domenica 4 agosto 2013

Shofetim (De.16,18-21,9)

Mosè rammenta al popolo la prescrizione ricevuta di procedere alla nomina di giudici e di funzionari di sorveglianza, che dovranno risiedere in ciascuna delle città che il Signore vorrà concedere ad Israele, e che avranno il compito di giudicare il popolo “con vera giustizia” e vigilare sulle questioni che dovessero insorgere nell’ambito della loro comunità.

Non torcere il diritto, non avere riguardi di sorta e non farti corrompere perché il prezzo della corruzione accieca gli occhi dei saggi e rende tortuose le parole dei giusti. La giustizia la vera giustizia seguirai affinché tu viva ed erediti la terra che il Signore tuo Dio sta per darti.

Queste sono le parole rivolte al popolo, che indicano il corretto comportamento cui ciascuno dovrà attenersi, in particolare se dovrà svolgere la funzione di giudice o di funzionario di polizia o amministrativo. Sono direttive di grande valore etico, che parrebbero a prima vista di facile e naturale attuazione, eppure, se ci guardiamo intorno e consultiamo i mezzi d’informazione, possiamo accorgerci di quanto invece al giorno d’oggi siano troppo spesso disattese.

Non torcere il diritto” dice Mosè, ma noi a questo proposito nell’assistere al giorno d'oggi all’operato di giudici ed avvocati abbiamo la sensazione che spesso il diritto fissato nei codici venga non solamente approfondito ed interpretano, ma anche deformano, ed a volte sovvertito. L’attività di interpretazione è di per sé lecita, anzi doverosa, perché ogni questione portata in giudizio ha una propria particolarità ed è appunto per questo che l’attività di giudici ed avvocati è meritoria quando si prefigge di cogliere le particolarità del singolo caso ed alla luce di queste particolarità e dei codici arrivare ad un equo giudizio. Ma può capitare a volte che il pensiero e l’operato di giudici e funzionari sia influenzato da alcuni fattori che con la giustizia hanno poco a che spartire, questi fattori d’influenza sono essenzialmente connotati da interessi di potere o da interessi economici o, in alcuni casi, da posizioni precostituite personali, o ancora da paura.

Le ingerenze possono verificarsi, ad esempio, quando si debba giudicare l’operato di un “potente” dal punto di vista politico, o economico, o che comunque occupi una posizione di rilievo sociale. Queste ingerenze possono provenire teoricamente dalle due opposte fazioni dei sostenitori e dei detrattori del personaggio, ma poiché in realtà questi fatti avvengono quando il partito dei detrattori sta già prevalendo sull’altro, ecco che le pressioni saranno sostanzialmente quelle intese ad arrivare ad un giudizio sommario di condanna. Nel manifestare queste pressioni si faranno balenare a chi deve esprimere il giudizio, in modo più o meno larvato, i vantaggi per incarichi politici, professionali o di carriera, che sostanzierebbero la riconoscenza per una sentenza orientata in senso favorevole.

E non mi si dica che queste cose non succedono perché io ricordo di avere assistito personalmente ad un‘arringa di un Procuratore della Repubblica, il quale a sostegno della propria accusa dava lettura pubblica di un articolo di legge, omettendone però una riga del testo, con il risultato di stravolgerne e sovvertirne il significato, sicchè un fatto lecito diveniva con tale lettura illecito. Per sua fortuna l’indagato, che evidentemente era ben preparato in materia, contestò la citazione e le conclusioni del Procuratore, ottenendo l’immediata lettura integrale dell’articolo di legge ed ebbe modo, durante tale lettura, di evidenziare il passo della legge che sanciva la liceità del fatto contestato.

