domenica 15 aprile 2012

Sheminì

(Le.9,1-11,47)

Sheminì significa ottavo, siamo nell’ottavo giorno dopo i sette giorni nei quali si sono svolte le cerimonie di iniziazione. In questo giorno solenne la gloria del Signore appare a tutto il popolo al termine dei sacrifici che i Sacerdoti ed il popolo hanno presentato come offerte di chattat, di olocausto e di shelamin oltre l’offerta farinacea intrisa d’olio. Tutto è avvenuto in precisa adesione al complesso rituale che il Signore ha dettato a Mosè.

Mentre il fuoco con il quale il Signore si è manifestato divora le offerte sull’altare dell’olocausto un avvenimento terribile funesta la cerimonia: due dei figli di Aron, Nadav e Avihù, commettono un errore per eccesso di zelo accostandosi all’altare ognuno con un incensiere con un fuoco non richiesto. Una vampata di fiamme si sprigiona dal fuoco del Signore li avvolge e li uccide sotto gli occhi del padre Aron, di Mosè e del popolo. Aron non potrà manifestare il suo dolore per non interrompere l’esercizio del la sua funzione sacerdotale.

L’episodio ci lascia sgomenti perché la nostra prima sensazione è che la mancanza di Nadav e Avihù, commessa senza intenzione né consapevolezza, sia tutto sommato veniale. Tanto più questa punizione ci appare sproporzionata alla mancanza commessa se la paragoniamo con quella commessa dal loro padre Aron in occasione dell’episodio del vitello d’oro. In quell’occasione Aron, che aveva accondisceso alla richiesta del popolo di fabbricare l’idolo e ne aveva curato la costruzione, non subì alcuna punizione quando Mosè tornò dal monte e ordinò ai leviti di uccidere quanti avevano partecipato all’adorazione dell'idolo.

Come si spiega la severità della punizione inflitta ai due figli di Aron? Alla spiegazione si può pervenire attraverso due diverse argomentazioni. La prima è quella esplicata in nota da Rav Dario Disegni che testualmente dice:

In che cosa consista la colpa dei figli di Aron non è chiaramente spiegato nel testo e varie sono le interpretazioni: secondo alcuni essi avrebbero portato del fuoco per ardere l’incenso senza attendere il fuoco celeste atteso per quel giorno; secondo altri avrebbero voluto offrire dell’incenso senza che la cosa fosse stata ordinata; secondo altri ancora, sarebbero entrati nel Santissimo.

La severità della punizione per questa mancanza è così motivata dalla nota successiva:

Il significato della frase è il seguente: quanto più uno è elevato, più deve sottoporsi alla disciplina; per questo pur trattandosi di una colpa non gravissima in sé, i peccatori sono stati puniti così severamente.

Ma una seconda argomentazione può trarsi sulla base di quanto detto in Esodo 20,5:

Non ti prostrare loro e non adorarli poiché Io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso che punisce il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione per coloro che Mi odiano. E che uso bontà fino alla millesima generazione per coloro che Mi amano e che osservano i miei precetti.

Anche se Rav Dario Disegni in una nota riferita a questo passo afferma che gli atti sono personali e che quindi la punizione per gli atti commessi dal padre non può ricadere sui figli, resta tuttavia la sopra riportata affermazione del passo della Torà. Ora non vi è ombra di dubbio che la morte dei due figli e il modo e le circostanze dell’avvenimento abbiano causato al loro padre Aron un dolore visceralmente profondo e che quindi, se si deve parlare di punizione, mentre la punizione per i due figli si manifesta e si spegne in una fiammata, la punizione per Aron è invece il dolore che lo accompagnerà per tutta la vita.

Peraltro Mosè si accorge che anche gli altri due figli di Aron, El’azar e Ithamar, hanno commesso gravi errori nel compiere i sacrifici e li rimprovera aspramente. Aron interviene con parole dalle quali traspare il suo dolore di padre per i due figli perduti e la trepidazione per gli altri due rimastigli che riesce a salvare giustificandoli.

Il capitolo 11, conclusivo della parashà, tratta delle regole alimentari ed individua gli animali dei quali è consentito nutrirsi. Gli animali terrestri consentiti sono i quadrupedi ruminanti con lo zoccolo spaccato; tra i pesci saranno consentiti quelli con pinne e squame; tra i volatili, poiché la descrizione biblica dava luogo a dubbi interpretativi, è seguita la definizione operata dal Talmud in base alla quale Rav Dario Disegni così sintetizza:

In pratica si usa cibarsi solo dei gallinacei (con esclusione in molti luoghi della gallina faraona), dei piccioni, delle tortore, delle oche, delle anatre, delle quaglie e di poche altre specie.

Nessun commento:

Posta un commento