signore mi comandò di insegnarvi statuti e leggi perché li mettiate in pratica nel paese che voi state per cominciare a conquistare”.

Poiché al monte Chorev, quando fu udita la parola del Signore, non fu vista alcuna immagine, per questo motivo il popolo non avrebbe dovuto fare alcuna raffigurazione, né di esseri umani, né di animali di qualsiasi tipo, né tanto meno avrebbe adorato il sole, la luna e le stelle della volta celeste.

“Io chiamo oggi a testimoni il cielo e la terra che se quando genererai dei figli e avrai dei nipoti e sarete divenuti vecchi nel paese e commetterete delle colpe facendovi immagini riproducenti qualsiasi cosa e farete ciò che è male agli occhi del Signore Iddio facendolo adirare, in breve sparirete da quella terra, per possedere la quale voi passaste il Giordano; non prolungherete i vostri giorni su di essa perché sarete distrutti. Il Signore vi disperderà fra i popoli e rimarrete una minoranza presso le nazioni verso le quali il Signore vi avrà condotto. Là voi servirete degli dèi opera delle mani dell’uomo, di legno e di pietra, che non vedono e non odono, non mangiano e non odorano. Di là voi ricercherete il Signore tuo Dio e tu Lo ritroverai quando Lo ricercherai con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima. Quando in avvenire ti troverai angustiato essendoti capitate tutte queste vicende, tornerai al Signore tuo Dio ed ascolterai la Sua voce. Siccome il Signore tuo Dio è un Dio pietoso, non ti abbandonerà, non ti distruggerà e non dimenticherà il patto che giurò ai tuoi padri”.

Qui si dice che se Israele farà adirare il Signore, per aver smarrito la fiducia in Lui, allora Israele sarà distrutto. Ma la distruzione che il Signore infliggerà al Suo popolo per punirlo dei suoi peccati non sarà la cancellazione dell’esistenza del popolo, non sarà la morte di tutto il Suo popolo, sarà invece la dispersione, la schiavitù, l’umiliazione, che durerà fintantoché Israele non si renda conto dei propri peccati e di quanto abbia perduto con l’allontanamento dal Signore. Allora Israele potrà ancora ritrovare il Signore, se lo cercherà con tutta l’anima e con tutto il cuore. Ed il Signore sarà pietoso verso Israele e non dimenticherà il patto giurato ai suoi padri.

Il popolo d’Israele durante i quarant’anni del suo peregrinare dalla terra d’Egitto fino alla terra promessa ha veduto il verificarsi di numerosi episodi di eresia, ribellione e sfiducia nella parola del Signore, ed ha visto morire i colpevoli numerosi, tremila, trentamila, ventiquattromila, per l’ira del Signore. Ma l’intero popolo no, l’intero popolo non sarà sterminato perché il Signore terrà fede alla parola data ai Patriarchi.

Mosè disse del patto stabilito dal Signore sul monte Chorev e ripetè al popolo le parole pronunciate dal Signore, che esprimono il Decalogo, le dieci Parole, i dieci Comandamenti:

1) Io sono il Signore tuo Dio, non avrai altri dèi.
2) Non fare e non venerare alcuna immagine.
3) Non pronunciare il nome del Signore tuo Dio invano.
4) Santifica il giorno del Sabato.
5) Onora tuo padre e tua madre.
6) Non uccidere.
7) Non commettere adulterio.
8) Non rubare.
9) Non fare falsa testimonianza.
10) Non desiderare né la moglie, né i beni di altri.


Già in Esodo era narrato che il Signore pronunciò sul monte Chorev le parole della Legge, i Comandamenti del Patto che intese stringere con i figli d'Israele. In quell’occasione questo, sinteticamente, fu l'elenco dei Comandamenti:

1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dèi al Mio cospetto.Non ti farai alcuna scultura né immagine.
3) Non pronunziare il nome del Signore Dio tuo invano.
4) Ricordati del giorno del Sabato per santificarlo.
5) Onora tuo padre e tua madre.
6) Non uccidere.
7) Non commettere adulterio.
8) Non rubare.
9) Non fare falsa testimonianza.
10) Non desiderare ciò che appartiene ad altri.


Notiamo in questo elenco alcune difformità rispetto a quello di Deuteronomio. Se ci soffermiamo sui primi due Comandamenti e confrontiamo le traduzioni dei due passi biblici secondo la Bibbia Ebraica a cura di Rav Dario Disegni, osserviamo una lieve differenza formale, che però può dar luogo a dubbi interpretativi.