Il fatto si commenta da sé a proposito della prescrizione impartita di “Non torcere il diritto”.
Le corruzioni, per denaro, per carriera, per paura sono mali diffusi. Purtroppo veniamo a conoscenza giornalmente di questi episodi, i media parlano generalmente dei fatti più eclatanti, che fanno scalpore per dimensione o per calibro dei personaggi che vi si trovano invischiati, ma ci sono moltissimi casi minori di “bashish” pagati, anche a livello infimo, per ottenere senza ostruzionismi ciò di cui si ha diritto .”Il prezzo della corruzione acceca gli occhi dei saggi e rende tortuose le parole dei giusti” così dice Mosè perché la corruzione è una malattia, è un vizio, è una droga dalla quale il corrotto non riesce più a liberarsi, perché la corruzione modifica la sua visuale del mondo e distrugge l’etica scacciandola dalla sua vita. Il corrotto è perduto, si è allontanato dal Signore ed ha eretto nuovi idoli da adorare che sono generalmente il potere ed il denaro.

Si badi bene che la corruzione e il perseguimento dell’interesse personale fino al punto di stravolgere la giustizia sono manifestazioni di idolatria. L’idolatria nella nostra società civilizzata e disincantata non consiste più nel collocare un idolo di pietra o di legno su un piedistallo per adorarlo, il “vitello d’oro” non è più la statua da identificare con la divinità. L’idolatria oggi significa per lo più adorare se stessi ed i propri desideri, significa porre la propria persona con i suoi egoismi su un piedistallo da adorare, significa non ascoltare né la voce del Signore, né quella degli altri, fino al punto di non comprenderne le esigenze e le ragioni, significa chiudersi in un involucro dal quale gli altri sono esclusi, significa perdere la capacità di vedere nell’altro un proprio simile, con lo stesso bagaglio di sentimenti, aspirazioni, sofferenze e ciò qualunque sia la sua appartenenza sociale, etnica o di religione.

Se in una delle città che il Signore sta per dare ad Israele, si venisse a sapere che un uomo o una donna praticano l’idolatria, dovrà farsi un’inchiesta e se ciò risultasse vero, l’uomo o la donna saranno condotti fuori dalla città e messi a morte per lapidazione. La condanna a morte potrà avvenire se ci sarà la deposizione di due o tre testimoni. Non si potrà condannare a morte per la testimonianza di un solo testimone. I testimoni scaglieranno loro stessi la prima pietra.

Se una causa è particolarmente controversa, sicché il Tribunale locale non riesce a dirimerla, la questione dovrà essere sottoposta a Gerusalemme ai Sacerdoti ed al Giudice in carica che esprimeranno il verdetto. Chi rifiutasse di sottostare a questo verdetto verrà messo a morte.

Quando il popolo si sarà stabilito nella terra promessa, qualora desiderasse avere, come le altre nazioni che gli stanno intorno, un re a proprio capo, il re sarà quello che Dio sceglierà e sarà un ebreo. Questo re dovrà rifuggire da manifestazioni di sfarzo, potenza e ricchezza. Non aumenterà il numero dei suoi cavalli, né quello delle sue donne, né ammasserà troppo argento e oro. Sono idoli anche questi ed il re dovrà sottrarsi dall’adorarli.

Quando egli sarà sul trono del suo regno dovrà scrivere per suo uso una copia di questa legge su di un libro copiandola da quella che posseggono i sacerdoti della tribù di Levi. La terrà con sé e la leggerà per tutta la sua vita per apprendere a temere il Signore suo Dio, per osservare tutte le parole di questa legge e questi statuti onde eseguirli, affinché il suo cuore non si insuperbisca verso i suoi fratelli e non si allontani in alcun modo dai precetti, onde prolunghi i giorni del suo regno, egli ed i suoi figli, in mezzo a Israele.

Al capitolo 18 Mosè precisa quali siano i diritti dei sacerdoti sulle offerte presentate al Tempio, sia per quanto riguarda gli animali, sia per i prodotti agricoli, sia per la prima tosatura del gregge.
E se un Levita di una qualunque città del territorio d’Israele desiderasse prestare servizio al Tempio, come i suoi fratelli Leviti che stanno già là, davanti al Signore, lo potrà fare e mangiare insieme e divideranno tutto in parti uguali ad eccezione dei proventi che al Levita derivano dall’eredità dei padri.

