Il nove di Av è il giorno di maggior lutto del calendario ebraico. La tradizione colloca in questo giorno la distruzione del Primo e del Secondo Tempio. A questa data vengono collegate altre calamità che hanno colpito il popolo ebraico nella diaspora, compreso l’editto del 1492 di espulsione dalla Spagna (v. Arthur Green, Queste sono le parole, p.328), come pure il rogo dei libri talmudici avvenuto a Parigi nel 1244. Si ricordano anche, oltre la distruzione delle comunità sefardite di Andalusia ed Aragona, anche le distruzioni delle comunità aschenazite nella Germania e nella Francia (v. Yeshayahu Leibowitz, Le feste ebraiche, p. 104).
E’ una giornata di digiuno totale. La sera la Sinagoga è oscurata e la Comunità siede su panche basse o sul pavimento. Vengono intonati i versi del rotolo delle “Lamentazioni” di Geremia, ai quali segue la lettura delle “kinot”, lamentazioni funebri per lo più di epoca medievale.
La mattina seguente proseguono le lamentazioni funebri e non si indossano i “tefillìn” in segno di estrema angoscia. L’obbligo quotidiano di indossarli verrà rispettato solamente nel pomeriggio per il servizio di “Minchàh”.
Le “Lamentazioni” di Geremia sono contenute nel terzo libro delle Meghilloth, che prende il nome di “Echà” dalla prima parola del testo, che significa “Come mai”. Si tratta di una raccolta di elegie ispirate al disfacimento del Regno di Giuda ad opera dei Babilonesi, e quindi alla distruzione del Tempio di Gerusalemme ed all’esilio del popolo ebraico.
Questi avvenimenti catastrofici sono trattati, spiegati e commentati non, come faremmo noi al giorno d’oggi, sulla base di considerazioni politiche, economiche e militari, bensì conformandosi esclusivamente a considerazioni di tipo religioso.
Ecco che allora non si fa un ragionamento, che parta dall’esistenza da sempre nella regione di due grandi potenze, l’Egitto e Babilonia, in mezzo alle quali è la terra d’Israele, che potenza non è, e che è esposta a subire le pressioni, le scorrerie ed il vassallaggio imposti dai due imperi.
Si dice invece che nel mondo tutto avviene, sia il bene, sia il male, per volontà del Signore, connotandosi gli avvenimenti come premio o come punizione per il popolo d’Israele in relazione all’osservanza delle leggi da Lui impartite. Perciò la sventura della catastrofe, verificatasi con la distruzione del Tempio e la sconfitta e dispersione di Giuda è dovuta alla punizione divina inflitta al popolo ebraico a causa dei suoi peccati. E’ una visione completa dal punto di vista religioso, ma fatalmente miope dal punto di vista storico e politico, giacchè i veri protagonisti della Storia, appaiono invece come comparse incidentali, strumentali, che hanno la funzione di contribuire alla realizzazione degli avvenimenti che acquisiscono significato esclusivamente nel rapporto tra il Signore ed il popolo ebraico.
Questa visione miope, che chiude la porta al mondo, ma che nel contempo protegge da esso, la ritroviamo nell’istituzione del ghetto, luogo dove gli ebrei venivano rinchiusi dai gentili, ma che era anche il luogo dal quale, reciprocamente, gli ebrei escludevano i gentili. E’ la teoria delle due chiavi: una era quella da fuori usata dai gentili; l’altra era quella da dentro usata dagli ebrei.
Questa visione strettamente religiosa è uno dei fattori che hanno consentito la sopravvivenza dell’identità ebraica nella diaspora.
Se così non fosse stato, se gli ebrei avessero allargato la concezione di popolo eletto ad un ambito geografico e demografico non vincolato alla propria etnia ed al fazzoletto della propria terra, ecco, se ciò fosse stato sarebbe cambiata la storia del mondo.
Torniamo alle Lamentazioni ed estraiamo quindi dalla loro lettura, non la Storia, come siamo abituati noi a intenderla, ma il significato religioso che risiede nel rapporto tra il Signore e il popolo, tra il Signore e l’essere umano.
“Un grave peccato commise Gerusalemme, perciò è diventata immonda: tutti coloro che l’onoravano ora la disprezzano, perché han visto le sue vergogne; anch’essa sospira e si volta indietro. La sua impurità e persino nei lembi delle sue vesti, non si era preoccupata della sua fine e cadde in modo sorprendente; nessuno ora la consola” (Lam.1,8)
“Il Signore divenuto nemico, distrusse Israele, atterrò tutti i suoi palazzi, abbattè le sue fortificazioni e fece dilagare in mezzo alla figlia di Giuda il pianto e la disperazione. Devastò la sua capanna come quella d’un orto; distrusse il luogo delle riunioni, il signore fece dimenticare in Sion il giorno festivo e il sabato e rigettò nel furore della Sua ira re e sacerdote. Il Signore abbandonò il Suo altare, sprezzò il Suo santuario, consegnò le mura dei suoi palazzi in mano dei nemici; questi levarono la voce nella casa del Signore come in giorno di festa. Il Signore aveva deciso di distruggere le mura della figlia di Sion: prese quindi il regolo, non trattenne la mano dal distruggere, ridusse in luttuose condizioni bastioni e mura, che rimasero distrutti insieme. Le sue porte s’affondarono nella terra, Egli schiantò e spezzò le sue sbarre; il suo re e i suoi principi sono esuli tra le genti, non c’è più insegnamento sacerdotale e i profeti non trovano più visioni da parte del Signore.” (Lam. 2, 5-9)
“Il Signore fece ciò che aveva deciso, mise in atto la Sua parola che aveva decretato da tempo, distrusse senza pietà, fece gioire il nemico sopra di te, esaltò la forza dei tuoi avversari”. (Lam. 2, 17)
Questi passi confermano che, secondo l’interpretazione religiosa, la catastrofe è avvenuta a causa dei peccati del popolo ebraico, ma non solo, essa è avvenuta per volontà del Signore, perché è il Signore che ha distrutto le mura di Gerusalemme, è il Signore che ha abbandonato il Suo altare ed il Suo Santuario.