Infatti in Esodo nel primo capoverso figurano unicamente le parole "Io sono il Signore Dio tuo" e nel secondo sono le parole "Non avrai altri dèi al mio cospetto. Non ti farai alcuna scultura né immagine".

In Deuteronomio invece fanno parte del primo capoverso sia le parole "Io sono il Signore tuo Dio", sia le parole "Non avrai altri dèi al mio cospetto", mentre al secondo capoverso sono le parole "Non ti farai alcuna scultura nè immagine".

Il testo ebraico non ci aiuta a questo proposito perché, non esistendo la forma del punto e a capo non ci sono capoversi, ed esso è quindi costituito da una semplice sequenza di frasi.

In sostanza il dubbio che si profila riguarda la scritturazione dei primi due comandamenti e precisamente se, invece di quella sopra riportata non debba invece intendersi la seguente:

1) Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altri dèi al mio cospetto.
2) Non ti farai alcuna scultura nè immagine.


Questa versione, adottata in altre fonti, conferisce rilievo autonomo alla prescrizione contraria a sculture ed immagini e costituisce la radice della concezione iconoclastica.

Potremmo però ragionare ritenendo che il divieto di fare sculture e immagini sia stato espresso non di per sé, ma nel fondato timore che queste possano divenire oggetto di culto e adorazione, come del resto avvenne nell’episodio del vitello d'oro. Possiamo inoltre tener presente il fatto che il solo comandamento di riconoscere il Signore come proprio Dio non esclude di per sè il riconoscimento di altri dèi e perciò è impartito il secondo comandamento, sicché avremmo:

1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dèi al mio cospetto. Non ti farai alcuna scultura né immagine.


Ora se il divieto di sculture e immagini è impartito allo scopo di evitare che possano divenire oggetto di culto e adorazione, ecco che questo divieto è assorbito dalla prima parte "Non avrai altri dèi al mio cospetto" e in definitiva la scritturazione sintetica dei primi due Comandamenti diviene:

1) Io sono il Signore Dio tuo.
2) Non avrai altri dèi al mio cospetto.


conforme quindi alla formulazione riportata in Esodo.

Un'altra considerazione ancora merita di essere fatta a proposito del settimo Comandamento, per il quale altre fonti propongono la dizione "Non commettere atti impuri", come riportato, ad esempio, nel Decalogo in uso per la catechesi cattolica e cioè:

Ascolta Israele! Io sono il Signore Dio tuo:
1) Non avrai altro Dio all'infuori di me.
2) Non nominare il nome di Dio invano.
3) Ricordati di santificare le feste.
4) Onora il padre e la madre.
5) Non uccidere.
6) Non commettere atti impuri.
7) Non rubare.
8) Non dire falsa testimonianza.
9) Non desiderare la donna d'altri.
10) Non desiderare la roba d'altri.


In questo Decalogo il Comandamento, che nell'elenco da settimo è diventato sesto, non risulta in nessuno dei due passi biblici e pare fornire una visione non coerente con la finalità sociale che si intravede nei Comandamenti dal quinto al decimo. Pertanto resterebbe confermatala la validità della dizione:

7) Non commettere adulterio.

E’ da segnalare infine l'atipicità del decimo Comandamento, conclusivo della sequenza dei cinque comandamenti negativi, che prescrivono cioè le cose da non fare, perché quello che viene richiesto di non commettere non è in questo caso un'azione ma un pensiero, un desiderio, forse un’ossessione che è causa di deviazione dall’adorazione del Signore per chi lo prova, ma che certamente finché rimane tale non produce danno ad altri.

10) Non desiderare ciò che appartiene ad altri.

Con questa dizione si intende comprendere sia la donna, sia i servi, sia i beni materiali che agli altri appartengono.

Questo Comandamento, che condanna il pensiero e non l’azione, appare perciò il più severo e c’è da chiedersi la ragione di questa particolarità. E' un Comandamento verso sé stessi e non verso gli altri e trova giustificazione nella scelta che deve compiersi mirata alla disciplina del controllo e della repressione del desiderio, che ci conduca a dare valore a ciò che abbiamo e non a ciò che vorremmo avere.