Mosè ammonisce nuovamente il popolo a non lasciarsi tentare dal seguire i riti e le usanze abominevoli delle popolazioni che dovranno essere scacciate dalla terra promessa, le quali avevano tra l’altro l’usanza di prestare ascolto ad indovini, maghi,stregoni, incantatori, necromanti. Mosè dice che il Signore potrà anche far sorgere un profeta dal popolo d’Israele e che a lui dovrà prestarsi ascolto, se sarà un vero profeta, ma sarà messo a morte se invece sarà falso.

Un profeta Io farò sorgere per loro da mezzo ai loro fratelli come te e metterò nella sua bocca le Mie parole sì che egli possa dire ciò che gli comanderò. E a quell’uomo che non ubbidirà alle Mie parole che egli pronunzierà in Mio nome, Io gliene domanderò conto. Ma quel profeta che oserà dire qualsiasi cosa in Mio nome, cosa che Io non gli ho comandato di dire o che la riferirà in nome di altri dèi, quel profeta morirà.

Il capitolo 19 inizia con la trattazione relativa alle tre città rifugio, che dovranno essere individuate tra tutte quelle della terra promessa, una volta che questa sarà stata conquistata, e nelle quali ogni omicida potrà trovare asilo, sfuggendo alla vendetta dei parenti dell’ucciso, sempre che la morte di questi sia avvenuta per un incidente non voluto e senza odio.

E ciò affinché il vindice del sangue non insegua l’omicida, mentre il suo cuore arde d’ira, e non lo raggiunga perché la strada da percorrere è lunga e non lo uccida mentre egli in effetti non è passibile di morte in quanto non aveva mai odiato per il passato l’ucciso.

Se il Signore ingrandirà il territorio assegnato ad Israele rispetto a quello promesso ai suoi padri, allora si dovranno aggiungere altre tre città rifugio alle tre già designate. Se un assassino, che abbia ucciso per odio e intenzionalmente una persona, cercherà rifugio in una di queste città, gli anziani lo faranno consegnare al vendicatore ed egli sarà ucciso.

Segue quindi una breve prescrizione riguardante l’inviolabilità dei confini agricoli, e anche questa che ci appare una prescrizione ovvia, di fatto tanto ovvia non è quando si pensi che in alcune delle nostre regioni italiane i confini delle proprietà agricole sono formati sul territorio con cumuli di pietrame, che, nottetempo o durante l’assenza di un proprietario, vengono spostati, secondo un malvezzo diffuso al punto tale da rendere irriconoscibile la situazione dei possessi indicata dalle mappe catastali.

Si parla quindi del falso testimone, al quale sarà da infliggere come punizione ciò che egli aveva pensato di fare a danno del suo fratello e qui Mosè pronuncia le parole emblematiche della cosiddetta "legge del taglione":

Non dovrai avere pietà; vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede.

In merito a queste parole è da segnalare la nota in Esodo 21,24 inserita nel testo del Tanàk a cura di Rav Dario Di Segni:

La Legge orale spiega che qui si tratta di risarcimento pecuniario secondo la gravità del danno. Le locuzioni: occhio per occhio ecc., nella lingua metaforica della Torà significano che le lesioni porteranno conseguenze di danni o interessi proporzionate all’importanza dell’organo colpito o all’intensità del dolore.

Personalmente penso che, se si decide di abbandonare il senso letterale della legge del taglione, allora si può stabilire sia una pena, sia un risarcimento. Quest’ultimo può essere pecuniario, ma la pena può anche prevedere ad esempio la fustigazione, o la detenzione.

Il capitolo 20 è dedicato alle prescrizioni della guerra. Quando ti sembrerà che il tuo nemico sia più agguerrito e più forte di te, ricorda, dice Mosè, che il Signore, Colui che ti trasse fuori dall’Egitto, è con te: questo ti dirà il Sacerdote quando sarai prossimo alla battaglia.
Seguono delle disposizioni che i comandanti daranno per esentare dalla guerra chi avrà costruito una casa nuova e non l’abbia ancora inaugurata; chi abbia fatto promessa di matrimonio, ma non abbia potuto ancora sposarsi; chi abbia piantato una vigna e non ne abbia ancora mangiato i frutti; ma anche disporranno che torni a casa chi abbia poco coraggio e rischi con la sua presenza di scoraggiare anche i suoi fratelli.

