domenica 18 agosto 2013

KI TAVO' (Deu.26-29,8)

"Ki Tavò", quando giungerai, con queste parole inizia questa parashà. Quando giungerai, dice Mosè al popolo, nel paese che il Signore ti darà e lo avrai conquistato, raccoglierai in un cesto le primizie di tutti i frutti di quella terra e lo porterai al luogo che il Signore avrà scelto per il Suo Santuario. Dirai al Sacerdote che troverai al Santuario:

Dichiaro oggi al Signore tuo Dio che sono giunto nel paese che Egli giurò di dare ai nostri padri.

E quando il Sacerdote avrà collocato il tuo cesto davanti all’altare del Signore, dirai ancora:

Un arameo nomade era mio padre. Egli se ne andò in Egitto e vi abitò con pochi uomini; là divenne una grande nazione, potente e numerosa. Ma gli Egiziani ci perseguitarono e ci afflissero e ci sottomisero ad una dura schiavitù. Allora noi gridammo al Signore Dio dei nostri padri ed Egli ascoltò la nostra voce, vide la nostra afflizione, il nostro travaglio e la nostra oppressione. Il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio disteso, e con grande spavento, con prodigi e con miracoli ci condusse in questo luogo e ci dette questa terra stillante latte e miele. Ecco io ho portato ora le primizie dei frutti della terra che Tu hai concesso a me, o Signore.

Arameo nomade” così viene per lo più tradotto “aramì ovèd”, ma a questo proposito vi sono alcune considerazioni da mettere in evidenza.

Aram” si riferisce fondamentalmente alla Siria e così solitamente viene tradotto questo nome (Gdc 10:6; 2Sam 8:6;15:8; Os 12:13). In particolare “Paddan-Aram” indica la zona intorno alla città di “Haran” nell’alta Mesopotamia (Ge 25:20;28:2,7,10). Il patriarca Abramo aveva risieduto, ma solo temporaneamente, ad “Haran”, nella regione di “Paddan” (Ge12:4;28:7,10). Successivamente, suo figlio Isacco e poi suo nipote Giacobbe qui trovarono moglie fra i discendenti dei suoi parenti (Ge 22:20-23;25:20;28:6). Ma Giacobbe in particolare trascorse ben 20 anni in “Paddan” al servizio del suocero Labano (Ge 31:17,18,36,41). Perciò si è portati a pensare che con la locuzione “arameo errante” ci si riferisca a Giacobbe.

Meno univoco è il significato di “ovèd” (אֹבֵד), che può variare a seconda che si tratti di un aggettivo (“misero”), di un sostantivo (“nomade”) o di un participio (“morente”, “errante”). L’”Hebräisches und Aramäisches Lexicon zum Alten Testament” (E. J. Brill, Leiden, 1967) traduce ovèd con “rovina” (Nm 24:20,24) e pertanto la traduzione diverrebbe: “Mio padre era un arameo in rovina”. Il “Dizionario di ebraico ed aramaico biblici” (Philippe Reymond, 2^ ed. it., Roma 1995) segnala anch’esso per la radice di ovèd il significato di “perire” (Nu 17:27), “andare in rovina” (Es 10:7), “scomparire” (Nm 16:33). La tradizione ebraica, come segnala Bruno Di Porto nel suo commento alla parashà, conserva anche un’altra versione delle parole “aramì ovèd”, che dovrebbero tradursi “un arameo che ha rovinato mio padre”.

Tutto questo per dimostrare quanto sia a volte complessa la ricerca della traduzione del testo sacro e quanto possa essa alimentare il tradizionale “pluralismo ebraico”. Personalmente preferisco la traduzione “arameo errante”, dove la parola errante esprime molto di più della parola nomade, perché nomade è il pastore che si sposta secondo le necessità del suo gregge, mentre errante è colui che è spinto ad esserlo per l’incontenibile impulso che la sua anima gli detta, come se ad un certo punto una voce da dentro gli intimasse di alzarsi e andare.

Le parole “il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio disteso”, si ricollegano a quanto è detto in Esodo (14,15 e 16):

E il Signore disse a Mosè: - Perché tu esclami a me? Ordina ai figli d’Israele di mettersi in cammino. E tu alza la tua verga, stendi il tuo braccio verso il mare e fendilo, e i figli d’Israele potranno attraversare il mare all’asciutto. …

Tornando alla narrazione della parashà troviamo la prescrizione, in occasione della raccolta delle decime annuali, di mettere da parte quelle del terzo anno per darle al Levita, al forestiero, all’orfano ed alla vedova e di dichiarare davanti al Signore:

Ho tolto le cose consacrate dalla mia casa e le ho date al Levita, al forestiero, all’orfano, alla vedova secondo tutte le prescrizioni che Tu mi hai comandato; non ho trasgredito ai tuoi precetti e non li ho dimenticati. Quando fui in lutto non ne mangiai né feci alcun prelevamento essendo impuro né detti parti di esse per qualche morto; ho dato ascolto al Signore mio Dio, ho fatto secondo quanto mi hai comandato. Dalla residenza della Tua santità, dal cielo, volgi a noi lo sguardo e benedici il Tuo popolo Israele, e la terra che ci hai dato come giurasti ai nostri padri, una terra stillante latte e miele.