La terza parte dello Shemà (Nu.15,37-41) recita:

“E parlò Adonai a Moshè, dicendo: parla ai figli d’Israele, e dirai loro di fare, per loro e per tutte le loro generazioni Tzitziòt sulle ali estreme dei loro vestiti, e porranno sulla Tzitzìt all’estremità un filo azzurro. E sarà per voi come Tzitzìt, e guardando ricorderete tutte le mitzvòt del Signore, e le osserverete. E non vi perderete dietro il vostro cuore e dietro i vostri occhi, perché vi prostituireste seguendoli. Affinché ricordiate ed osserviate tutti le mie mitzvòt e di distinguiate per il vostro Signore. Io, Adonai vostro Signore, che vi ho tratti dalla terra d’Egitto per essere vostro Signore. Io, Adonai, vostro Signore.”

Ecco allora la chiave che ci fa comprendere la ragione di questa severità. Avere desideri è una normale condizione umana, ma perdersi dietro ad essi al punto di farne un’ossessione o di essere indotti a compiere azioni conseguenti che ledono diritti altrui, è deprecabile soprattutto perché, ciò facendo, eleggiamo a idolo l’oggetto dei nostri desideri e deviamo quindi dalla linea direttrice che il Signore ha tracciato per noi.

L’idolatria quindi si conferma ancora una volta come il peccato principale, quello al quale sono in sostanza riconducibili tutti gli altri. L’idolatria, che non è solamente l’adorazione di una stele o di una statua, così come non è solamente argomento di culto religioso. L’idolatria ci insidia tutti i giorni, tutte le volte che lasciamo prevalere il nostro egoismo, tutte le volte che ci mostriamo sordi alle parole dell’altro. Ecco perché è stato posto questo freno, che non vuol conseguire l’annullamento dei nostri desideri, perché questi fanno parte della nostra natura umana, ma la loro moderazione, il loro controllo, affinché non assumano il sopravvento sui princìpi secondo cui intendiamo regolare la nostra vita.

A questo punto Mosè proseguì esortando il popolo ad ascoltare ed osservare gli statuti ed i precetti allo scopo di poter vivere felicemente nella terra stillante latte e miele:

“Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze e saranno queste parole che io ti comando oggi sul tuo cuore, le ripeterai ai tuoi figli e ne parlerai con loro stando nella tua casa, camminando per la via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Le legherai per segno sul tuo braccio e saranno come frontali fra i tuoi occhi e le scriverai sugli stipiti delle tue case e delle porte della città.”

Sono queste le parole con le quali inizia la preghiera dello “Shemah”, che ogni ebreo recita almeno due volte al giorno e da queste parole traggono origine anche i “Tefillin”, che si legano al braccio e sulla fronte, e le “Mezuzoth” affisse sugli stipiti delle porte.

Disse infine Mosè al popolo che, quando sarebbero entrati nella terra promessa e l’avrebbero posseduta, sconfiggendo con l’aiuto del Signore le popolazioni ivi esistenti e ben più numerose ed agguerrite di loro, avrebbero dovuto distruggerle completamente, senza scendere a patti, senza consentire matrimoni misti. Gli altari, le immagini, le steli e i legni consacrati di quelle popolazioni avrebbero dovuto essere spezzati e bruciati nel fuoco.

La preoccupazione è sempre la stessa: che il popolo, ancora una volta, possa essere contaminato dall’idolatria praticata da quelle popolazioni con le quali si viene a contatto. Si parla di distruzione di questi popoli e poi sappiamo che di fatto ciò non avvenne completamente, si parla di vietare i matrimoni misti ed invece sappiamo che dalla cananea Tamar, unitasi a Giuda, discenderà la stirpe di David. Allora questa distruzione va intesa non come eliminazione indiscriminata, ma circoscritta invece a coloro che perseverano nella professione dell’idolatria e certamente non a chi si dichiara disposto ad abbandonarla per unirsi al Signore ed al suo popolo.



Haftarà di Vaetchanan
(Is.40,1-40,26)

Il sabato in cui si legge la parashà di Vaetchanan è sempre il primo sabato dopo il 9 di Av. Per questo motivo le Haftarot di questo sabato e dei sei sabati successivi non trattano argomenti riconducibili alle rispettive parashot, ma hanno invece contenuto consolatorio, e sono tratte tutte dalla seconda parte del libro di Isaia, nella quale è annunciato il risorgimento di Israele dopo l’esilio.

“Consolate, consolate il Mio popolo, dice il vostro D-o. Parlate al cuore di Gerusalemme e proclamatele che è compiuto il tempo del suo servizio, che è espiato il suo peccato perché essa ha ricevuto dalle mani di D-o il doppio del corrispondente a tutti i suoi peccati.”

Nessun commento:

Posta un commento