Se sarai il vero ed unico padrone dei tuoi pensieri, delle tue parole, delle tue azioni, allora potrai operare secondo giustizia.
martedì 2 luglio 2013
Masè
(Num.33,1-36,13)
Siamo arrivati al termine del libro dei Numeri ed il capitolo 33 elenca tutte le tappe del viaggio e le soste del popolo ebraico da quando esso partì da Ra’meses, fino alle soglie della terra di Canaan, dove adesso è giunto. E’ per ordine del Signore che Mosè ha messo per iscritto l’elenco delle tappe di un itinerario, che per essere percorso ha richiesto quarant’anni di tempo: la vita di un’intera generazione.
Ci si può chiedere a cosa serva il lungo elenco di nomi delle località che hanno costituito le tappe, località di arrivo e di partenza del lungo viaggio. Sono paletti, sono le pietre miliari, che consentono di mantenere la concretezza del viaggio, che associano il racconto alla geografia del territorio, che faranno percepire, anche in futuro, quando i ricordi tenderanno a sfumare, che il viaggio non è stato un sogno, non è stato solamente un itinerario di maturazione spirituale, ma un avvenimento reale, e prova ne sarà l’elenco delle località toccate, che sono state località reali, che, semmai capitasse di rivederle, potranno richiamare alla mente l’epopea vissuta con una connotazione storica e non di leggenda.
Il capitolo 33 si conclude con le parole che il Signore disse a Mosè:
“Quando avrete oltrepassato il Giordano e sarete entrati nella terra di Canaan, scaccerete dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro pietre effigiate, tutte le loro immagini di getto e tutti i loro luoghi consacrati. Dovrete scacciare gli abitanti di quella terra, e abitarla voi, perché a voi ho destinato quel paese qual possesso. Spartirete la terra a sorte fra le vostre famiglie. Alle famiglie più numerose dovrete assegnare un possesso maggiore, a quelle meno numerose darete un retaggio minore. Dove gli sarà venuta la sorte, ognuno avrà il possesso presso la propria tribù paterna. Se non avrete scacciato dinanzi a voi gli abitanti del paese, allora quelli che ne lascerete, saranno come spine nei vostri occhi e come pungoli nei vostri fianchi e vi angustieranno nel paese dove abitate. Ciò che io pensavo di fare a loro, farò a voi”.
La narrazione ci dice innanzi tutto che la terra di Canaan è proprietà del Signore e che al popolo d’Israele è assegnato il suo possesso affinché la amministri, ne tragga il proprio sostentamento, e ne abbia, nel contempo, cura, direi amore di essa, proprio perché affidata dal Signore, assicurando il mantenimento di quelle doti naturali di fertilità, irrigazione e bellezza possedute al momento dell’affidamento, doti che non dovranno essere depauperate, ma semmai arricchite e migliorate ancora. Ma soprattutto queste parole ci dicono che il possesso è affidato in esclusiva al popolo d’Israele e che questo possesso dovrà realizzarsi scacciando tutti gli abitanti che troveranno insediati nel paese, tenendo bene a mente che coloro di questi abitanti che dovessero ancora restare costituirebbero una continua insidia ed una turbativa dell’esclusività del possesso del territorio.
Ovviamente questa cacciata dei popoli preesistenti va interpretata "cum grano salis" alla luce della stessa narrazione biblica, dalla quale abbiamo già ricavato che l'insidia costituita dalle altre popolazioni non è certamente dovuta a motivi etnici o razziali, giacché abbiamo incontrato storie di donne straniere, come la moabita Ruth o la cananea Tamar, le quali sono state le progenitrici della stirpe di re David. L'insidia è sempre la stessa: l'idolatria! Se le popolazioni stanziali si convertono all'ebraismo cessa ogni motivo di ostilità nei loro confronti ed esse vengono accolte e godono dei medesimi diritti degli ebrei di nascita, se invece vivono a contatto con il popolo d'Israele e mantengono i loro culti idolatri, essi rappresentano un'insidia, una continua tentazione per il popolo d'Israele che potrebbe smarrire la strada della fiducia nel Signore. In questo caso questi popoli dovranno essere scacciati, affinché con essi non vi sia contatto.