Nel capitolo 27 Mosè e gli anziani comandano che, nel giorno in cui il popolo passerà il Giordano per entrare nel paese che il Signore sta per dargli, le tribù si schierino secondo un ordine stabilito sui monti Eval e Gherizim. Sul monte Eval verrà costruito un altare di pietre intere sul quale presentare le offerte di “olocausto” e di “scelamim”, e qui saranno erette delle grandi pietre intonacate a calce sulle quali verranno scritte le parole di benedizione e di maledizione che Mosè andrà a pronunciare. Segue quindi, e fino al termine del capitolo, l’enunciazione delle maledizioni che verranno pronunciate a fronte di specifiche violazioni della legge. La prima delle maledizioni sarà quella che i Leviti scandiranno a voce alta rivolti a tutto il popolo d’Israele:

Sia maledetto colui che costruirà immagini scolpite o fuse, aborrite dal Signore, opera delle mani di un artigiano, e le tenga nascoste; tutto il popolo risponderà e dirà: Così sia!

L’idolatria dunque, torna sempre l’idolatria quale prima e fondamentale violazione della legge del Signore e l’idolatria abbiamo già visto che può presentarsi sotto diverse sembianze: idolatria non è solo adorazione di immagini di pietra o di metallo o dipinte, idolatria è l’amore per il denaro, per il potere o per un altro essere umano fino al punto di anteporlo all’amore per il Signore ed all’osservanza delle Sue leggi. L’ultima delle maledizioni poi le riassume e le assomma un po’ tutte in sé:

Sia maledetto colui che non adempirà le parole di questa legge e non le eseguirà; e dirà tutto il popolo: Così sia!

Il capitolo 28 inizia enunciando tutte le benedizioni che verranno al popolo d’Israele per avere ascoltato la voce del Signore, benedizioni di prosperità per i prodotti della terra, per gli animali e benedizioni per i propri figli:

Il Signore ti stabilirà come Suo popolo consacrato, come ti ha giurato, e tu osserverai i precetti del Signore tuo Dio e procederai nelle Sue vie. Tutti i popoli della terra osserveranno che tu sei il popolo chiamato con il nome del Signore e ti temeranno.

Ma dopo questo inizio la maggior parte del capitolo prosegue poi enumerando in modo aspro e terribile tutte le disgrazie che ricadranno sul popolo se non avrà osservato la legge del Signore:

Ma se tu non ascolterai la voce del Signore tuo Dio, osservando tutti i Suoi precetti e i Suoi statuti che io ti comando oggi, verranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste maledizioni.

Per rendere l’idea della durezza di queste pagine riporto alcune delle maledizioni enunciate:

Il Signore manderà contro di te la maledizione, il panico e la disgrazia in qualunque iniziativa tu intraprenda, in modo da mandarti in rovina e in perdizione in fretta, a causa della malvagità delle tue azioni, avendomi tu abbandonato.

Il Signore ti farà fuggire davanti ai tuoi nemici; andrai contro di loro per una via e fuggirai per sette vie dinanzi a loro e sarai causa di orrore per tutti i regni della terra.

Il Signore condurrà te ed il re che tu avrai eletto sopra di te presso una nazione che non conoscesti né tu né i tuoi padri e là servirai altri dèi di legno e di pietra. Sarai oggetto di stupore, sarai portato come esempio di sventura e schernito da tutti quei popoli presso i quali il Signore ti condurrà.

E più avanti, dopo questa maledizione, che si riferisce palesemente alla cattività babilonese, viene ripresentata un’immagine analoga:

Il Signore susciterà contro di te una nazione da lontano, dall’estremità della terra, che si getterà su di te come fa l’aquila, una nazione di cui non conosci la lingua. Una nazione fiera che non porta rispetto al vecchio e che non sente pietà per il bambino. Essa divorerà il frutto dei tuoi animali e il frutto della tua terra fino a rovinarti perché non lascerà per te né grano né mosto né olio né vitelli né agnelli fino a farti morire. Ti assedierà in ogni tua città fino a che non cadranno le tue mura alte e fortificate nelle quali tu riponevi tanta fiducia in tutto il tuo paese; ti porrà l’assedio in tutte le tue città, in tutta la tua terra che il Signore tuo Dio ti ha dato.