Nei passi che seguono si esprime la desolazione per l’abbandono da parte del Signore e si comincia ad invocarne il ritorno.
Segue poi un brano di massima crudezza nel quale si narra dell’abiezione durante l’assedio di Gerusalemme quando si verificarono atti di cannibalismo, che videro le madri nutrirsi delle carni dei propri figli. Il Signore adirato diede alle fiamme Sion distruggendola fino alle sue fondamenta e disperse con gli abitanti, re, falsi profeti e sacerdoti, resi impuri dal sangue innocente di cui si erano macchiati.
“Togliesti la pace all’anima mia ed io dimenticai che cosa è il bene. Dissi: è perduta la mia forza, la speranza mia nel Signore”. (Lam. 3, 17)
“Chi mai stabilì una cosa e questa avvenne, senza che il Signore l’avesse comandata? Dall’eccelso non provengono forse il male e il bene? Perché dunque l’uomo si lamenta finché vive, ciascuno per i castighi dei suoi peccati?” (Lam. 3, 37-39)
“Ti ammantasti d’ira e ci perseguitasti: uccidesti senza pietà. Ti copristi di una nube affinché non Ti giungesse la preghiera. Ci ponesti come spazzatura e rifiuto in mezzo ai popoli”. (Lam. 3, 43-45)
“Invocai il Tuo nome, o Signore, dalle profondità del pozzo, e Tu hai certo sentito la mia voce; non chiudere l’orecchio ai miei sospiri e alle mie grida! Siimi vicino nel giorno in cui Ti invoco; dimmi: Non temere! Difendi, o Signore, la mia causa, rendimi la mia vita!” (Lam. 3, 55-58)
“Mani di donne pietose fecero cuocere i propri figli, questi servirono loro da cibo durante la rovina della figlia del mio popolo. Il Signore diede sfogo alla Sua ira, riversando il Suo acceso furore, appiccò a Sion il fuoco che divorò le sue fondamenta. Né i re della terra, né tutti gli abitanti del mondo avrebbero mai creduto che il nemico, l’avversario sarebbe entrato per le porte di Gerusalemme. Ma questo avvenne per i peccati dei suoi falsi profeti, per le colpe dei suoi sacerdoti che avevano versato in mezzo ad essa sangue innocente. Essi barcollavano come ciechi per le strade, insozzati di sangue tanto che non si potevano toccare le loro vesti. Scostatevi!: un impuro! Si gridava. Scostatevi, scostatevi, non toccate!” (Lam. 4, 10-15)
La narrazione si conclude con la proclamazione della fiducia nel Signore e l’invocazione per il ritorno al Signore, come in antico.
“Ricorda, o Signore, ciò che è accaduto a noi, osserva, guarda la nostra vergogna! Il nostro retaggio è passato nelle mani di stranieri, le nostre case sono in mano di estranei. Noi siamo rimasti orfani, senza padre, le nostre madri sono come delle vedove. Beviamo la nostra acqua pagandola, la nostra legna ci viene a caro prezzo. Ci perseguitano con un giogo sul collo, siamo affranti, non c’è dato di riposare. All’Egitto, all’Assiria stendemmo la mano per poterci saziare di pane”. (Lam. 5, 1-6)
“Tu, o Signore, resti per sempre, il tuo trono esiste per tutte le generazioni. Perché ci vorrai dimenticare per sempre, abbandonarci per lungo tempo? Facci ritornare, o Signore, a Te ritorneremo. Rinnova i nostri giorni come in antico. Poiché ormai ci hai veramente rigettato e ti sei grandemente sdegnato contro di noi”. (Lam. 5, 19-22)
Penso che al termine della lettura della meghillah sia d’obbligo una riflessione sulla valenza da riconoscere alla narrazione in relazione al lutto del 9 di Av.
La narrazione non mette in risalto la sconfitta subita ad opera di Babilonia, al contrario Babilonia ha una connotazione, come abbiamo visto, incidentale. La catastrofe è originata dal peccato e consiste nell’abbandono del Signore. Le conseguenze del peccato e dell’abbandono del Signore sono la caduta di Gerusalemme e la distruzione del Tempio. Il rimedio, allora, non è la riconquista di Gerusalemme e la ricostruzione del Tempio, bensì la purificazione ed il ritorno al Signore, che, una volta attuati, porteranno come conseguenza la riconquista di Gerusalemme e la ricostruzione del Tempio.
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