Questi avvenimenti si collocano agli albori della storia d’Israele, ma trovano tuttavia una potente eco nell’attualità, dove il conflitto, ormai perdurante da sessant’anni, tra il moderno Stato d’Israele e le popolazioni arabe circostanti assume connotati politici, religiosi e territoriali che richiamano le circostanze della narrazione biblica.
Al capitolo 34 il Signore descrive i confini della terra di Canaan assegnata, dettagliandone le località lungo tutto il suo perimetro. Mosè allora comandò ai figli d’Israele:
“Questo è il paese che darete in retaggio a sorte, che il Signore ha comandato di dare alle nove tribù e mezzo. Poiché la tribù dei figli di Ruben e le sue case paterne, la tribù dei figli di Gad con le case paterne, e metà della tribù di Manasse hanno preso il loro retaggio. Queste due tribù hanno preso il loro retaggio sulla riva orientale del Giordano di Gerico.”
Si chiude il capitolo 34 con l’indicazione, che il Signore fornisce a Mosè, dei nomi degli uomini che provvederanno all’assegnazione dei terreni. Gli incaricati furono: il sacerdote El’azar; Giosuè già designato a condurre la conquista della terra di Canaan; un capo per ogni tribù, ad esclusione delle due tribù di Ruben e Gad che avevano già avuto l’assegnazione dei terreni ad est del Giordano.
Il capitolo 35 tratta delle città da assegnare ai Leviti. Infatti, poiché alla tribù di Levi non spettava l’assegnazione di un determinato territorio, ogni tribù avrebbe dovuto provvedere ad assegnare ai Leviti delle città per abitarvi e dei recinti per il pascolo e doveva provvedere per i loro viveri. Le città da dare ai Leviti erano in tutto quarantotto con i relativi recinti e ciascuna tribù avrebbe partecipato a questa assegnazione in misura proporzionale alla quantità dei terreni a lei assegnati. Sei delle quarantotto città sarebbero state “città di rifugio”, città cioè dove chi avesse ucciso una persona per errore avrebbe potuto trovare rifugio, sottraendosi alla vendetta dei parenti dell’ucciso. Lo stesso capitolo esprime che, in ogni caso, l’omicida sarebbe stato sottoposto a giudizio ed indica le regole generali che potevano condurre ad esprimere un verdetto a seconda delle diverse circostanze nelle quali era avvenuto l’omicidio, che potevano variare dall’estremo più grave rappresentato dalla premeditazione fino al caso opposto sostanziato dalla involontarietà. L’uccisione premeditata, o ad essa assimilabile, poteva condurre all'estrema pena di morte, mentre l’omicidio involontario prevedeva la sottrazione dell’uccisore alla vendetta dei parenti dell’ucciso ed il suo rilascio, dopo l’emissione del giudizio di omicidio involontario, in una città di rifugio, ove egli avrebbe dovuto rimanere fino alla morte del Sommo Sacerdote, dopodiché sarebbe tornato libero.
Il capitolo 36, infine, torna ad occuparsi delle figlie di Tselofchad, che già avevano ottenuto di essere censite ai fini dell’assegnazione delle terre. Qui viene trattato un altro aspetto riguardante le limitazioni da porre in essere, nel caso in cui le ragazze intendessero sposare uomini appartenenti ad altre tribù. Tenuto conto della necessità di evitare situazioni che avrebbero potuto condurre a variazioni delle consistenze territoriali fissate per le diverse tribù, venne deciso che le ragazze avrebbero potuto sposare solamente uomini della loro stessa tribù.
Haftarà di Masè
(secondo i riti spagnolo e tedesco)
“Ed ora che motivo hai di andare per la strada dell’Egitto per bere le acque del Nilo, che motivo hai di andare
per le strade dell’Assiria per bere le acque dell’Eufrate? La tua malvagità ti punirà e i tuoi atti di ribellione ti castigheranno e sappi e vedi che il tuo abbandonare il tuo D-o e il non avere tu timore di Lui vi sono causa di male e di amarezza.”
(Geremia, 2,4-4,2)
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