Questa maledizione si riferisce ad un’altra disgrazia, sia perché non avrebbe avuto senso parlare ancora della cattività babilonese, sia perché in questa frase ci sono degli elementi diversi:
- La nazione lontana è paragonata all’aquila, e l’aquila era sulle insegne romane.
- Della nazione romana non si conosceva la lingua, mentre con Babilonia c’era una lunga tradizione di rapporti.
- Quella romana fu un’occupazione coloniale, quindi di sfruttamento delle risorse nel paese occupato, al contrario di quella babilonese che si risolse invece nella depredazione dei beni e nella deportazione di quella parte della popolazione costituente l’elite culturale ed artigiana.
- Solo dopo il 70 e.v. anche da parte dei romani venne attuata la deportazione per domare le continue ribellioni del popolo ebraico.
Parrebbe di poter confermare quindi che questa maledizione possa riferirsi all’occupazione romana , sempre travagliata e contrastata fino al suo tragico epilogo avvenuto prima con la distruzione del Tempio e della città di Gerusalemme del 70 e.v. e dopo, nel 135 e.v., con la sconfitta di Bar Kochba, che impersonò l’ultimo tentativo ebraico di mantenere in vita uno stato nazionale.

Ma ancora l’enunciazione delle maledizioni prosegue, preannunciando la diaspora del popolo ebraico, che noi sappiamo essere avvenuta una prima volta ad opera di Tito nel 70 e.v. ed una seconda volta nel 1492 e.v. con la cacciata dalla Spagna:

Ti disperderà il Signore fra tutti i popoli da un’estremità all’altra della terra e là tu servirai altri dèi che non conoscesti né tu né i tuoi padri, idoli di legno e di pietra. Fra quelle nazioni non avrai sollievo né avrà riposo la pianta del tuo piede; il Signore ti darà là un cuore timoroso, degli occhi languenti e uno spirito amareggiato.

L’ultima maledizione dell’elenco predice il ritorno in Egitto per essere messi in vendita al mercato degli schiavi, senza trovare peraltro compratore.

Si chiude la parashà, all’inizio del capitolo 29, con l’esortazione al rispetto della legge del Signore:

Osservate dunque le parole di questo patto ed eseguitele in modo che possiate riuscire in tutto ciò che farete.

Shavuà tov.
Danièl Siclari


Haftarà di Ki Tavò
secondo il rito italiano
(Gio.8,30-9,27)

La Haftarà narra di come Giosuè dette esecuzione a quanto comandato nella parashà riguardo allo scrivere la Torà sulle pietre ed alla proclamazione delle benedizioni sul monte Gherizim e delle maledizioni sul monte Eval.

Queste azioni messe in atto da Giosuè suscitarono allarme in tutti i re delle popolazioni insediate nella terra di Canaan, i quali, sentendosi minacciati, si allearono per combattere contro Israele.

Gli abitanti di Ghivon, che avevano avuto notizia della distruzione delle città di Gerico ed Ai operata da Giosuè, decisero di agire con astuzia. Si travestirono, pertanto, indossando abiti logori e presero con sé del pane raffermo e ammuffito e si recarono da Giosuè dicendogli che essi venivano da tanto lontano, e prova ne erano gli abiti logori ed il pane ammuffito, e che desideravano sottomettersi e stipulare un patto di pace con il popolo d’Israele.

Impietositisi gli Israeliti alla vista di quei poveretti, Giosuè stipulò con loro un patto di pace e promise di lasciarli in vita.

Tre giorni dopo, però, Giosuè venne a sapere che essi avevano mentito e che non venivano da lontano, ma abitavano la terra confinante. Allora Giosuè mandò a chiamarli e chiese loro perché mai avessero mentito ed essi risposero di avere così agito per paura di essere sterminati.

Li salvò Giosuè dalla mano dei figli d’Israele, che non li uccisero, ma essi furono schiavi per sempre addetti a tagliare la legna ed ad attingere l’acqua a servizio del popolo e dell’altare del Signore.


Haftarà di Ki Tavò
secondo i riti spagnolo e tedesco
(Is.60,1-60,22)

“Figli di stranieri costruiranno le tue mura, i loro re ti serviranno, perché Io ti avevo bensì colpita con il Mio furore, ma con la Mia benevolenza ho di te misericordia. Le tue porte saranno continuamente aperte giorno e notte, non verranno mai chiuse, perché ti venga recata la ricchezza delle genti ed a te siano condotti i re. Si, le genti ed i regni che non ti serviranno periranno, e quelle genti saranno distrutte.”

“E i figli di coloro che ti avevano tormentata verranno a te a capo chino, e tutti quelli che ti avevano oltraggiata si prostreranno ai tuoi piedi e ti chiameranno città del Signore Santo d’Israele.”

“Non si udrà più parlare di violenza nel tuo paese, di saccheggio e di rovine nel tuo territorio e tu chiamerai le tue mura mura di salvezza, e le tue porte porte di lode. Non sarà più il sole a farti luce di giorno, né sarà la luna che ti illuminerà per darti chiarore, il Signore sarà la tua luce per sempre, e il tuo D-o sarà la tua gloria.”




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