Quando ti avvicinerai ad una città per combattere contro di essa dovrai offrirle la pace.

Ma se l’offerta non sarà accettata, prosegue Mosè, la espugnerai e, quando l’avrai conquistata, passerai a fil di spada tutti gli uomini. Le donne, i bambini, gli animali ed i beni che troverai saranno il bottino di guerra del popolo d’Israele. Con questa distruzione si ribadisce ancora che ha la finalità è quella di impedire la propagazione dell’idolatria da quelle popolazioni al popolo d’Israele.

Chiude il capitolo 20 la prescrizione di non distruggere gli alberi da frutto delle città assediate:

Infatti è forse l’albero del campo come un uomo che può a causa tua ritirarsi in luogo fortificato?

La parashà conclude con la prima parte del capitolo 21 dove vengono dettate le prescrizioni sugli adempimenti necessari nel caso in cui venga trovato un uomo ucciso in un campo e non si sappia chi l’abbia ucciso. Si tratta del rito di purificazione cui sarà tenuta la città più vicina e che verrà eseguito dagli anziani della città, i quali condurranno una giovenca che non abbia mai lavorato sul letto sassoso di un torrente asciutto e qui l’uccideranno e reciteranno la preghiera per il perdono:

Le nostre mani non hanno versato questo sangue ed i nostri occhi non hanno veduto. Perdona il Tuo popolo, Israele, che Tu hai redento, o Signore, e non dargli la responsabilità di questo sangue innocente versato in mezzo al tuo popolo Israele, sì che possa essere loro perdonato il sangue versato.

Danièl Siclari


Haftarà di Shofetim
Secondo il rito italiano.
(Sam.8,1-8,22)

Il popolo va dal vecchio Samuele e gli chiede di provvedere alla nomina di un re, che sia il loro capo e li conduca a somiglianza degli altri popoli.
Samuele si rivolge al Signore, che gli dice:

Da’ retta al popolo quanto a tutto ciò che ti hanno detto: non te essi hanno rifiutato come loro capo, ma Me. …. Da’ dunque retta a loro, e da’ loro degli avvertimenti dicendo loro quale sarà il modo di procedere del re che sarà loro capo.

E li avvertì Samuele di tutte le privazioni che sarebbero loro derivate dall’avere costituito un re, ma loro insistettero.

No! Noi vogliamo avere un re, per essere anche noi come tutti gli altri popoli e perché il re sia il nostro capo e vada davanti a noi per combattere le nostre guerre.



Secondo i riti spagnolo e tedesco.
(Is.51,12-52,12)

Svègliati, svègliati, sorgi, Gerusalemme che hai bevuto dalla mano del Signore il calice del Suo furore, hai bevuto e succhiato la coppa del veleno. Essa non aveva guida fra tutti i figli che aveva dati alla luce, nessuno vi era che la prendesse per mano fra tutti i figli che aveva allevati. Due sventure ti hanno colpita – e chi potrebbe confortarti?- il saccheggio, la rovina, la fame e la spada.

Perciò ascolta questo, tu, afflitta ed ebbra non di vino. Così ha detto il tuo padrone, il Signore, il tuo D-o che prenderà le parti del Suo popolo. Ecco ti ho tolto di mano il calice del veleno, la coppa calice della Mia ira, non lo berrai più, e lo darò in mano a coloro che ti hanno fatto soffrire, che ti hanno detto: ‘Chinati che vogliamo passarti sopra’, e ai quali hai presentato il tuo corpo come se fosse il terreno, e come una strada per i passanti.

Svègliati, svègliati, rivèstiti della tua forza, o Sion ,indossa i tuoi abiti splendidi, o Gerusalemme, città santa, ché non entreranno più in te l’incirconciso e l’impuro.

Intonate insieme canti di gioia, o rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il Suo popolo, ha redento Gerusalemme. Il Signore ha denudato il Suo braccio santo agli occhi di tutti i popoli; tutta la terra, fino alle sue estremità, ha visto la salvezza recata dal nostro D-o.

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