lunedì 30 aprile 2012

Kedoshim

(Le.19,1-20,27)

Nella Parashà Kedoshim (Santi), che comprende i capitoli 19 e 20 di Vaikrà (Levitico), il Signore detta a Mosè precetti di carattere rituale, di carattere morale e di carattere sociale, la cui osservanza fa sì che l’uomo possa conseguire la Kedushà, la Santità cioè intesa come distinzione, differenziazione dai comportamenti che sono propri degli altri popoli.

Il capitolo 19 inizia con il comando di temere il padre e la madre e, subito dopo, di osservare il Sabato. Seguono norme per il consumo dei sacrifici, per la mietitura, per la correttezza dei rapporti con il prossimo, per il godimento dei frutti della terra. Tutti questi precetti mantengono, dopo migliaia di anni dalla loro formulazione, una chiara comprensibilità, anche nell’attualità, ed una naturale condivisione per la loro giustezza.

Il successivo capitolo 20 enumera atti contro la morale, a partire dalla pratica in uso presso altri popoli vicini di sacrificare a Mòlech i figli, proseguendo poi con atti di magia e poi ancora con la maledizione a danno dei propri genitori. Segue poi l’enumerazione dei divieti di adulterio e di atti di natura sessuale con consanguinei, parenti, con animali o di natura omosessuale. Il capitolo per ognuno di questi delitti specifica la pena da comminare, che in quasi tutti i casi è la morte per lapidazione.

Questo capitolo 20, a causa della severità delle pene che in esso sono previste, scuote la sensibilità di noi uomini appartenenti ad una società nella quale la pena di morte è da tempo abolita. E’ del resto consolidato il fatto che anche per i reati sessuali enumerati dal capitolo 20 non è più applicata nel mondo civile occidentale la pena di morte, mentre rimane per noi accettabile la massima severità, come il carcere a vita o al limite la sterilizzazione, solamente per i reati sessuali a danno di minori ovvero quando sia accertata la possibilità di reiterazione del reato.

Ma allora, potremmo chiederci, siamo in presenza di precetti, che sono scritti nella Torà, ma che vengono, al giorno d’oggi, disattesi, non fosse altro che per la parte relativa alla pena? A mio parere le cose non stanno affatto così. La prima considerazione da fare, infatti, è che le pene indicate al capitolo 20 costituiscono la misura massima della pena da comminare per quel tipo di delitto, ma che l’applicazione della pena sarebbe avvenuta, in ogni caso, attraverso un processo d’indagine ed un giudizio, che avrebbe potuto tener conto di ogni circostanza attenuante, fino ad arrivare al limite all’assoluzione.

Altra considerazione da compiere è che l’enumerazione del capitolo 20 riguarda atti contro la morale, definiti di fornicazione, messi alla stessa stregua di quelli compiuti con animali e quindi si tratta di peccati di esclusiva natura sessuale, dai quali devono invece escludersi quegli atti che, sia pure concretizzatisi sessualmente, sono stati dettati da sentimenti non contingenti verso la persona ed esorbitanti il solo carattere sessuale. A maggior ragione sarà operata questa esclusione qualora da questi atti non sia derivato nessun danno a terze persone. Questo è il caso dei rapporti omosessuali nei cui confronti le componenti laiche e progressive dell’Ebraismo hanno riveduto i propri atteggiamenti.

Nessun commento:

Posta un commento